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Al seguito del convoglio militare americano in Repubblica Ceca, tra calore, astio e anche molta indifferenza

La pioggia batte incessante sulla carrozzeria metallica dei blindati americani, ma le persone ai bordi della carreggiata sembrano non accorgersene. A dare il benvenuto bandiere statunitensi e ceche, in un susseguirsi di drappi bianchi, rossi e blu, quasi indistinguibili tra loro. Di tanto in tanto, ma in netta minoranza, gli stendardi dei contestatori, mentre il convoglio si fa strada per le ultime centinaia di metri verso la caserma alla periferia ovest di Praga. È qui che soldati e mezzi trascorreranno la loro ultima notte in Repubblica Ceca.

L’operazione Dragoon Ride ha percorso la Repubblica Ceca dal 29 marzo al 1° aprile, dopo le esercitazioni militari Nato, Atlantic Resolve, svoltesi nei Paesi baltici. La colonna del Secondo reggimento cavalleria degli Stati Uniti – 120 mezzi corazzati, in maggioranza Stryker, e più di 500 soldati – era di rientro nella sua base di Vilseck, in Germania, circa 50 km dal confine ceco.

Un trasferimento del genere in altri tempi sarebbe avvenuto in maniera meno scenografica, discretamente su rotaie, ma ora evidentemente prevale la necessità di rassicurare i paesi alleati della Nato rispetto alle tensioni derivanti dalla crisi in Ucraina e per certi aspetti anche di mostrare i muscoli al Cremlino. “La Russia non è un paese con il quale ci possiamo permettere di mostrare debolezza o indecisione. Accogliere il Dragoon Ride è un investimento in sicurezza per il nostro paese”, ha detto alla vigilia il ministro della Difesa, Martin Stropnický, di Ano.

“Un simile spiegamento di forze non tranquillizza un bel niente, ma produce esattamente l’opposto. È una provocazione degli Stati Uniti, che vogliono avvicinarsi sempre più ai confini della Russia. Sappiamo d’altronde come sono bravi gli americani a creare grane nel mondo, per i loro sporchi interessi” si accalora un manifestante, un certo Jan, con in mano un cartello: “Yankee go home”.

Lo schieramento dei contestatori al passaggio dei mezzi corazzati Usa – da quanto annunciato dai media nei giorni precedenti – sembrava poter essere molto più agguerrito e si temeva potesse dar luogo a blocchi stradali e proteste ben maggiori. In realtà niente di tutto ciò è avvenuto.

Le voci dei contestatori, qui, in prossimità della caserma, sono sovrastate da quelle dei simpatizzanti. Esattamente quanto accaduto il giorno prima, quando il Dragoon Ride è entrato nel territorio ceco attraverso tre diversi passi di frontiera, prima di ricongiungersi a Praga.

“Quelli che oggi qui hanno la pretesa di protestare sono soprattutto i comunisti, quelli che vorrebbero farci tornare ai tempi bui del regime. Vedere questi soldati invece mi rincuora, mostra l’impegno dei nostri alleati americani verso di noi. E credo che anche noi, con il nostro esercito, dovremmo essere più pronti a fronteggiare la minaccia russa” afferma Karolína, studentessa di 21 anni, i capelli biondi raccolti in una coda e la bandiera a stelle e strisce a proteggersi dalle raffiche di pioggia. “Io al tempo in cui eravamo sotto l’Unione Sovietica non ero ancora nata. Ma i miei genitori, ogni volta che parlano della loro gioventù, mi raccontano delle cose che io non vorrei mai vedere. Avevano paura, glielo vedo negli occhi ogni volta. E quando avrò la loro età, io voglio avere occhi diversi”.

L’82% dei cechi, secondo un sondaggio Stem, ha affermato di non sentirsi preoccupato dal passaggio del convoglio americano sul territorio nazionale. Un altro sondaggio, della Median, ha messo in luce più analiticamente che favorevole è circa il 40% dei cittadini. Una percentuale analoga dichiara di non capire tutto il clamore che suscita il passaggio della colonna militare americana, dimostrando di non preoccuparsene troppo, in pratica di infischiarsene. Gli altri sono contrari, in maniera più o meno elevata.

A ben vedere, dall’alto del Castello di Praga, lo stesso presidente Miloš Zeman – eletto nel 2013 con netta maggioranza, pur essendo ben nota la sua benevolenza nei confronti della Russia di Vladimir Putin – usa questo argomento contro chi contesta Dragoon Ride: “Gli Usa sono nostri alleati e dire che si tratta di truppe di occupazione è solamente frutto di pazzia antiamericana. Non sono d’accordo esattamente come quando mi capita di sentire identiche pazzie antirusse”. Il capo dello Stato ceco coglie inoltre l’occasione per pronunciarsi nuovamente a favore della creazione di un esercito dell’Unione Europea: “Diventerebbe anche un sostegno per le forze armate americane, evitando che siano solo gli Stati Uniti a doversi assumere il peso delle crisi internazionali”.

A proposito ancora di sondaggi, le statistiche dimostrano che i cechi – da un lato favorevoli o comunque non contrari al passaggio del Dragoon Ride – sono invece molto netti nel non gradire la presenza di basi militari americane nel territorio nazionale. Secondo una rilevazione della Median, i favorevoli sono il 22%, mentre i contrari il 54%. È una situazione che ricorda quella di dieci anni fa, quando il piano di installazione di una base radar Usa in Boemia centrale, nell’ambito di un più ampio progetto di sistema antimissili comprendente anche la Polonia, scatenò la reazione contraria dell’80% della popolazione ceca.

La caserma di Praga-Ruzyně, come avvenuto anche negli altri luoghi della Repubblica Ceca dove il Dragoon Ride ha fatto sosta, apre le porte ai visitatori. I mezzi militari messi in mostra attirano in una giornata più di ventimila visitatori. Appassionati di tecnica militare, ma anche famiglie con bambini, sfidano pioggia e vento pur di essere presenti, fotografare, stringere la mano e chiedere una foto insieme ai soldati statunitensi. Una affluenza inaspettata, che costringe gli organizzatori a prolungare l’orario d’ingresso. In tanti portano doni agli ospiti d’oltreoceano: lattine di birra, torte, tatranky al cioccolato e il classico panpepato di Pardubice.

C’è anche un anziano signore, coppola e occhiali da vista calati sul volto, che dialoga in un inglese stentato con due soldati in gonnella dell’esercito statunitense, giovani e sorridenti. Mostra un album di fotografie in bianco e nero risalenti al 1945. Risalgono alla sua infanzia, a quando i carri armati del generale George Smith Patton, a guerra quasi finita, liberarono la città di Plzeň.

Le truppe dell’Unione Sovietica fra il 1944 e il 1945 contarono quasi 150 mila morti nel territorio dell’allora Cecoslovacchia, durante l’ultima offensiva contro le forze di occupazione naziste. Non più di qualche centinaio i caduti fra i soldati americani.

“Quella dei russi – si infiamma l’anziano signore – non fu una liberazione, ma un’occupazione, come avevano deciso di fare a Yalta. L’arrivo a Praga dei loro carri con le bandiere rosse e le loro scritte in cirillico, fu solo l’inizio di una oppressione durata sino al 1989. Io ho perso i migliori anni della mia vita in quel clima di paura. Ecco perché ora sono qui a dire “benvenuti” agli americani”.

Il giorno prima, sulla Václavské náměstí, si erano fronteggiati, in due diverse manifestazioni, i favorevoli e i contrari. Sia da una parte che dall’altra non più di alcune centinaia di persone, quasi “quattro gatti” rispetto alla vastità della Piazza Venceslao. Ad arringare il gruppo dei filo Nato è giunto l’anziano principe Karel Schwarzenberg, già ministro degli Esteri per i conservatori del Top 09 e in passato cancelliere presidenziale di Václav Havel, l’eroe della Rivoluzione di Velluto: “sono felice di essere qui a dare il benvenuto e a ringraziare le truppe americane”. Sul fronte opposto, fra i personaggi politici più rappresentativi si è presentato Vojtěch Filip, leader del Ksčm, Komunistická strana Čech a Moravy, secondo il quale il Dragoon Ride è “solo una provocazione Usa”.

Per un attimo i due schieramenti si avvicinano a un passo l’uno dall’altro, le voci si infervorano e risuona un reciproco “Vergogna, vergogna”.

La presenza della polizia è notevole, ma non è necessario alcun intervento degli agenti per evitare che la situazione degeneri. Nel giro di alcune ore i manifestanti ripiegano i loro stendardi, e si avviano verso il tram e la sottostante stazione della metropolitana.

di Davide Marco Corvino