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Viaggio nella città capitale europea della cultura 2015

No, non furono loro, i colbacchi e i “katiuscia” dell’Armata Rossa, a far sloggiare il 6 maggio del ‘45 gli ultimi soldati della Wermacht del generale Ferdinand Schörner dalla náměstí Republiky (Piazza della Repubblica) e dalla chiesa di San Bartolomeo. Bugie della “storia ufficiale” verniciata per 40 anni dai comunisti al potere, cui oggi irride quest’angolo di Boemia placida e fiduciosa nel suo futuro.

Proprio così: se Plzeň ha un’anima che vive, se Plzeň oggi sfoggia vitalità pulsante e inattesa propensione cosmopolita lo deve anche, per certi aspetti, alle furie e alle jeep del generale George Patton.

Fu proprio lui, il “generale sempre avanti” come lo avevano battezzato i suoi soldati, a liberare la capitale della Boemia Occidentale. Diventandone, grazie a questo gesto, una vera gloria locale. Certo la politica poi prese un’altra direzione per più di quarant’anni, ma oggi il Patton memorial, il museo dedicato al Generale d’acciaio, spiega in altro modo come andarono le cose: allora i russi pretesero addirittura di inscenare una “seconda liberazione”, due giorni dopo l’arrivo dei combattenti a stelle e strisce.
Ma ogni anno, a Plzeň, la Liberazione si festeggia con due giorni di anticipo rispetto al resto del Paese. E questo qualcosa vorrà pur dire. Presto, poi, in questo 2015 alle porte, ci sarà un motivo in più per brindare con birra e champagne: Plzeň sarà per dodici mesi “Capitale Europea della Cultura” e ospiterà manifestazioni, convegni, celebrazioni e dibattiti ove mostrare le sue tante glorie cittadine.

Molta America, è probabile, ma non solo quella: all’ufficio del Turismo mostrano orgogliosi il logo e le bandierine dell’evento, la comunità sarà addobbata a festa, arriveranno, una volta di più, i turisti mischiati ai reduci Usa con le lacrime agli occhi: questi, arrivano comunque tutti gli anni, ed evocano la città in macerie bevendo commossi boccaloni di birra.

Plzeň cosmopolita, dicevamo, Plzeň l’operosa dove nacque la fabbrica Škoda nel 1859, mentre l’Italia tentava la sua faticosa unificazione. Parliamo della Boemia asburgica (e sarebbe già un altro capitolo), metallurgica e industriale.

E dove, fama imperitura e davvero internazionale, si produce la Pilsner Urquell, che qui chiamano a ragione “Plzeňský Prazdroj”. Nettare ormai diffuso e imitatissimo su tutto il pianeta, questa birra è nata, almeno ufficialmente, il 6 ottobre 1842. Oggi nel mondo, quando una bottiglia riporta nell’etichetta la voce ‘pils’ o ‘pilsner’ non fa altro che rendere omaggio a Plzeň per aver inventato il modo moderno di produrre l’ambita e ambrata bevanda. La fabbrica Plzeňský Prazdroj è forse l’attrattiva turistica di maggior richiamo della città.

Da sottolineare che anche la Gambrinus, una birra forse più leggera e delicata, è prodotta qui in città, in quest’angolo di Boemia incuneata quasi fra Baviera e Turingia.

“A Plzeň si parla inglese, perché serve sempre, ma si parla soprattutto tedesco perché siamo a due passi dalla Germania” spiegano in uno dei tanti caffè della vastissima piazza. Dunque, un giusto mix di cultura germanica, controriforma cattolica, ingegno boemo e creatività ebraica, se è vero che la città addormentata sul fiume Radbuza, ospita la terza sinagoga più grande del mondo, dopo Gerusalemme e Budapest. Le tracce ebraiche appaiono qui e là, sparse nel centro storico ancora un po’ barocco, nelle librerie che propongono il Talmud e testi della Kabbalah, nella storia lontanissima che risale alla fine del 1200, quando la città fu fondata da Václav II Přemyslide, il re che ne fece la capitale della Boemia occidentale. Qualcuno dice anche nei vastissimi sotterranei che solcano il sottosuolo, diventati anch’essi un museo per i turisti più curiosi. Si calcola che la rete di gallerie si estenda per 11 km.

Eppure, attraversata l’imponente Piazza della Repubblica (una delle più vaste del paese coi suoi 25.000 metri quadrati), ammirata la chiesa gotica di San Bartolomeo, del XIII secolo, con la sua guglia vertiginosa, superate le vie diritte e ordinate della vecchia Plzeň, basta fare cento metri e si respira un’atmosfera ancora diversa. È la zona dell’Università, degli studenti che escono dai palazzi per riposarsi nei prati intorno alla Radbuza, che scorrazzano in bicicletta nei viali della Plzeň moderna, che si incontrano lungo l’Anglické Nábřeží, che parlano le lingue e vanno, quando possono, a studiare in America: “Non si può dire che dipenda solo da quello, certo la liberazione della città da parte degli americani ha creato una simpatia che evidentemente è rimasta – spiegano ancora all’Ufficio del Turismo. – Bisogna anche ricordare che molte comunità arrivate proprio dalla Boemia Occidentale si stabilirono nel Midwest, verso la metà dell’Ottocento. Quindi, esistono legami ancora più lontani, legami che si stanno rinsaldando”.

Plzeň cosmopolita, abbiamo detto. Ma anche Plzeň colta e umile allo stesso tempo, orgogliosa e discreta delle tante glorie locali. Troviamo, per dire, la casa che rende omaggio a Bedřich Smetana, il compositore che vi soggiornò nel 1840, altro nume dell’Ottocento musicale ceco. C’è un centro studi dedicato a Ota Šik, l’economista dei mesi della “Primavera di Dubček”, che proprio a Plzeň nacque nel 1919. C’è pure – e d’altronde non potrebbe mancare – un Centro culturale americano, e ci sono gli edifici che celebrano l’arte murale di Mikoláš Aleš, artista del Risveglio Nazionale Ceco. Insomma, i gioielli di famiglia sono tanti, e nessuno qui vuol perdere l’occasione per mostrarli tutti e ricavare, com’è giusto, del profitto.

Certo, l’anima commerciale e industriosa vien fuori comunque, eppure, qui più che altrove, “Má vlast” è molto più che un’armonia. È un sentire discreto, che ti fa capire come la storia del paese trasudi da ogni casa, da ogni monumento, senza per questo chiudersi al passato. La stazione centrale è un edificio monumentale che ricorda i palazzi della Secessione, all’interno statue di Masaryk e di Smetana, code ordinate e silenziose per un biglietto, al ristorante servono canederli e stinco. Orgogliosa e operosa, con apparente noncuranza, Plzeň aspetta soltanto di essere ancora una volta amata e riscoperta.

di Ernesto Massimetti