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Il contrasto delle emissioni costa. Il governo di Praga ci ripensa ma vuole rassicurazioni e l’aiuto dei grandi inquinatori. Si taglia il carbone, ma resta nel mix energetico l’energia atomica

Sulla produzione di energia da carbone e sulla riduzione delle emissioni non si discute, non sono affari dell’Unione Europea e la Repubblica Ceca difende prima di tutto gli interessi dei cittadini e delle industrie che in questo Paese hanno investito. Era stato questo il ritornello riproposto fino a pochi mesi fa dal governo di Praga e dal suo premier Andrej Babiš. La musica, però, sta cambiando. E dopo che la Cechia – insieme a Polonia, Ungheria ed Estonia – ha fatto saltare l’accordo europeo sul clima, sembra che ora il refrain sia stato modificato, almeno in parte. Merito del dialogo aperto dalla neopresidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha instaurato con i quattro di Visegrad e con il fronte sovranista europeo una trattativa a viso aperto e il più possibile “personalizzata”? O merito piuttosto della proposta, da parte della stessa von der Leyen, di un Fondo europeo per la transizione sul cambiamento climatico? Presto per dirlo. È certo però che in poche settimane l’atteggiamento del governo di Praga è passato da un netto “no” alla riduzione di emissioni a un piano di azione ancora vago ma propositivo.

Andiamo con ordine. Sulla lotta al cambiamento climatico la Repubblica Ceca non ha mai brillato per iniziativa. Colpa di un’industria manifatturiera incentrata sull’export e ad alta produttività, di un mix energetico che fa del carbone storicamente la sua principale fonte di produzione (oggi il 43%), di una coscienza popolare abbastanza latente e – a quanto pare – di una mancanza di attenzione da parte dell’amministrazione pubblica sui progetti per il taglio delle emissioni. Inoltre, a differenza di molti Paesi europei, dove la questione climatica e i partiti ambientalisti sono stati al centro del dibattito anche in occasione delle ultime elezioni europee, in Repubblica Ceca l’“onda verde” non ha sfondato, tranne che per quella porzione di Pirati che difende obiettivi ecologisti. Tutto questo in un Paese come questo, dove si parla di un livello per abitante di emissioni di gas serra superiore del 46% rispetto alla media Ue a 28.

Un altro punto che ha frenato fino ad oggi l’interesse per il taglio alle emissioni nel Paese è quello legato al carbone e al nucleare. Il riscaldamento, l’energia elettrica e molte altre produzioni vengono realizzate ancora con il combustibile fossile: nel 2016 in Repubblica Ceca la produzione di gas serra dovuta all’industria è stata superiore del 66,5% rispetto alla media Ue. E la principale azienda inquinatrice della Repubblica Ceca nel 2018 è stata la centrale a carbone di Počerady, nel distretto di Most, che ha emesso 5,5 milioni di tonnellate di CO2. Secondo, in questa classifica dei peggiori, un altro impianto della società energetica ceca Čez, Tušimice II, nel distretto di Chomutov, con 4,4 milioni di tonnellate di emissioni e terzo Chvaletice, nella regione di Pardubice, del gruppo Sev.en Energy. Quest’ultima centrale ha chiesto alle autorità regionali della Boemia centrale un’esenzione di otto anni, a partire dal 2021, per derogare alle regole europee sulle emissioni, perché il taglio richiederebbe una spesa eccessiva. Ma secondo Greenpeace, che ha stilato il podio, questa esenzione causerebbe un inquinamento tale da portare alla morte di alcune centinaia di persone in 10 anni.

A difesa del carbone anche il presidente Miloš Zeman, da sempre in controcorrente rispetto alle richieste della Ue. Secondo un team di consulenti del Castello, nel mix energetico nazionale devono restare in posizione centrale sia il carbone che l’atomo. Un obiettivo confermato dalla decisione del governo a inizio luglio di autorizzare la costruzione di altri reattori nucleari nelle centrali di Dukovany e Temelín. Secondo gli ambientalisti, invece, lo stesso risultato di produzione energetica potrebbe essere raggiunto con le fonti alternative in 10-15 anni, con costi inferiori di sei volte.

Il mix energetico e il prezzo dell’energia è un altro dei punti per cui nei Paesi del centro-est Europa, e quindi anche in Repubblica Ceca, la questione del clima non prende piede. In Ungheria, per esempio, la rielezione del premier conservatore Viktor Orban nel 2014 si è giocata sul taglio del prezzo al consumatore dell’elettricità, diminuita del 3%. E anche gli altri governi dell’area puntano a tenere i prezzi più bassi per garantirsi i voti delle zone rurali e delle fasce meno abbienti. Le famiglie europee spendono in media il 4% del loro budget per l’energia, questo dato sale al 7% in Repubblica Ceca. Introdurre, quindi, tasse o costi più elevati per la transizione energetica è fuori discussione.

Ecco perché il “Fondo per la giusta transizione” potrebbe aiutare. Secondo i Paesi dell’area la neutralità climatica è possibile soltanto a patto di ricevere un concreto pacchetto di compensazioni economiche, hanno fatto capire i V4 a giugno.

Intanto il premier Babiš mantiene un andamento ondivago sul tema. Pochi mesi fa ha detto: “La Ue non può dirci che non dobbiamo avere il nucleare e non può parlare del nostro mix energetico”. Poi ha aggiunto, poco dopo aver bloccato l’accordo sull’obiettivo emissioni zero dell’Ue nel 2050: “Non posso neanche immaginare che non ci saranno emissioni nel 2050, vogliamo soltanto un dibattito professionale su soluzioni più realistiche che non danneggino l’economia ceca, l’occupazione della nostra gente e la stabilità del nostro Paese”. Cechia first, come insegna – mutatis mutandis – il presidente americano Donald Trump.

Babiš, però, ha aperto a un dibattito sottolineando che “se vogliamo salvare il Pianeta devono essere gli stati che inquinano di più a ridurre le emissioni, quindi Cina, Usa e India”. Il premier ceco ha aggiunto a questo proposito che nel 2018 le emissioni globali sono state pari a 37 miliardi di tonnellate e che la quota Ue è stata del 9%, con una riduzione di 20 milioni di tonnellate, “mentre nel resto del mondo si è verificato il contrario con un peggioramento 51 volte più alto del taglio Ue”.

Fatta questa premessa e pur ribadendo di aver fatto bene “a dire no” in giugno all’accordo Ue, il premier ceco dopo l’incontro di fine luglio con von der Leyen, ha però aperto una porticina: Praga dovrà spendere miliardi per raggiungere l’obiettivo dell’Ue carbon neutral, con riconversioni del suo mix energetico verso forme più ecosostenibili e pulite. Il governo ceco ha idee per realizzare questo traguardo, ma serve sempre l’aiuto dei principali Paesi inquinatori, Cina, Stati Uniti e gli altri Paesi in via di sviluppo come per esempio l’India.

E le idee non sono tardate. Pochi giorni dopo è arrivato l’annuncio – su proposta del ministro dell’Ambiente Richard Brabec – della prossima istituzione di una c.d. “Commissione carbone”, che avrà appunto il compito di mettere a punto una exit strategy da questa fonte di energia ora fondamentale. Il compito della Commissione sarà appunto quello di coordinare, controllare la transizione e verificare il mix energetico necessario al Paese. La gradualità è legata all’assunto che il Paese non può passare da un giorno all’altro a un’energia senza fonti fossili e quindi la quota calerà a poco a poco, riducendosi al 10-15% nel 2040. Intanto la miniera di Bílina in Boemia settentrionale continuerà a estrarre fino al 2035.

L’eliminazione delle centrali a carbone, obiettivo già raggiunto da Belgio, Estonia, Islanda, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Malta, Svizzera e Norvegia, è arduo e porta con sé la necessità di incrementare l’altro pilastro del mix energetico ceco, il nucleare. Piano confermato dalla decisione di finanziare i nuovi reattori, con la scelta dei fornitori già entro i prossimi cinque anni.

Rigurgiti ambientalisti forti, invece, arrivano dalla capitale Praga e dal suo sindaco Pirata Zdeněk Hřib. La città si è impegnata entro il 2030 a ridurre del 45% le emissioni di CO2 per poi raggiungere la neutralità nel 2050. I contorni delle misure da intraprendere sono ancora vaghi, ma la municipalità intende dare maggiori dettagli entro un anno.

La Repubblica Ceca, quindi, si appresta a intraprendere un cammino, quello della riduzione delle emissioni. Un piano che fino ad ora era stato tralasciato e che non aveva avuto spazio neanche nel dibattito pubblico. Un obiettivo che però è necessario prendere in considerazione nel mondo contemporaneo, ma, come afferma Babiš, serve uno sforzo mondiale e la Repubblica Ceca potrebbe iniziare a fare la sua piccola parte.

di Daniela Mogavero