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L’importanza delle vie fluviali condite con un tocco di storia, di economia europea e di nuove polemiche

Il progetto del collegamento tra Danubio, Elba e Oder sembra destinato ad un eterno fallimento

20 Decin Labe

Una vecchia barzelletta ai tempi della Normalizzazione comunista, recitava più o meno così: la Cecoslovacchia dichiara la creazione del Ministero della Marina. Brežnev protesta “Ma voi non siete nemmeno sulla costa!”. La Cecoslovacchia risponde “E qual è il problema? Voi avete un Ministero della Giustizia!”. Assurdi a confronto. Eppure, il paradosso della marina senza mare non è del tutto fuori luogo. C’è una via che le barche boeme percorrono da secoli, una strada navigabile che arriva diritto al Mar del Nord: l’Elba. Tra i fiumi più lunghi d’Europa, oltre mille chilometri nel cuore del continente, dalla catena di Krkonoše, nel nord-est della Repubblica Ceca, sino ad Amburgo. I suoi “marinai”, là  dove ancora si chiama Labe, sono sempre rimasti nell’immaginario collettivo del paese. Li troviamo nella Nymburk dell’onnipresente Bohumil Hrabal: personaggi mistici e forzuti, àncore e sirene tatuate sulla pelle, con cui cominciano le storie della “cittadina dove il tempo si è fermato”. Così come risalendo il fiume in tempo di guerra, Ladislav Mňačko raccontava degli avventurieri cecoslovacchi nel losco porto di Dresda, che al lettore avrebbe ricordato piuttosto Genova o Marsiglia.

L’Elba si inserisce pienamente nello splendido groviglio delle vie fluviali europee: il Vecchio Continente possiede una capillarità di vie navigabili senza eguali, percorribili in totale per oltre 37mila chilometri. La rete coinvolge, per ragioni storiche, soprattutto l’Europa centrale, tra la Senna e il Danubio passando per la Mosa, il Reno, la Ruhr, il Po, e, appunto, l’Elba. Nel XIX secolo qui passavano più navi che sul Reno (un dato: nel solo anno 1888 la Germania di Otto von Bismarck metteva in sicurezza 320 chilometri dei suoi argini). Nella seconda metà del Novecento il settore dei trasporti fluviali ha perso terreno, nella competizione con i più rapidi trasporti via strada o rotaia, senza però perdere il suo ruolo strategico – e, soprattutto, le proprie potenzialità. Basti pensare che il maggior porto marittimo europeo, Rotterdam, trasferisce un terzo delle proprie merci tramite vie navigabili interne. I dati forniti da Bruxelles (aggiornati a settembre 2013) sorprendono: ogni anno si trasportano in questo modo 140 miliardi di tonnellate-chilometro tra i 240 porti fluviali dell’Unione Europea. Il trasporto su fiume è inoltre meno impattante verso l’ambiente: circa il 30% delle emissioni di biossido di carbonio dei trasporti su strada. Senza contare la quota estremamente ridotta di incidenti durante il trasporto. Numeri decisivi, per un settore considerato comunemente meno importante. È infatti da tempo che si pensa che migliorarne l’efficienza potrebbe portare enormi vantaggi alle economie europee – soprattutto da quando l’allargamento dell’Unione ha abbattuto le storiche frontiere – spesso però senza trovare la volontà politica necessaria (tradotto: adeguate risorse finanziarie). È il caso dell’ambizioso progetto di collegare il Danubio all’Elba e all’Oder (altro grande fiume europeo che nasce in terra ceca, questa volta nella provincia morava di Olomouc), che collegherebbe il Mar Nero al Mar del Nord – e, nell’insieme, dieci Stati europei. Il progetto è di lunga data (si dice fosse un’idea già dell’imperatore Carlo IV), e fu considerato cruciale anche dai nazisti nella loro tragica avanzata verso Est. Un tratto del canale che collega tutt’oggi l’Oder alla città di Gliwice, nella Slesia polacca, fu battezzato Adolf-Hitler-Kanal sotto gli occhi di un compiaciuto Rudolf Hess nel dicembre 1939. L’idea era di creare una serie di canali per arrivare a Vienna, usando la Morava (che entra nel Danubio poco dopo la capitale austriaca) come “ponte”. Bisogna aspettare parecchi anni perché il progetto sia ripreso in mano, nonostante timide ma ricorrenti proposte dei governi comunisti polacchi e cecoslovacchi durante gli anni ‘70 e ‘80. L’idea di essere al centro di questo incredibile incrocio fluviale deve infatti aver stuzzicato non pochi economisti della nuova Repubblica Ceca di mercato. Così nel giugno 1997 si segna un primo passo, quando l’allora Primo Ministro Václav Klaus atterra ad Helsinki per firmare l’accordo europeo sui trasporti interni (AGN), in cui l’Elba figura come uno dei corsi protagonisti del futuro sviluppo fluviale – in prospettiva ancora una volta del collegamento Danubio-Elba-Oder. L’accordo si rivela essere più un gentlmen’s agreement che una svolta concreta, e le promesse sfumano nel nulla. Lo scetticismo viene, ieri come oggi, sia dai grandi costi delle opere di canalizzazione, sia dalle critiche degli ambientalisti, che temono rovinose conseguenze – timori questi del tutto legittimi, anche se a fronte della migliore efficienza ecologica del trasporto fluviale rispetto a quello su strada, la logica porterebbe a criticare l’intero assetto di import/export di un paese – e non pare questo il caso. Eppure, tra critici, scettici e noncuranti, negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Quasi a sorpresa, un impulso importante è arrivato dall’altro capo del mondo: è la Cina la prima a riaprire le danze sui fiumi boemi, nel 2005, con l’acquisizione da parte di una società di Shangai (la Hudong-Zhonghua Shipbuilding) di una quota dei cantieri della České Loděnice, lì dove l’Elba arriva a Děčín, e investimenti per un miliardo di corone. La nuova joint-venture raccoglie nuove commesse e riprendono i lavori, soprattutto verso Germania e Paesi Bassi. Nel 2007 un nuovo studio di fattibilità viene lanciato per migliorare la viabilità, e di nuovo nel 2008 e nel 2010 ma puntualmente – è il caso di dirlo – si tratta di un buco nell’acqua. Eppure la produzione è ripresa e con questa l’impulso economico comincia ad avere i suoi effetti: nel 2012 riprendono i lavori sull’Elba, si estende di una trentina di chilometri la sua navigabilità (in totale 260 in territorio ceco), si migliorano i collegamenti intermodali di Děčín e Pardubice. Arriva così il tempo di parlare nuovamente del fantomatico Danubio-Elba-Oder: questa volta con uno sponsor d’eccezione. Ancora in campagna elettorale, a gennaio 2013, il Presidente Miloš Zeman annunciava l’impegno per rilanciare il progetto da 400 miliardi di corone. Così come pochi mesi più avanti l’eco sarebbe arrivata dal governo Rusnok da lui sostenuto, con il Ministro dei Trasporti Zdeněk Žák ad affermare stentoreo “Saremmo pazzi se non sostenessimo la necessità di realizzare il canale fra il Danubio, l’Oder e l’Elba”. I mesi passano e il progetto, nonostante i costi faraonici, sembra quasi a portata di mano, soprattuto grazie al nuovo memorandum UE sullo sviluppo della navigazione interna di settembre 2013 (che lascia presagire nuovi investimenti sotto il programma chiamato Naiades II) e la notizia-effetto di due mesi dopo, 11 dicembre, quando la già citata České Loděnice di Děčín vara la più grande imbarcazione mai costruita nel Paese, 90 metri di lunghezza per 4500 tonnellate di commessa olandese. A mettere l’ennesimo bastone tra le ruote è però il nuovo governo, tramite il suo portavoce di settore: il nuovo Ministro dei Trasporti Antonín Prachař, della formazione liberale (e imprenditoriale) Ano di Andrej Babiš. Dal suo insediamento, il 29 gennaio scorso, ha lasciato intendere chiaramente che il progetto dei due mari non è una priorità del governo. Anzi, a suo dire, è proprio inutile, tanto da bloccare lo studio di fattibilità previsto e consigliare di concentrarsi su progetti minori. Il nuovo capovolgimento ha mandato su tutte le furie il Presidente Zeman, che sul progetto ha investito parecchio almeno politicamente parlando. L’ultimo meeting tra i due, il 25 marzo, si è concluso con un diplomatico statement in cui il Ministro assicura la ricerca del sostegno regionale ed europeo per lo sviluppo dell’idea in un improbabile futuro. E intanto la doccia fredda per Zeman arriva alle spalle: la Commissione Europea, dopo aver inserito l’Elba nel progetto Ten-T di priorità assoluta nel miglioramento delle vie di comunicazione europee, ha fatto una capriola inaspettata annunciando la probabile sospensione dei finanziamenti alla navigazione interna. E ora Zeman promette battaglia a Bruxelles. L’ennesima piroetta in riva al fiume di una danza che – a quanto pare – è ben lungi dall’avere una fine.

di Giuseppe Picheca