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Fondamentale è l’integrazione, che in molte regioni d’Europa è carente o inesistente. La Repubblica Ceca ad esempio in questo campo deve fare ancora molto

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Un’altra, nuova crisi regionale si scatena ai confini dell’Europa. Un vento di rivoluzioni ha colpito alcuni paesi del nord Africa e del medio oriente, a partire dalla crisi in Egitto fino agli ultimi sviluppi della guerra in Libia. Questo ha causato l’aggravarsi del fenomeno già esistente della fuga di profughi e rifugiati dalle zone di crisi attraverso i confini meridionali dell’Ue. Tutto ciò ha anche acceso il dibattito sulle regole e i meccanismi per gestire l’ingresso degli immigrati e tutelare i confini dell’Unione. Le posizioni degli Stati membri sono diverse e spesso contrastanti. Si pensi al caso recente della querelle fra Italia e Francia sulla validità dei visti provvisori emessi da Roma, al rigetto da parte dell’UE del decreto italiano sul reato di clandestinità, allo scambio di battute tra i presidenti Napolitano e Klaus a Praga che evidenziava un diverso approccio al problema. In realtà queste divergenze sono solo un altro esempio di un’abitudine dei governi e dei cittadini europei di affermare che un problema sia di carattere nazionale oppure riguardi l’Unione nel suo complesso a seconda dell’interesse del momento. Da una parte si affermano le proprie posizioni resistendo alla cessione di competenze su questioni delicate come l’immigrazione, i visti, gli asili, dall’altra si denuncia la mancanza di coesione e si reclama un’ azione comune dell’Europa quando non si riesce ad affrontare il problema a livello nazionale. Per questo motivo tralasceremo di inserirci in un dibattito spesso strumentale in cui la demagogia è in agguato. L’unica osservazione è quella che non si deve cadere nell’errore di pensare che l’immigrazione sia un problema regionale o riguardi solo i paesi di confine e neppure di considerarlo nuovo o isolato nel tempo. Vorrebbe dire che non si conosce il passato – le fughe di massa dei profughi delle due guerre mondiali o di quelle più recenti nei Balcani – o non si vedono i rischi del futuro. cosa succederebbe, ad esempio, ai paesi del centro est, compresa la Repubblica Ceca, in caso di una crisi del Caucaso o di rovesciamenti politici nei paesi del confine orientale?
La realtà è che l’immigrazione non solo è un fenomeno costante e inevitabile, ma rappresenta un’opportunità di crescita economica, quando non una necessità. I distretti industriali del nord est italiano sopravvivono grazie alla manodopera degli immigrati da paesi terzi, così come alcuni settori dell’agricoltura – lavoratori africani per la raccolta degli ortaggi in Italia e spagna, indiani Sikh per l’allevamento dei bovini in pianura padana, e molti altri. In Repubblica Ceca settori come le costruzioni o la produzione industriale attingono ai flussi di lavoratori dall’Ucraina e certe attività commerciali come i piccoli negozi di alimentari disseminati per i quartieri di Praga sono quasi esclusivamente gestiti da famiglie di operosi Vietnamiti. Fondamentale è quindi l’integrazione, che in molte regioni d’Europa è carente o inesistente. La Repubblica Ceca ad esempio in questo campo deve fare ancora molto, come conferma anche uno studio del British Council con il Migrant Policy Group, che compara la situazione dei 27 paesi Ue più Canada, Svizzera Norvegia e Stati Uniti. Ripreso anche da un recente articolo del Prague daily monitor, lo studio valuta la Rep. Ceca positivamente per l’apertura del mercato del lavoro agli stranieri, ai quali però lo Stato non garantirebbe adeguato supporto.
Di conseguenza ci interessa molto di più in questa sede analizzare quali sono le azioni concrete e le politiche dell’Ue e degli Stati membri per l’integrazione degli immigrati. Integrazione che nella nuova visione dell’UE è fattore di coesione economica, oltre che sociale e culturale. Il Trattato di Lisbona introduce azioni comuni per l’integrazione degli immigrati, prevedendo che “Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. “ (art. 79,4 TFEU). Il compito di fissare una nuova agenda sull’integrazione, di coordinare e sviluppare moduli comuni per supportare politiche e pratiche di integrazione a livello nazionale e locale è affidato alla Commissione. Centrale sarà il ruolo della DG Home Affairs ora distinta della DG Giustizia . Il risultato saranno azioni per l’inserimento dei nuovi immigrati, sostegni alla creazione di posti di lavoro e all’occupazione, per l’apprendimento della lingua, per l’accesso alle attività economiche. Previsti anche sforzi per l’istruzione e la formazione professionale, la promozione dell’uguaglianza di trattamento e della diversità. Tutto ciò attraverso il rafforzamento di strumenti esistenti, come il Forum Europeo sull’Integrazione, i Punti di contatto nazionali sull’Immigrazione e il Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini dei Paesi Terzi, che ha una dotazione di 825 milioni di Euro per il periodo 2007-2013. Ma anche attraverso la creazione di strumenti nuovi. Fondamentale per dare concreta attuazione all’agenda sarà il monitoraggio dell’integrazione, per valutare e quantificare l’efficacia delle azioni, anche ai fini del finanziamento, con l’utilizzo di indicatori europei. Tali indicatori, come l’accesso alla cittadinanza o alla residenza permanente, l’accesso all’istruzione e all’occupazione, ai servizi sociali, alle funzioni pubbliche, la partecipazione civile, serviranno a valutare il grado di integrazione nei vari Stati e a rendere più efficaci le politiche nazionali. Un esempio di queste politiche nazionali si trova nel documento della presidenza ceca dell’UE nel 2009 sull’” Integrazione degli stranieri in Repubblica Ceca” che illustra una serie di misure concrete, derivate dal Programma Statale per l’Integrazione, ora di competenza del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali: la semplificazione delle procedure amministrative per l’occupazione degli stranieri, un quadro legislativo di riferimento che tenga conto degli stranieri nello sviluppo di politiche, regolamenti e misure a livello locale.
Ma sarà necessario un nuovo approccio, anche culturale, che riconosca non solo la necessità di garantire agli immigrati condizioni di vita dignitose e pari opportunità rispetto ai cittadini Europei, ma anche l’importanza della loro integrazione per il sistema economico e il contesto sociale e culturale. Un fattore di arricchimento, più che un problema.

Di Luca Pandolfi