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I partiti politici cominciano a prepararsi, in vista delle elezioni dell’autunno 2021
Il coronavirus sta avendo un effetto ben superiore dei vari raduni di piazza anti Babiš e degli stessi scandali sui conflitti d’interesse del premier

Dai primi posti al fondo della classifica. Il caso della Repubblica Ceca, che ha superato brillantemente la prima ondata dell’epidemia per piombare nella seconda ondata con un numero di contagi tra i più alti in Europa, ha suscitato l’interesse della stampa e degli specialisti. Il tracollo epidemiologico comincia a produrre anche alcuni effetti politici non di poco conto. A meno di un anno ormai dalle elezioni politiche del 2021, il movimento Ano, architrave del governo, ha registrato negli ultimi mesi un sensibile calo nei sondaggi pur rimanendo primo, mentre i socialdemocratici della Čssd e i comunisti del Ksčm – i primi membri della coalizione e i secondi in veste di sostegno esterno dell’esecutivo – annaspano sempre più vicini alla soglia fatale del cinque percento di sbarramento.

La politica della fisarmonica

L’epidemia sta rappresentando il classico fattore esterno che ha scosso e rimesso in moto la scena politica ceca, dove i rapporti di forza fra i partiti erano rimasti congelati dalle elezioni politiche del 2017, che avevano segnato la netta affermazione di Ano.

Il coronavirus sta avendo un effetto ben superiore dei vari raduni di piazza anti Babiš, delle contestazioni e degli stessi scandali sui conflitti d’interesse del premier.

Con l’aumento dei contagi il governo si è trovato quest’autunno sotto il tiro incrociato dei media e delle opposizioni. Non è una situazione inedita, ma questa volta le forze governative devono reagire su un campo del tutto sconosciuto. Inoltre, la difficoltà sul versante epidemiologico, con l’imperversare della seconda ondata del virus, va a colpire direttamente le persone che erano al centro del messaggio politico di questo governo, vale a dire i ceti medi e deboli, a partire dagli anziani e dalle fasce dei lavoratori dipendenti. Nell’elettorato stanno sorgendo dubbi sulle capacità reali del premier e non solo sul versante comunicativo.

Come molti altri paesi d’Europa, l’esecutivo della Repubblica Ceca ha adottato una politica della fisarmonica per affrontare il coronavirus. Le disposizioni governative seguono il numero dei contagi invece di anticiparlo e fissare degli obbiettivi misurabili. In questo modo le restrizioni arrivano troppo tardi e l’allentamento troppo presto. Questa politica produce un andamento di alti e bassi, di ondate che si alternano a bonacce apparenti, con la conseguenza di fatto di impedire all’esecutivo di assumere decisioni di medio e lungo periodo. L’azione di governo diventa in questo modo un continuo navigare a vista.

Sulla cresta dell’ultima ondata

L’epidemia sarà certamente uno dei fattori chiave delle prossime elezioni e gli elettori si ricorderanno probabilmente soprattutto gli esiti dell’ultima ondata, la quale non è detto sarà quella di questo autunno. La politica della fisarmonica, per la sua stessa conformazione, è destinata ad andare incontro a seconde, terze, quarte ondate, fino a quando non ci sarà un vaccino sicuro contro il coronavirus, sia dal punto di vista medico che della percezione delle persone (percezione che si potrà valutare solo in base al grado di disponibilità dei cittadini a farsi vaccinare). Il tanto atteso antidoto in Repubblica Ceca quasi sicuramente non arriverà prima della primavera o della prossima estate.

Lo scenario di inizio pandemia, che prevedeva un tonfo nel secondo trimestre, una ripresa nella seconda metà del 2020 e cifre da boom economico nel 2021 non vale più. La ripresa nella seconda metà dell’anno sarà sicuramente più debole e l’andamento del 2021 rimane avvolto nella nebbia. L’ultima stima autunnale della Banca nazionale ceca parla per quest’anno di un calo del Pil del 7,2% e di una ripresa striminzita il prossimo anno di +1,7% del Pil.

Unica arma che il governo Babiš ha a disposizione per difendersi da questa situazione, è la spesa in deficit. E infatti per il 2021 è previsto un deficit di 320 miliardi di corone, il secondo più alto nella storia ceca dopo quello di quest’anno. Non è ben chiaro cosa ci sia all’interno di questo bilancio oltre agli evergreen dell’esecutivo come il rialzo degli stipendi nel comparto dell’istruzione, qualche risorsa in più alle infrastrutture o altri soldi per spese militari. È però molto probabile che il governo si aspetti per il prossimo anno un calo del gettito dovuto alla mancata ripresa dei consumi e una flessione delle imposte dirette, qualora dovesse verificarsi, come è ipotizzabile, un incremento della disoccupazione. Se la Camera approverà il bilancio con il deficit attuale, è altrettanto verosimile che il governo metterà a disposizione fondi in programmi, come l’Antivirus, grazie al quale la situazione sul fronte occupazionale dovrebbe rimanere ancora calma.

È chiaro che all’opposizione non piaccia che il governo abbia un portafogli traboccante nell’anno della chiamata alle urne per il rinnovo della Camera dei deputati. La tentazione di regali elettorali sarà grande. Ai partiti che si oppongono al governo Babiš rimane quindi da usare solo la retorica della responsabilità di bilancio che tuttavia – a ben vedere – è stata messa nel congelatore dappertutto in Europa in seguito alla pandemia, a partire dalla parsimoniosa Germania.

Il dibattito sulla legge finanziaria del prossimo anno ha però mostrato quanto sia disastrata al proprio interno l’alleanza di governo. L’esecutivo a novembre inoltrato non è ancora riuscito a trovare una quadra su quello che si prospetta come il principale regalo elettorale in vista del 2021, vale a dire la cancellazione del cosiddetto super-lordo (stipendio lordo aumentato dei contributi) ai lavoratori dipendenti. Andrej Babiš e il leader dei socialdemocratici Jan Hamáček alla fine hanno depositato alla Camera due proposte differenti. A decidere sarà quindi non il governo ma il plenum della Camera e i partiti dell’opposizione sicuramente troveranno il modo di ritagliarsi lo spazio per rivendicare il merito dell’eventuale calo delle tasse.

E la sospensione sino alla fine del 2022 del Registro elettronico degli incassi, vale a dire il cavallo di battaglia in questi anni di Babiš, mostra come il governo, in questa nuova situazione di quest’anno, abbia perso buona parte della sua consistenza politica.

Babiš circondato

La situazione epidemiologica che tarda a migliorare, i sondaggi in calo, il risultato non eccelso nelle elezioni regionali e senatoriali dello scorso ottobre, non sono certo segnali di buon auspicio per l’attuale primo ministro, tanto più che i partiti di opposizione in vista del 2021 hanno già cominciato a stipulare patti ed alleanze, col chiaro intento di fare massa critica in funzione anti Babiš.

Il leader di Ano 2011 rischia di vedersi accerchiato dai suoi oppositori e di trovarsi senza alleati di rilievo e di adeguata consistenza elettorale.

Sarebbe comunque un errore dare per spacciato il premier, che in campagna elettorale ha sempre dato prova di capacità di recupero. Nella situazione attuale gli undici mesi che mancano alle elezioni sono un’eternità e qualsiasi previsione è improbabile e forse perfino inutile. Certo è che, in un frangente come questo servono fiuto politico e capacità di decisione, tutte cose che questo governo stenta a dimostrare.

Sin da ora è però chiaro che per Babiš la posta in gioco è molto più alta che per gli altri leader politici. In primo luogo, non è chiaro quanto potrebbe reggere un movimento come Ano all’opposizione. Il rischio è che si sciolga come neve al sole, con la stessa velocità con la quale si è formato. Babiš d’altronde non è un normale politico, che dopo un insuccesso può facilmente farsi da parte e magari tornare a fare normalmente l’imprenditore. Le tante aziende delle quali continua a essere proprietario, seppure con la schermatura di alcune società fiduciarie, sono tanto il suo punto forte quanto quello debole. È noto quanto il gruppo Agrofert sia dipendente da sovvenzioni nazionali ed europee, così come dagli appalti pubblici. Un governo nemico particolarmente agguerrito potrebbe mettere in serie difficoltà l’impero di Babiš, la cui tenuta è strettamente subordinata alle buone relazioni con il settore bancario. Inoltre, il leader di Ano 2011 ha diversi pendenti con la giustizia, che ora sono sospesi, ma con un governo non amico potrebbero riprendere vigore. In poche parole, Babiš rischia seriamente che una eventuale sconfitta in politica gli costi buona parte del suo impero imprenditoriale e, nella peggiore delle ipotesi, persino la libertà personale. Il che d’altronde, come la storia spesso ci ha insegnato, costituisce l’aspetto negativo dell’essere un oligarca in politica.

di Giacomo Dei Tamburi