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Fra preghiere e solidarietà, l’ansia della comunità ucraina per le notizie che giungono dal proprio paese

L’affollata messa domenicale è appena terminata e davanti alla basilica si formano tanti capannelli di persone. Per gli ucraini che vivono a Praga la chiesa ortodossa dell’Annunciazione di Santa Maria – a Praga 2, zona di Albertov, poche centinaia di metri da Karlovo náměstí – è uno dei più consueti luoghi di incontro e di socializzazione. È qui che tutte le domeniche ascoltano la messa e poi si trattengono a parlare con amici e parenti sul marciapiede di fronte. Per molti di loro si tratta di una delle poche occasioni di svago, dopo una settimana dedicata solo al lavoro, con ritmi spesso molto faticosi. È una opportunità per parlare la propria lingua, ricevere informazioni utili per la vita nel nuovo paese e magari fare qualche conoscenza.

Oggi però, in questa gelida giornata festiva di fine gennaio, si respira un’atmosfera del tutto particolare. Il turbamento è palpabile e sono in tanti quelli che continuano a farsi il segno della croce e a raccogliersi in preghiera davanti a un crocifisso di fianco all’uscita.

“I nostri pensieri in questi giorni sono rivolti alle notizie che giungono da Kiev” ci spiega padre Vasyl Stojka, con ancora indosso gli indumenti liturgici. “La gente è molto preoccupata. Prega perché si plachino i segnali di guerra civile”.

L’evolversi della crisi – da quando il presidente Viktor Yanukovich ha deciso di non firmare l’accordo di partnership commerciale con la Ue – è vissuta con il fiato sospeso. Questi immigrati in Repubblica Ceca sono tantissimi e costituiscono la comunità di stranieri più numerosa (tralasciando chiaramente gli slovacchi). Sono i classici gastarbeiter, lavoratori ospiti, la manodopera a buon mercato per eccellenza.

I titolari di un regolare permesso di soggiorno sono circa 120 mila, ma il numero dei clandestini è enorme, tant’è che la cifra reale degli ucraini in Repubblica Ceca potrebbe essere superiore a 200 mila persone. Le autorità locali, soprattutto dopo l’inizio della crisi economica, hanno cercato di frenare questa immigrazione e soprattutto negli ultimi tempi hanno reso più severe le regole per il permesso di soggiorno. Tutti però sono consapevoli che l’economia ceca – soprattutto in settori nevralgici come industria ed edilizia – non potrebbe forse andare avanti se non ci fossero gli immigrati ucraini.

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(La dimostrazione “Stop alla dittatura in Ucraina” a Praga, 26 gennaio 2014 – Foto: Natalja Jaščik)

In Repubblica Ceca si stabiliscono soprattutto a Praga, ma ad accoglierli sono anche le altre principali città, soprattutto i grandi centri industriali, dov’è maggiore le possibilità di trovare una occupazione. Pur di lavorare si adattano alle mansioni più umili, le attività che i cechi non vogliono fare. Gli uomini sono impegnati in larga maggioranza nei cantieri edili oppure nelle fabbriche, spesso come manovalanza senza qualifica. Anche alle donne sono riservate mansioni più modeste, addette alle pulizie, lavapiatti in mense e ristoranti. Fare la commessa o la cameriera è già un passo avanti.

Ad unirli è il comune obiettivo di mettere da parte qualche risparmio da inviare in patria ai familiari. Comunque ben poco, visto che gli ucraini, fra tutti i lavoratori stranieri, sono quelli che in Repubblica Ceca percepiscono le retribuzioni medie più basse, meno di 15 mila corone al mese. Secondo le statistiche circa la metà dei cechi non li vede di buon occhio, con sussiego.

“Forse è vero, ci guardano un po’ dall’alto in basso, ma fondamentalmente sono grato a questo paese di avermi accolto e di avermi offerto la possibilità di lavorare. I cechi sono slavi come noi e anche la lingua è vicina alla nostra” osserva Oleg, laureato in economia al suo paese, che qui lavora come muratore e tutto ciò che riesce a metter da parte lo invia in Ucraina, dove ha lasciato la moglie e due bambini.

Quasi tutti fanno parte della ondata migratoria iniziata dopo il crollo della Unione sovietica, in fuga da un paese che risente della crisi economica in maniera sempre più pesante. Gli abitanti della Ucraina sono circa 45 milioni, ma sono più di sette milioni quelli che hanno scelto la strada della emigrazione.

“Le persone che frequentano la nostra chiesa arrivano principalmente dalla zona occidentale del paese, la Transcarpazia, una delle più povere, quella con più disoccupati” sottolinea padre Stojka, il quale ricorda che proprio la Transcarpazia, dal 1918 al 1939 fece parte della Cecoslovacchia.

Davanti alla Chiesa sono molto pochi quelli che hanno voglia di commentare l’attualità del proprio paese. C’è persino chi fa capire di temere possibili ritorsioni contro i familiari rimasti in patria. “I diritti più elementari da noi sono calpestati e lo Stato si comporta spesso come un nemico” commenta una donna che si allontana subito con l’impressione di chi teme di aver già detto troppo.

“Questa rivolta ci fa paura, la guerra civile sarebbe una tragedia, ma il nostro è un paese che ha bisogno di una svolta radicale. Così non è più possibile andare avanti” spiega un altro che preferisce rimanere anonimo.

Poche ore più tardi, nel centro di Praga si radunano gli ucraini che, nonostante i timori, decidono di scendere in piazza e unirsi alla protesta della folla di Kiev. Sono poche centinaia di persone. Sfilano lungo le vie del centro storico per poi radunarsi con striscioni e bandiere nella piazza della Città vecchia.

Bersaglio degli slogan il presidente Yanukovich, che viene accusato di voler allontanare il paese dall’Europa e di volerlo vendere alla Russia di Putin. “Quello è un dittatore che sta riducendo l’Ucraina alla fame e vuole riportarci sotto il giogo del Cremlino” si infervora un giovane, che dice di essere a Praga per motivi di studio, e che mostra alcune foto di manifestanti pestati dalla polizia a Kiev.

“Ci sorprende l’inerzia della Ue davanti a questo scempio. Bruxelles sinora non è stata in grado di fare nulla di concreto per i nostri connazionali che lottano per i più elementari diritti di libertà e contro la prepotenza di questo regime” interviene una ragazza, anche lei con l’aria della studentessa. “Il nostro è il popolo più sventurato d’Europa. Dopo tutte le disgrazie del secolo scorso – fra totalitarismo stalinista, fame ed epidemie, per non parlare della tragedia di Chernobyl – ora siamo davanti allo spettro della guerra civile” sussurra vicina alle lacrime Olga, laureata in storia nel suo paese, che qui a Praga si guadagna da vivere facendo pulizie a ore in un albergo e in case di benestanti. Con un solo sogno: poter presto tornare a casa, nella sua patria.

di Giovanni Usai