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Dalle prime manifatture nella seconda metà del Settecento al repentino sviluppo con la rivoluzione industriale. Le grandi famiglie di imprenditori tessili che fecero di Brno una capitale mondiale del tessile

“Brno, la Manchester morava”, con questo nome nell’Ottocento la città veniva paragonata alla metropoli inglese per la produzione laniera di ottima qualità. Lo stesso appellativo è il titolo di una mostra, svoltasi nel 2015 al Museo artistico industriale di Brno, che ripercorreva i 250 anni dell’industria tessile. Presentava le più importanti aziende, tra cui Vlněna e Mosilana, e i loro proprietari, quei ricchi imprenditori che nel 1873 fondarono lo stesso Museo e le cui ville arricchirono la città di gioielli architettonici.

Fino a metà Novecento soprabiti e cappotti di lana erano i capi più diffusi del guardaroba. La lavorazione di questo materiale era già nota nel medioevo ma solo nella seconda metà del Settecento apparvero le manifatture tessili ceche. La prima fu aperta nel 1763 dal commerciante Johann Leopold Köffiller che fece costruire una colonia operaia circostante e sfruttò le conoscenze tecniche di specialisti chiamati dalla Germania. Uno di essi era Johann Heinrich Offermann che dopo dieci anni al laboratorio di Köffiller, nel 1786 avviò il proprio lanificio. La sua figura ha ispirato il libro Fabrika della scrittrice Kateřina Tučková, pubblicato in occasione della mostra.

Queste due manifatture furono le prime di una lunga serie. Al repentino sviluppo contribuirono a fine secolo la crescente richiesta di tessuti, l’abolizione della servitù della gleba che si tradusse in un’enorme quantità di forza lavoro ma soprattutto il blocco continentale attuato da Napoleone nel 1806 che per otto anni mise fuori gioco la concorrenza inglese.

La meccanizzazione del settore

In tre decenni Brno divenne veramente la “Manchester morava”, principale centro laniero della monarchia austro-ungarica, e fino agli anni ‘30 del Novecento motore dell’intera economia ceca.

Parte del merito va all’introduzione delle macchine, cui è legata un’azione di spionaggio industriale. I modelli non a caso arrivano da Manchester, dove l’aristocratico e scienziato moravo Hugo František Salm-Reifferscheidt nel 1808 fu assunto come operaio, in incognito. Studiò la macchina a vapore, il telaio meccanico e altre novità dell’epoca e tornò in patria con una gran quantità di schizzi.

Nel 1851 fu Karl Offermann, figlio del fondatore, a installare i primi telai meccanici in Moravia. Si specializzò inoltre in uniformi militari da fornire agli eserciti serbo, rumeno, turco, egiziano e greco. Una famiglia “di persone capaci che non si distinguevano solo per intelligenza, creatività e intraprendenza ma anche per la loro mentalità patriottica verso Brno e per le numerose iniziative altruiste”, così li descrive l’autrice Kateřina Tučková. Karl fondò infatti il parco Lužánky, ma soprattutto non dimenticò gli operai, ordinò nuovi caseggiati e introdusse servizi all’epoca inusuali, un fondo sanitario e uno di sostegno. Non mancavano infatti scioperi per denunciare le dure condizioni di lavoro o la paura d’essere sostituiti dalle macchine.

Il passaggio dalla produzione artigianale a quella su vasta scala e lo sviluppo delle industrie meccanica e chimica, connesse al ramo tessile, furono accompagnati dal boom edilizio. “L’industria pose la sua firma sul carattere d’urbanizzazione” dice Tomáš Zapletal, uno degli autori della già citata mostra. “Fluirono in città decine di migliaia di persone. In rapida successione si costruirono fabbriche, case, nuove vie e quartieri” che trasformarono Brno in una moderna metropoli. Apparvero anche le sontuose ville degli industriali, come quella funzionalista della famiglia Stiassni o quella in stile liberty di Alfred Löw-Beer, padre di Greta Tugendhat, proprietaria della più nota Villa Tugendhat.

Quando nacque la Cecoslovacchia, nel 1918, sul territorio era presente l’80% delle tessiture dell’impero asburgico ma lo spazio per la vendita del prodotto finito si era notevolmente ridotto. L’export divenne fondamentale e la qualità ceca non ebbe problemi nel competere con i concorrenti britannici. Capitava anzi che alle stoffe, rivendute in patria e all’estero, venisse attaccato il marchio “Made in England”.

La nazionalizzazione e inizio del declino

Un freno fu posto dalla seconda guerra mondiale. Già con l’occupazione tedesca del 1938, le grandi famiglie d’industriali di origine ebraica lasciarono il paese, per esempio gli Stiassni e i Tugendhat. Nel 1945 l’insufficienza di forza lavoro qualificata fu rafforzata dall’espulsione tedesca dalla zona dei Sudeti. Tutte le imprese confiscate a proprietari tedeschi ed ebrei furono nazionalizzate e riunite in una quarantina di aziende statali. Le più note erano Mosilana e Vlněna, entrambe lanifici. Sui 9mila operai tessili di Brno, 7mila erano impiegati nel settore laniero.

Il maggior problema era la capacità produttiva superiore alla domanda nazionale che faceva della Cecoslovacchia uno dei maggiori esportatori di stoffe, destinate a sessanta stati di ogni continente, soprattutto quelli vicini al blocco sovietico.

Nel 1989, anno di svolta per tutta l’economia ceca, il declino del tessile era già avviato. La Rivoluzione di Velluto, un nome che, per ironia della sorte, sembra fatto apposta per sconvolgere il settore tessile. Brno fu superata per numero di siti produttivi e dipendenti da Liberec, che fin dall’Ottocento era il secondo centro tessile del Paese e vanta una facoltà tessile. Quest’ultima, assieme ad alcune aziende della regione, si è presentata in agosto al padiglione ceco di Expo. Nella cornice dei “Giorni del design” è anche stata allestita “Gocce di vita”, opera monumentale formata da tante gocce d’acqua cucite a mano, secondo la tradizione del merletto ceco.

La nuova era e gli investitori italiani

I lanifici storici cedettero il passo a piccole aziende, non sopravvissero a deregolamentazione dei prezzi, liberalizzazione del commercio estero e privatizzazione. Senza contare il costante calo di manodopera; superava i mille operai solo Mosilana, uno dei pochi esempi di privatizzazione riuscita nonché l’unica a portare avanti la tradizione laniera. Nel 1994 fu rilevata dal Gruppo Marzotto con il nome Nova Mosilana.

Da quel periodo cresce nel paese l’interesse degli investitori stranieri, cui spesso basta investire in nuovi macchinari e nella ricostruzione degli edifici. Nel 2012 Marzotto rilancia anche Sametex, orientata alla produzione di velluto. “Le maestranze del posto, e mi riferisco a Brno e zone limitrofe, hanno nei cromosomi un’innata passione per questo lavoro – dice il direttore generale Andrea Busolo. – Alcune persone lasciano la nostra azienda dopo oltre 40’anni di lavoro e questo è sintomo di attaccamento all’antica tradizione dei produttori di tessuto”.

La manodopera qualificata, la minor tassazione, la buona posizione geografica e il costo competitivo dell’energia hanno spinto altri industriali italiani a delocalizzare la produzione nel Paese.

Il Gruppo Tessile Monti, leader nella camiceria di lusso, ha dato vita a Monti Cekia, acquistando nel 2002 lo stabilimento di Borovnice e due anni più tardi il sito di Studenec ceduto da Texlen, azienda statale che lavorava il lino. In questo caso non si può parlare di un’antica tradizionalità, poiché la gestione precedente aveva un indirizzo diverso e il personale è quasi interamente straniero.

Di camiceria d’alta gamma si occupa anche il Cotonificio Albini con i due stabilimenti di Letohrad e Dvůr Králové, un tempo della seteria Dietfurt. Il suo unico acquirente ceco è la casa di moda di Ladislav Blažek. Metà della sua offerta di camicie porta l’etichetta Albini. “Abbiamo fin troppe cose conservatrici in Cechia. Quello che ci manca è l’originalità, la ricchezza di colore” dice Blažek.

Tutto dipende dall’export, ma anche dalla creatività

Solo chi si specializza su prodotti d’alta qualità sopravvive. Il fatturato del settore tessile e dell’abbigliamento è cresciuto nel 2014 dell’8,4%, a un totale di 51 miliardi di corone ma dal 2000 ad oggi la produzione segna un crollo di due terzi e la perdita di 37mila posti di lavoro. Ciò che accomuna le imprese tessili è la dipendenza dall’export. Il principale compratore è la Germania, al contempo primo fornitore di materie prime, seguita da Turchia, Stati Uniti e Russia. Eppure il commercio estero ha un saldo negativo dal 2004. Il deficit del 2014 ha toccato il livello record di 15,5 miliardi di corone, come rileva l’Ufficio ceco di statistica. La diretta causa è un import sempre più cospicuo di merci a buon mercato, perlopiù da Cina e Bangladesh.

Ciò che resta delle grandi fabbriche del Novecento sono decine di palazzi in rovina, pronti a far spazio a complessi residenziali e uffici. Seguendo la moda di altre città europee, varie associazioni si battono perché musica e teatro rianimino i capannoni inutilizzati e i magazzini vuoti diventino un luogo per incontri, mostre ed eventi o una base in cui gli artisti possano dedicarsi alle loro creazioni.

Beata Spáčilová e Světlana Kulíšková provano a rilanciare l’arte del cucito in un originale laboratorio dove chiunque vuole cucire trova a disposizione tutto l’occorrente, dalle macchine ai corsi di taglio e cucito, fino ai consigli delle proprietarie. Světlana Kulíšková è nota soprattutto per la creazione di arazzi e vestiti minimalisti art protis, o tecnica del tessuto non tessuto, tanto che Calvin Klein ha usato le sue stoffe per una recente collezione. Brevettata in Cecoslovacchia negli anni ‘60 e basata sull’uso della lana, l’art protis è l’odierno retaggio dell’antica arte tessile dei secoli passati.

di Sabrina Salomoni