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Le possibili connessioni fra il pensiero esoterico e l’opera del grande scrittore praghese

Non stupisce che Franz Kafka – figura chiave ed emblematica della cultura del Novecento e autore nel novero di quelli considerati “patrimonio dell’umanità” – nel suo complesso e fecondo percorso di indagine sull’animo umano e sulle spesso illogiche regole che reggono il gioco dell’esistenza, si sia ad un certo punto del proprio cammino trovato a confrontarsi con l’occulto e quello che possiamo definire: “pensiero esoterico”. Ad uno sguardo appena più approfondito poi ci si rende conto che sarebbe stato strano il contrario, se si considera che Praga, sfondo alle sue vicende personali e letterarie, di connessioni con la cultura esoterica, soprattutto nei primi decenni del XX secolo, ne aveva molte e certamente non casuali, in modo particolare per quanto riguarda gli ambiti artistici e letterari.
Se si pensa al retroterra culturale dello scrittore, legato alle vicende della Praga ebraica, sorge immediatamente il sospetto di un possibile rapporto tra Kafka, la sua opera e la tradizione della Cabbalà degli ebrei praghesi, e in molti hanno cercato di portare alla luce tale connessione. Tra questi anche il filosofo e teologo semitista, esperto di misticismo ebraico, Gershom Scholem che attribuisce alla scrittura di Kafka “un senso cabalistico della realtà” e arriva a dire perfino che in una condizione di tensione spirituale bisogna fare continui collegamenti tra la Bibbia, lo Zohar (il testo più importante della tradizione cabalistica) e l’opera dello scrittore praghese. Per Scholem gli scritti di Kafka “esprimono in forma secolarizzata la sensibilità propria della Cabbalà”, cosa che può essere difficilmente smentita, visto che molti temi nei suoi scritti sono questioni care anche all’indagine mistico-cabalistica chassidica tipica dell’Europa Centrale come, ad esempio, quelle della caduta dell’essere umano, della libertà, del problema del bene e del male, del compito dell’uomo, e la cosa non può certo essere considerata casuale. È lo stesso Kafka, infatti, che in una pagina dei suoi diari (16 gennaio 1922), definisce la letteratura una potenziale “nuova dottrina esoterica, una cabala”, dando a quest’ultimo termine il significato ad esso più appropriato, viste le radici e la posizione di chi scrive.

Non deve sorprendere, dunque, se qualche studioso ha cercato e individuato tra le pagine di Kafka legami a volte forzati, a volte invece molto chiari con l’esoterismo e alcune sue dottrine, perché è innegabile, ad esempio, che i suoi stessi personaggi come il giovane in “America”, il Procuratore nel “Processo”, il protagonista de “La metamorfosi”, l’agrimensore nel “Castello” siano per certi versi archetipi antichi e moderni di un’umanità che si trova davanti alle contraddizioni e al mistero dell’esistenza di cui cerca di penetrare, quasi sempre invano, il senso intimo.

Karl Erich Grözinger, accademico ebraista, nel suo studio dal titolo “Kafka e la Cabbalà”, ha scritto che “Il processo”, sia dal punto di vista biografico, sia tematico, affonda profondamente le sue radici nella tradizione esoterica della Cabbalà, e sostiene, tra le altre cose, che personaggi come Josef K. e l’agrimensore del “Castello” possono essere considerati “persone che sono a conoscenza del nesso di influenze che esiste tra il mondo nascosto e quello visibile e che si cimentano nella teurgia per potere, partendo da lì, intervenire personalmente nel processo di tali influenze”. E cosa dire, poi, dell’aggettivo “kafkiano”, che indica una situazione tipica dei personaggi dello scrittore, ispirata all’assurdità e all’incomprensibilità delle circostanze in cui questi vengono a trovarsi? Anche qui i rimandi alla filosofia, alla religione e alla dottrina esoterica ebraiche sono palesi.

Ma al di là delle esegesi è lo stesso Kafka che nei suoi diari annota un momento importante: una testimonianza del suo rapporto con il mondo dell’esoterismo, un mondo che lo affascina ma, al tempo stesso, lo turba profondamente. Kafka si era interessato alla Teosofia, conosceva le opere di Annie Besant ed Helena Blavatsky, e sentiva una certa attrazione per questa dottrina che per mezzo della Società Teosofica si diffondeva in quegli anni rapidamente in tutto il mondo, e di cui esisteva una loggia a Praga fin dal 1891.

Il 26 marzo del 1911, prima che egli scrivesse le opere che dopo la sua morte lo avrebbero reso celebre a livello mondiale, Kafka assistette a Praga ad una conferenza sulla fisiologia occulta di Rudolf Steiner, l’esoterista e teosofo austriaco che qualche anno più tardi fonderà l’Antroposofia e che, al tempo, era un esponente attivo e di spicco della Società Teosofica. Colpito da quanto detto da Steiner e dal suo carisma, Franz annota nel suo diario alcuni aneddoti e, come egli stesso testimonia, qualche giorno dopo, il 28 marzo di quel 1911, incontra personalmente il teosofo presso l’Hotel Victoria nell’allora Jungmannstrasse. Kafka racconta nei particolari questo incontro e confessa da una parte la sua inclinazione naturale verso la dottrina teosofica, e dall’altra il timore reverenziale che prova per essa. L’inquietudine di Franz nei confronti dell’occultismo deriva dalla preoccupazione che questo possa farlo sprofondare in uno stato confusionale che minerebbe ulteriormente il suo stato già segnato da “infelicità e confusione”. Al dottor Steiner, Kafka confessa di aver sperimentato, grazie alla letteratura, alcuni stati di chiaroveggenza vicini a quelli descritti nelle sue conferenze, ma che tuttavia non è quello lo stato di coscienza ad offrirgli la materia letteraria migliore. Inoltre, aggiunge che la Teosofia non si concilierebbe né con la sua vita interiore, tutta presa dalla letteratura, né con quella professionale, già in grande e irrimediabile conflitto tra loro. Kafka vuole incontrare Steiner, che in quegli anni era uno dei massimi esponenti del pensiero esoterico in Europa, e che molta influenza eserciterà sulla letteratura, l’arte, la medicina e altre branche del sapere per tutto il Novecento, proprio per essere consigliato da lui se intraprendere o meno la via iniziatica.

Sappiamo che Steiner ascoltò con attenzione il discorso del giovane scrittore, ma non ci è dato sapere con certezza cosa disse. Forse il teosofo intuì le doti e la statura di Kafka e non gli suggerì nessun percorso spirituale particolare da seguire. D’altra parte non si comprende bene chi o cosa possa suggerire in tema di spiritualità o di conoscenza esoterica a chi come Franz Kafka in un passo del suo diario scrive: “Io ho potentemente assunto il negativo del mio tempo che mi è certo assai vicino e che io non ho il diritto di combattere, ma, in certo modo, di rappresentare [...] Io sono un fine o un principio”.

Rimane il racconto interessante dell’incontro tra due uomini straordinari che hanno esercitato entrambi un’altrettanta straordinaria influenza sulla cultura del Novecento e non solo, così come rimane la certezza che, a suo modo, anche Franz Kafka sia stato un iniziato di alto grado, un indagatore profondo di uno dei più grandi misteri dell’universo: l’essere umano.

di Mauro Ruggiero