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Ricordando le disastrose inondazioni che quindici anni fa investirono Praga e molte altre città della Repubblica Ceca

L’allora primo ministro Vladimír Špidla qualche presentimento dovette averlo avuto quando – all’inizio di agosto del 2002, nel giorno in cui iniziarono le ferie del suo governo – fece sapere che lui avrebbe comunque lavorato per tutta l’estate.

Da qualche giorno la pioggia cadeva insistente in tutta l’Europa centrale e in Boemia del sud si erano manifestate alcune avvisaglie, con i primi straripamenti, del disastro in arrivo.

A Praga però la situazione sembrava poter rimanere sotto controllo e gli argini della Moldava all’inizio riuscirono senza grandi difficoltà a controllare il livello dell’acqua. Il 9 agosto fu scongiurato il primo allarme di una onda di piena, ma purtroppo, dopo qualche timido raggio di sole, il cielo diventò nuovamente plumbeo e la pioggia riprese a cadere incessantemente.

Passarono ancora tre giorni e al premier Špidla non restò che dichiarare lo stato di emergenza nazionale, mettendo in stato di allerta l’esercito per dare manforte ai soccorsi. Il centro storico di České Budějovice si era ormai trasformato in un grande specchio d’acqua dal quale emergevano solo i tetti degli edifici. Gravissima la situazione anche in altre zone del Paese: Strakonice, Písek, Plzeň e Český Krumlov le città maggiormente colpite.

E intanto gli occhi del mondo si concentrarono attoniti su Praga, dove, fra il 13 e il 14 agosto, la situazione assunse i caratteri della catastrofe.

A dare la sveglia ai cittadini di molti quartieri furono le sirene dell’emergenza e i megafoni dei soccorritori. “Prendete documenti personali, medicinali, cibo e acqua sufficienti per almeno 24 ore – per voi e per i vostri animali – e riunitevi quanto prima nei luoghi di raccolta” la disposizione perentoria che giungeva dagli amplificatori comunali, dando inizio alle operazioni di evacuazione. Subito dopo vaste zone dei quartieri di Karlín, di Libeň, di Smíchov, di Radotín, di Holešovice vennero sommerse dall’acqua.

La portata del fiume Moldava al massimo della piena venne stimata quel giorno, all’altezza di Praga, in 5.300 metri cubi al secondo. Ad aumentarne la portata erano state anche le acque fatte uscire, per sicurezza, da un bacino idroelettrico a sud della città.

Lo storico Karlův most e altri due ponti vennero chiusi, non solo per il rischio di crolli, ma anche per non intralciare i soccorsi. Nella piazza della Città Vecchia si bloccò l’Orologio Astronomico, con le lancette ferme alle ore 10:55.

Tanti i curiosi, molti dei quali turisti, che quel giorno assiepavano le alture attorno al fiume per osservare il triste spettacolo, ma furono anche migliaia i volontari che si rimboccarono le maniche e corsero a dare una mano per provare ad arginare l’acqua erigendo muri di sabbia e, nei giorni successivi, per sgomberare i detriti.

Si dice talvolta che i cechi sono un popolo abituato a dare il meglio di sé nei momenti più drammatici. Nell’agosto del 2002 se ne ebbe una prova evidente, ad iniziare dalla compostezza con la quale i cittadini affrontarono la situazione. Non ci furono scene di panico, atteggiamenti di isteria e la popolazione si distinse per contegno e dignità. Chi pianse lo fece in silenzio. Eppure furono in tanti quel giorno, non solo a Praga, a perdere tutto. Le forze dell’ordine segnalarono pochissimi casi di sciacallaggio.
Il ponte di Písek distrutto dall'alluvione Il presidente Václav Havel, che tornò precipitosamente dal Portogallo, dove si trovava in vacanza, scrisse sul Financial Times: “L’atmosfera di questi giorni evoca il ricordo dei tragici fatti dell’agosto del ‘68 e l’invasione sovietica, per il medesimo valore mostrato dalla gente davanti alla catastrofe”.

Il primo ministro Špidla cercò di infondere coraggio alla gente con un discorso televisivo alla Nazione: “Questo – disse – è il peggior disastro naturale mai subito dal nostro Paese. I cechi oggi però stanno dimostrando di essere un popolo solidale, tenace e valoroso. Non scordiamoci che questa è una nostra grande forza”.

Complessivamente, in tutto il Paese, furono quasi 250 mila i cittadini che dovettero lasciare le proprie case, di cui 50 mila solo a Praga. La maggior parte furono riuniti nelle scuole, in sistemazioni di fortuna.

A perdere la vita furono 17 persone, ma il bilancio in termini di vite umane sarebbe potuto essere ben peggiore se il sistema di allarme e di evacuazione non avesse funzionato in modo così puntuale.

Pesantissimi anche i costi finanziari, visto che i danni raggiunsero il conto finale di quasi 80 miliardi di corone, di cui quasi dieci per ripristinare la metropolitana di Praga, che fu letteralmente messa in ginocchio, con quasi un terzo delle stazioni allagate e diversi mesi prima che il servizio potesse riprendere regolarmente. Sulla metropolitana non mancarono le polemiche. Secondo alcuni esperti, l’azienda trasporti cittadina sottovalutò i rischi di alluvione e chiuse troppo in ritardo le stazioni.

Di particolare impatto simbolico fu anche la distruzione del giardino zoologico di Praga, nel quartiere di Troja. Nonostante l’alacre opera degli addetti, per trasferire gli animali in luoghi sicuri, furono circa 100 gli ospiti dello zoo che non ce la fecero, fra cui tre ippopotami, un elefante e un leone, che morirono affogati. Indimenticabile la vicenda della foca Gaston, che approfittò del bailamme di quelle ore per darsi alla fuga. Nuotò per centinaia di chilometri, lungo la Moldava, poi sull’Elba, prima di essere di nuovo catturata stremata in Germania. Morì qualche giorno dopo, probabilmente avvelenata da sostanze tossiche ingerite durante la fuga, e la sua storia commosse il mondo.
Per alcuni giorni, in diverse vie della città si poté circolare solamente con l’ausilio di barche e gommoni, in attesa che l’acqua se ne andasse e che la città riemergesse dall’angoscia. Il quartiere di Karlín a Praga, fra i più colpiti dall’inondazione, venne riaperto solo dopo una settimana, quando poté almeno iniziare l’opera di ripulitura. L’acqua, ritirandosi, lasciò solo fango e detriti. Il fetore nauseabondo emanato dalle macerie, impose per diversi giorni l’uso di mascherine e di rigide misure igieniche. L’abitabilità del quartiere rimase esclusa per alcune settimane, ma il peggio era ormai passato, così come nelle altre zone invase dall’acqua.

Tantissimo c’era ancora da fare, ma il sole era ormai tornato a splendere sulla Repubblica Ceca in quell’ultimo scorcio d’estate. L’emergenza era ormai terminata, come dimostrò a fine mese, il 29 agosto, la riapertura del Ponte Carlo, dopo una serie di rassicuranti verifiche sulla sua stabilità. Lo stesso giorno riaprì i battenti e si affollò di ospiti U Zlatého tygra, la birreria più vera della Città Vecchia, ulteriore segnale che la vita a Praga stava riprendendo la sua normalità.

di Giovanni Usai