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Il rivoluzionario argentino passò sei mesi a Praga nel 1966 senza che nessuno si accorgesse di nulla. Finché un giorno Fidel Castro decise di prendere in giro i servizi cecoslovacchi

Praga, aprile 1966. Al Café Slavia, o Kavárna Slavia, storico locale di fronte al Teatro nazionale, un uomo, si direbbe sulla cinquantina, siede a un tavolo. Guarda la Moldava che scorre lentamente fuori dalla finestra, beve un caffè, scrive. Calvizie incipiente, con una leggera gobba, ben rasato, denti sporgenti e occhiali dalla montatura quadrata. Non è la prima volta che viene allo Slavia. Concentrato, austero al limite della cupezza, potrebbe essere un professore. Il fisico da vecchio soldato (un veterano?) è tradito da attacchi di tosse.

Chissà cosa ne pensa degli artisti e dei capelloni della rivoluzione culturale degli anni Sessanta; chissà cosa pensano di lui gli artisti e i capelloni che incrociano il suo sguardo. Nulla, probabilmente, se non che sia uno straniero, dall’aspetto conservatore, uruguayano a chi s’azzarda a chiedere – ma che s’accompagna spesso a un giovane di colore con foltissimi capelli ricci, il che almeno attira l’attenzione delle ragazze. Non se vedono poi tanti di stranieri dalla pelle scura da queste parti.

Cosa scrive l’uruguayano? Appunti su “el hombre nuevo”, l’uomo nuovo. Ecco, nulla di più banale per un locale praghese del 1966: un comunista, come tanti. Da non farci caso.

Cuba, 1971. Fidel Castro, Líder Máximo del comunismo cubano, pregustando una sorpresa lasciata maturare cinque anni, invia una nota al ministero degli interni cecoslovacco: chiede, se possibile, di sapere l’indirizzo della residenza di Che Guevara a Praga nell’estate del 1966, così da apporvi, se fosse concesso dalle autorità locali, una targa commemorativa. Un ignoto funzionario, ottomila chilometri a Oriente, sgrana gli occhi come un gatto davanti ai fanali di un tir. Come, scusi? Che Guevara a Praga?

Le autorità cecoslovacche preferiscono non rispondere alla richiesta dei cubani, camuffando l’imbarazzo con il sussiego. La StB, i temibili servizi segreti, non s’erano accorti di nulla. A onor del vero, così come Cia e Kgb: i cubani avevano fatto sparire per mesi il rivoluzionario più famoso del mondo, in piena guerra fredda, facendolo passeggiare liberamente in una delle capitali più belle d’Europa. Qualcuno all’Avana si fuma un sigaro, soddisfatto. Begli scherzi, quando c’era il Che.
L’anno segreto del Che

Nell’estate del 1965, dopo cinque anni come ministro del governo cubano, Ernesto “Che” Guevara, il rivoluzionario per eccellenza, decise che il lavoro d’ufficio mal gli s’addiceva. Riprese in mano il fucile e tornò in azione seguendo una delle missioni segrete dei servizi di Castro all’estero, nello scacchiere più delicato degli anni ‘60: l’Africa. Tra decolonizzazione e guerra fredda, i guerriglieri sognavano di esportare la rivoluzione sostenendo minuscole avanguardie marxiste in diversi paesi. È così che il Che si ritrovò in Congo a fine ‘65, in una missione catastrofica da cui i cubani scapparono a gambe levate dopo pochi mesi. Nel dicembre di quell’anno, Fidel Castro annunciò ad un congresso del partito che Guevara non sarebbe tornato a L’Avana; l’argentino era al servizio della rivoluzione, da qualche parte nel mondo, al servizio dei popoli oppressi – una decisione, si disse, più di Castro che del Che.

Impossibilitato a rientrare a casa, in attesa di conoscere la prossima destinazione, quest’ultimo giunse a Dar el Salaam, nella neonata Tanzania. Qui fu raggiunto a febbraio 1966 da Luis García Gutiérrez, detto Fisín, di professione dentista a L’Avana, con in valigia un biglietto aereo e gli strumenti del mestiere. Il biglietto aereo era per Praga. Gli strumenti del mestiere, che sconfinava non di poco oltre i classici limiti dell’odontoiatria, servivano a rendere il Che irriconoscibile: una protesi dentaria, una gobba, una corona di capelli bianchi su una finta calvizie. E per la più classica ciliegina sulla torta, degli occhialoni da vista quadrati. Ecco Ramón Benítez, uruguaiano, ufficialmente nella scorta di un funzionario comunista.

Un rivoluzionario a Praga

Il trucco usato dai cubani era stato molto semplice. Essendo la Cecoslovacchia un paese in orbita socialista, così come la nuova Tanzania, il passaggio di persone al di qua della cortina di ferro filava relativamente liscio. Missioni diplomatiche di Castro avevano già visitato Praga, e lo stesso Guevara era stato accolto dal presidente Antonín Novotný nel 1961 e nel 1965, quando i due paesi avevano firmato diversi accordi di cooperazione (era il momento d’oro dei rapporti tra Cuba e Cecoslovacchia, che si raggelarono dopo l’invasione sovietica del ‘68). Così i cubani dissero di voler nascondere nella capitale boema un agente, con degli uomini di scorta, di rientro dalla missione africana; Ramón Benítez era un membro della scorta. Alla StB non vennero sospetti e misero degli alloggi a disposizione dell’intelligence alleata.

I primi tre mesi, tra marzo e maggio 1966, il Che li passò in un piccolo appartamento, ancora oggi ad un civico ignoto, sulla Heřmanova, nel quartiere residenziale di Letná; tra giugno e agosto in una villa di Ládví, quartiere più periferico a Nord-est della città. A estate finita la nuova – e drammaticamente ultima – missione del Che entrava in fase operativa: Ramón Benítez prese un volo per Cuba prima di ripartire, ancora una volta in gran segreto, per la Bolivia.

Parlano i protagonisti

Negli ultimi anni la storia di Guevara/Benítez a Praga ha trovato più volte la luce del sole, grazie all’apertura degli archivi del periodo comunista. Diversi articoli o servizi giornalistici, tra interviste a storici sulla radio nazionale o gossip a posteriori su diversi magazine – storie di amanti boeme, ubriacature nelle birrerie locali e più in generale fantasie da 007 partendo dalle poche notizie sulle note della StB. Ma per avere finalmente più notizie, bisogna partire dall’altra parte del mondo. Nel 2014 l’ormai 86enne Luis García Gutiérrez, il dentista Fisín, ha pubblicato a Cuba il libro “La otra cara del combate” (ovvero, L’altra faccia della lotta) che racconta le sue memorie di “truccatore” dei rivoluzionari: il Che, ovviamente, in copertina. Un paio d’anni più tardi il libro è arrivato tra le mani di una giovane documentarista cubano-brasiliana, Margarita Hernández, che ha deciso di farne un film. Essendo passati poco più di 50 anni dagli eventi, la regista ha deciso di tornare a Cuba e incontrare diversi protagonisti: combattenti e funzionari che hanno accompagnato il Che tra ‘65 e ‘66 in Congo, in Tanzania e a Praga. Grazie ai loro racconti scopriamo aneddoti curiosi del rivoluzionario nella Citta d’oro. Scopriamo un Ramón Benítez che frequenta liberamente i caffé praghesi, ma meno le birrerie; temerario in politica ma conservatore in casa, poco alcol, nessuna donna; amante delle passeggiate, annoiato dal clima (l’asma tornava a farsi sentire). Ulises Lascaille, suo aiutante ed allora ventenne, ricorda di quando portò un disco dei Beatles e fu preso a male parole da Guevara, che preferiva classici latinoamericani; in pochi giorni però il rivoluzionario si ammorbidì e ogni tanto si lasciava andare a un “Ulises, metti un po’ quella musica capitalista che mi piace…”. Ulises, oggi giornalista in pensione a L’Avana, fu allontanato poco dopo: il suo essere di colore e i suoi folti capelli ricci a quanto pare attiravano troppa attenzione, soprattutto delle donne locali. Così, nel passaggio alla villetta di Ládví, Guevara fu raggiunto dallo stesso Fisín, sempre con gli strumenti del mestiere, pronto a “invecchiarlo” ancora di più prima di ripartire…

Il film “Che, memorias de un año secreto” (Che, memorie di un anno segreto), uscito nel 2018, è stato presentato a Praga al festival del cinema in lingua spagnola La Película, a febbraio 2019. In programma al Kino Světozor, ha registrato il tutto esaurito così velocemente che gli organizzatori hanno aggiunto una seconda proiezione – anche questa sold-out.

Ideologia politica a parte, l’icona Che Guevara è un simbolo enorme del ‘900, e la spy-story per le strade della capitale è un magnete non da poco. Come quel funzionario ignoto che lesse il messaggio di Fidel Castro, l’audience al cinema deve esserci rimasta di sasso: “Che Guevara a Praga?”

di Giuseppe Picheca