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In tutto il mondo, anche in Italia, si assiste alla riscoperta del grande giornalista praghese

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Come si dice: una vita avventurosa. Affascinante, per molti tratti, quella del praghese Egon Erwin Kisch (1885 – 1948). Il giornalista che portava lo stesso nome di Rommel, Erwin, ma si batté per una causa contraria e opposta a quella del generale di Hitler.
Forse, fra le tante, l’avventura più famosa di una esistenza comunque mirabolante fu lo “sbarco in Australia” del comunista Kisch. Sbarco, si può immaginare, osteggiato dalle autorità dell’isola-continente, timorose del “pericoloso rosso”. Correva l’anno 1934. Dopo l’epico approdo – si buttò dallo “Strathaird”, nave in cui era prigioniero nel porto di Fremantle, rompendosi entrambe le gambe, fu processato e condannato per immigrazione clandestina, liberato dopo dieci giorni di carcere – tenne una serie di conferenze e comizi, osannato come “eroe del proletariato” dagli operai australiani. Alla storia della sua perigliosa tournèe fra Sidney e Melbourne, il giornalista Egon Erwin Kisch dedicò uno dei suoi tanti libri: Landung in Australien.
Eppure, al “reporter furioso” nato nel 1885 (“der rasende reporter”, lo chiamavano gli amici tedeschi), le avventure al cardiopalmo erano sempre piaciute. Sin da quando, giovane rampollo di una famiglia di ebrei praghesi, scelse di dedicarsi alla cronaca nera, di scrivere di ubriachi, piccoli criminali e prostitute che popolavano la Praga di allora, ancora asburgica. Il giovane Kisch non tardò a manifestare la sua vocazione giornalistica: prima il debutto su piccole riviste, poi la collaborazione con il “Prager Tagblatt”, e altri quotidiani in lingua ceca e tedesca. Allo scoppio della prima guerra mondiale, a 30 anni, combatte contro i serbi, ma pensa già di trasferirsi a Vienna.
Forse Praga, la pur amata Praga del Golem e del quartiere ebraico, inizia a stargli un po’ stretta. Il ” reporter furioso” cerca gloria e fama, costi quel che costi. Militante della Guardia Rossa, fra Vienna e Berlino, in quel milieu comunista e internazionalista che celebra l’Unione Sovietica come “faro dell’umanità”. Giornalista e anche conferenziere, è nella Berlino di Weimar che Kisch consacra infine il ruolo di cronista famoso. Senza mai tagliare, però, i rapporti con la sua città natale: è corrispondente del praghese “Lidove Noviny”, scrive articoli sulla politica ceca, e insieme gira il mondo. A quel periodo risale una sua miriade di reportage e libri su Francia, Cina, Russia, Stati Uniti e Balcani.
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Ormai entrato nel mito, è una specie di John Reed boemo, è sempre nei luoghi dove frigge la storia: eccolo, nel 1936, al seguito delle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola.
Punto di riferimento della propaganda filosovietica e operaista. Tanto che, quando il Parlamento di Berlino è vittima di un incendio doloso, e i nazisti ne accusano i comunisti, Kisch è fra i “compagni” arrestati dalle autorità tedesche. Sarà liberato solo grazie all’intervento del governo cecoslovacco. Estradato dalla Germania, viene persino eletto una prima volta al consiglio comunale di Praga. Troppo rischioso tornare in patria: Egon accetta la vita dolorosa ma stimolante degli intellettuali espatriati. Certo, ci sarebbe la nostalgia, il Golem, le camminate lungo la Vltava, l’eredità letteraria di Rainer Maria Rilke e Franz Kafka, il panorama da Hradcany, ma le minacce naziste verso la piccola Cecoslovacchia ormai non fanno presagire nulla di buono.
Allora, come se nulla fosse, il “reporter furioso” e la moglie Gisela pensano a un porto sicuro: perché no, proprio agli Stati Uniti, talvolta vituperati nei suoi libri. Ma la sua immagine di “comunista internazionale ” non poteva non essere nota anche oltre Atlantico. Arrivato a New York, è confinato dalle autorità americane ad Ellis Island, l’isola degli emigranti, per nove mesi. Poi, gli concedono magnanimi un visto per il Messico.
In quegli anni che preparano la Seconda guerra mondiale, però, Città del Messico è diventata il rifugio degli intellettuali antifascisti di mezzo mondo. E’ un esilio, ma può essere un esilio proficuo ed operoso. E Kisch lavora talmente bene che, insieme ad alcuni amici, fonda una casa editrice, “El libro libre”. Qui, fra le altre cose, ripubblica gli articoli del suo volume di debutto: “Alla fiera del sensazionale”, una decina di quadretti della Praga fin de siecle. Proprio il lavoro che lo aveva avvicinato alla professione giornalistica.
A rileggerli oggi, questi racconti d’ambiente – oggi che Kisch è oggetto di una riscoperta attenta sia negli Usa che nei paesi europei – si è colpiti dalla freschezza del suo “occhio prensile”, dalla semplicità e insieme gradevolezza della prosa. Anche, (poteva mancare?) dall’umorismo di pura marca ebraica.
La vita, però, riservava al focoso Egon un’ultima sorpresa. Dopo il lungo esilio messicano, rientra finalmente a Praga nel 1946, a guerra finita. E’ un eroe cosmopolita, viene persino nominato una seconda volta consigliere comunale, pensa e aspira a nuovi incarichi prestigiosi nel nuovo governo di Edvard Benes.
Due anni intensi, insomma, nella nuova Cecoslovacchia socialista. Fino alla misteriosa morte, avvenuta nel 1948. Il “mito Kisch” è invitato a un ricevimento all’ambasciata russa. Brindisi e auguri all’eroe del proletariato: il simbolo vivente del più puro intellettuale comunista. Rientrato a casa, però, Egon accusa improvvisi malori, e muore nella notte. Un intellettuale diventato forse troppo famoso e dunque troppo scomodo per i nuovi padroni?
La fama del reporter furioso e fumoso (sempre stato un accanito fumatore) non si consuma però con la sua morte. Anzi: la Repubblica Democratica tedesca decide di pubblicarne l’opera omnia, Kisch è studiato ed esaltato come eroe della propaganda socialista in tutti i paesi del blocco sovietico. Nel contempo, i suoi libri compaiono anche in alcune mirate collane di editori occidentali. La Germania riunificata gli dedica ancora oggi il più prestigioso dei suoi premi giornalistici. Adesso, ed era tempo, la riscoperta arriva anche in Italia: si stanno per ripubblicare i migliori casi criminali descritti da Kisch nella Praga di fine secolo. Un segno che forse, alla fine, il Kisch prodigioso giornalista, viaggiatore e narratore ha avuto la meglio sul propagandista politico?

Di Ernesto Massimetti