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Sul leader di Ano pesano la gestione discutibile del coronavirus e il conflitto d’interessi, ma in suo favore ci sono le divisioni degli avversari e la sponda presidenziale di Zeman

I passi falsi che hanno caratterizzato la gestione della crisi sanitaria da parte del governo ceco, catapultando questo Paese ai primi posti nel mondo per percentuale di decessi, hanno ridotto notevolmente negli ultimi mesi la popolarità del premier Andrej Babiš e ne hanno appeso a un filo il destino politico. Le continue polemiche legate alla sua perdurante posizione di conflitto di interessi, al presunto uso illegittimo dei fondi europei e al suo rapporto di compromissione col regime pre ‘89 non sono nulla rispetto all’effetto che nei mesi invernali ha avuto per l’immagine del primo ministro la pandemia di Covid-19. Prima dell’arrivo del coronavirus, Ano, il partito del quale Babiš è padre e padrone, primeggiava, sfiorando il 30% dei consensi. Ora galleggia poco al di sopra del 20% che i sondaggi gli attribuiscono. Secondo gli osservatori, sono tanti gli elettori pronti a voltargli le spalle rispetto al 2017.

Tuttavia, quando mancano meno di quattro mesi al voto di rinnovo della Camera dei deputati, in programma l’8 e il 9 ottobre, appare prematuro darlo già oggi per spacciato. Il tempo che manca alle elezioni potrebbe giocare a suo favore, così come una serie di altri fattori, a iniziare dalla scaltrezza che Babiš ha sempre dimostrato durante la sua carriera, sia quella pre ‘89, all’ombra del regime comunista, sia quella successiva, da businessman e politico. Insomma, salvo gli enigmatici sviluppi futuri legati al Covid-19, non ci sarà da sorprendersi se trovasse il sistema di riprendere quota e se il voto decretasse la conferma del premier miliardario. Con la benedizione, ovviamente, del presidente Miloš Zeman.

La dubbia consistenza e compattezza della concorrenza

Per tutto l’inverno e sino all’inizio della primavera, ad assumere il ruolo di favorita in vista delle elezioni è stata una alleanza formata dai Pirati, componente maggioritaria, e da Stan, il movimento civico dei Sindaci e indipendenti, che funge un po’ da stampella. Sarà probabilmente anche per questa sua composizione, che la coalizione Pirati/Stan ha iniziato in maniera piuttosto claudicante queste prime settimane di campagna elettorale, messa subito alle corde dalle bordate populiste di Babiš. Il premier, per esempio, non si è limitato al fuoco di sbarramento ma ha iniziato il contrattacco sin dall’avvio della campagna elettorale, attribuendo ai Pirati l’intenzione di essere in combutta con Bruxelles e di voler, per esempio, aprire le porte della Repubblica Ceca ai migranti irregolari di religione islamica, addirittura di voler alloggiare gli stranieri nelle case di chi ha metri quadrati in eccesso. Allo stesso tempo, Babiš fa di tutto per dare dei Pirati l’immagine dei “tipi strani che costituiscono una minaccia per il modo tradizionale di vivere dei cechi”, argomenti coi quali Babiš già in passato ha dimostrato di avere facile presa su buona parte dell’elettorato di questo paese. Fatto sta che i Pirati, insieme a Stan, dopo essere stati a lungo favoriti, con percentuali di consenso vicine anche al 25%, ora all’inizio dell’estate cominciano ad afflosciarsi e ad avere l’aspetto di quei ciclisti, in fuga per tanti chilometri, che una volta raggiunti, non hanno più le energie per arrivare al traguardo.

A togliere vigore ai Pirati è anche l’altra coalizione dei partiti che si oppongono a Babiš, vale a dire Spolu (Insieme), formata dai Civici democratici dell’Ods, dai Cristiano democratici del Kdu-Čsl e dai Liberali del Top 09. In teoria Spolu – alla guida della quale c’è il presidente dell’Ods Petr Fiala, un leader dal carisma impalpabile – dovrebbe costituire il naturale alleato di Pirati e Stan per dar luogo a una coalizione di governo post voto. Sarà poi però tutto da dimostrare se le due coalizioni elettorali, formate nel complesso da cinque partiti, saranno in grado di trovare sufficienti punti in comune per un plausibile programma di governo, al di là della comune intenzione di mettere fuori gioco Babiš.

Senza escludere la possibilità che l’attuale comune nemico possa rivelarsi, per alcuni di questi cinque partiti, o per alcuni dei suoi esponenti, un possibile interlocutore col quale accordarsi e magari allearsi. Le logiche della politica, non solo ceca, hanno già in passato dato dimostrazioni di questo tipo.

La sponda presidenziale a favore di Babiš

Un ruolo decisivo per la formazione del prossimo governo ceco, quello che scaturirà dalle elezioni di ottobre, lo giocherà il presidente Miloš Zeman. Quest’ultimo ha già messo le cose in chiaro sulla linea che intende seguire. Intanto, non curandosi del ruolo super partes, ha annunciato che in ottobre voterà a favore di Ano, quindi di Babiš. In secondo luogo, ha detto espressamente che le coalizioni preelettorali non solo non gli rappresentano nulla, ma addirittura di considerarle delle “truffe nei confronti dei cittadini”.

La popolarità di Miloš Zeman, secondo i sondaggi, è ai minimi storici, quindi è tutto da vedere se l’endorsement a favore di Ano, servirà davvero a tirare la volata elettorale all’attuale premier. Una importanza più determinante avrà invece, con ogni probabilità, l’intenzione presidenziale di infischiarsene delle coalizioni elettorali (ancora meno ovviamente di quelle anti Babiš), e affidare l’incarico di formare il prossimo governo al leader del partito più forte, che con ogni probabilità sarà proprio Ano.

Gli interrogativi sui futuri alleati

Di ovvia importanza sarà per Babiš il risultato elettorale dei suoi attuali alleati, in primo luogo i socialdemocratici della Čssd, attuali partner di governo di Ano, e i comunisti del Ksčm. Sono stati proprio i comunisti, infatti, che negli ultimi quattro anni, col loro sostegno esterno, hanno garantito al governo di minoranza Ano/Čssd, di rimanere in sella.

I due storici partiti della sinistra ceca appaiono attanagliati da alcuni anni da una crisi profonda. Alcuni sondaggi evidenziano persino il rischio che, soprattutto i socialdemocratici, non riescano a superare la soglia di sbarramento del 5%, mancando quindi l’obiettivo di eleggere propri rappresentanti alla Camera dei deputati, il che porrebbe Babiš nella necessità di trovare altre forze con le quali coalizzarsi.

Esclusa l’ipotesi di una alleanza con i sovranisti della Spd di Tomio Okamura, Babiš potrebbe, secondo diversi osservatori, trovare un appoggio in Přísaha (Giuramento), una forza politica nuova di zecca, che si presenta quest’anno alle elezioni per la prima volta e che secondo i sondaggi avrebbe chance non trascurabili di superare lo sbarramento del 5%, ponendosi come futuro ago della bilancia.

Přísaha si propone come la classica forza antisistema, che pone al centro del proprio programma politico la lotta alla corruzione, un evergreen delle campagne elettorali degli ultimi anni in Repubblica Ceca, che tra l’altro ha sempre premiato in termini di voti chi se ne è fatto portatore. Il fondatore di Přísaha è Robert Šlachta, un ex super poliziotto che ha guidato l’Unità anticrimine organizzato della polizia ceca dal 2008 al 2016, prima di lasciare la divisa, sbattendo la porta e dicendo di non essere gradito all’establishment. Šlachta ha tutte le sembianze dell’“uomo giusto al posto giusto”, a tal punto da far sorgere il dubbio che Přísaha sia il risultato di una abile operazione di marketing, ispirata dallo stesso Babiš, allo scopo di crearsi un partito amico. Ad alimentare questa ipotesi è anche il fatto che sono alcuni ex spin doctor di Ano a modellare la campagna elettorale di Přísaha. “Lui è un businessman miliardario, io sono stato per trent’anni un servitore dello Stato. Con Babiš non ho assolutamente niente in comune” ha sinora tagliato corto Šlachta commentando queste congetture. Niente però può escludere che il giustiziere ex poliziotto e il miliardario premier i punti di intesa possano trovarli dopo le elezioni.

Per ora, in quest’estate appena iniziata col Covid-19 indebolito ma non ancora sconfitto, i cechi sembrano preoccupati più di sapere, se e dove potranno trascorrere le loro vacanze, che dell’appuntamento di ottobre con le urne. La campagna elettorale si infiammerà durante il mese di settembre, e tutto lascia pensare che si tratterà di uno scontro durissimo nel quale, vista la posta in gioco, non mancheranno i colpi bassi.

di Giovanni Usai