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Lo scandalo potrebbe avere ripercussioni sul Pil e sull’industria ceca, ma governo e analisti minimizzano
Negli ultimi cinque anni gli investitori stranieri hanno creato 10mila posti di lavoro nell’industria automobilistica ceca

Il terremoto che ha sconvolto la Volkswagen, tradendo l’immaginario di buona parte dei consumatori mondiali – i quali vedevano nella compagnia automobilistica tedesca un solido baluardo di efficienza e trasparenza – potrebbe avere rilevanti conseguenze anche nella vicina Repubblica Ceca. In primo luogo perché lo scandalo dei motori truccati si riflette sulla Škoda Auto, che è di proprietà della Volkswagen e che in passato ha utilizzato i motori incriminati della capogruppo tedesca. Più in generale, perché l’onda lunga dello scivolone teutonico potrebbe così incidere in modo negativo sia sul Pil ceco, sia su quello della vicina Slovacchia. L’industria delle quattro ruote in entrambi i paesi ha infatti una importanza fondamentale per l’economia nazionale e dipende strettamente dal settore automobilistico tedesco.

Ma andiamo per ordine. Dopo un primo momento di esitazione e di imbarazzo, seguito alla dirompente notizia dei motori diesel truccati, è stato evidente che nell’affaire ci fossero dentro con tutte le scarpe, non solo Volkswagen ma anche le sue controllate, Seat, Audi e ovviamente Škoda.

La casa di Mladá Boleslav ha confermato di aver utilizzato in passato un milione e duecentomila motori diesel EA189 per le vetture Fabia, Octavia e Superb. Il portavoce Jozef Baláž ha dovuto ammetterlo, precisando però che “tutti gli attuali modelli Škoda in vendita in Europa sono dotati di motori rispettosi dei limiti di emissioni Euro 6”.

Nonostante il numero imponente, i consumatori cechi non sembrano essere rimasti scottati e, secondo sondaggio Čtk, fra i rivenditori di auto nuove e usate, le vendite starebbero procedendo in modo regolare. Decisivo sarà però anche l’atteggiamento degli acquirenti fuori dai confini nazionali, visto che Škoda dipende in maniera decisiva dall’andamento dei suoi mercati stranieri.

Nel frattempo il governo di Praga ha cercato in tutte le sedi possibili di minimizzare.

Il disegno di legge di bilancio per il 2016 è basato su una stima di crescita ceca il prossimo anno del 2,5% del Pil. Il ministro delle Finanze Andrej Babiš ha spiegato che l’economia nazionale poggia su basi solide e che le fluttuazioni estere non dovrebbero condizionarne l’andamento.

Ottimista nel complesso anche il ministro dell’Industria e del Commercio Jan Mládek, secondo il quale la Škoda Auto ha grandi chance di superare l’attuale situazione senza particolari danni. Lo stesso Mládek non ha escluso che la vicenda possa influire sulla futura crescita del prodotto interno lordo, ma ha comunque minimizzato. L’impatto, a suo parere, si potrebbe aggirare tra lo 0,1%, e lo 0,2% in meno del Pil, considerando anche una eventuale riduzione, seppur temporanea, delle esportazioni verso il mercato tedesco, il principale target delle vendite all’estero delle aziende ceche.

Ma se sul fronte delle stime governative sul Pil predomina l’ottimismo, così come nei pareri degli economisti più citati dai media nazionali, emergono anche segnali meno rasserenanti. La cronaca delle ultime settimane, da quando a metà settembre è scoppiata la bomba dei motori truccati, ha già dato qualche avvisaglia da non prendere sottogamba.

Per esempio, la notizia dello stop in Repubblica Ceca al progetto Roomster II, nuovo modello della Škoda Auto, che tutti davano pronto per la produzione in serie. Il gruppo Volkswagen avrebbe invece deciso di annullare tutto ed è facile pensare che anche questo possa essere una conseguenza dello scandalo dei software alterati.

È anche trapelato che l’agenzia britannica Vca (Vehicle Certification Agency) per la certificazione degli autoveicoli, fosse restia ad ottobre a concedere l’omologazione ai nuovi modelli diesel di Škoda Auto. Alla fine – dopo alcune settimane di attesa, che sembravano far prevedere il peggio – è dovuto intervenire di persona il ministro dei Trasporti Dan Ťok per chiedere il via libero definitivo. I giornali hanno scritto che la cautela del Vca con ogni probabilità era riconducibile proprio allo scandalo Volkswagen.

Esistono inoltre dubbi sul futuro assetto proprietario della Škoda. Lo stesso ministro Mládek ha lasciato intendere che Volkswagen – per far fronte alla salatissima multa per il software truccato e le class action in procinto di partire – possa decidere di disfarsi di qualche marchio, e il riferimento al produttore nazionale ceco è stato evidente: “Sono certo che in Repubblica Ceca si continuerà anche in futuro a produrre automobili. Quali saranno i marchi e chi saranno i loro proprietari, oggi potrebbe non essere così chiaro come appariva sino a poco tempo fa”.

Ottimisti anche gli economisti interpellati, alcuni dei quali hanno al limite ipotizzato che la casa tedesca decida di cedere una quota di minoranza di Škoda – marchio che negli ultimi anni si è dimostrato uno dei più capaci del gruppo di creare profitto – lasciandosi aperta la possibilità di riacquistarne in futuro l’intera proprietà.

A rischiare di essere colpito dallo scandalo tedesco, come accennato, è però anche l’automotive nel suo complesso. “Non sono tanto preoccupato per Škoda quanto piuttosto per le nostre aziende fornitrici dei marchi tedeschi, perché buona parte della componentistica delle auto di lusso tedesche arriva dalla Repubblica Ceca”, ha dichiarato Mládek che ha ricordato la crisi economica del 2008-2009 quando a soffrire non furono tanto in Repubblica Ceca le case automobilistiche, ma i produttori di componenti per i marchi di fascia alta.

Resta il fatto che i dati dell’automotive ceco e quello che comportano in termini di ricaduta sul Pil sono ancora eccellenti. Superata la crisi e archiviata la recessione, la tigre centroeuropea è tornata a ruggire, insieme alla vicina Slovacchia.

I due Paesi hanno i dati più elevati di produzione di auto a livello mondiale: 197 veicoli ogni mille abitanti in Slovacchia e 107,5 in Repubblica Ceca. Questo dato permette a Praga di piazzarsi addirittura al 15esimo posto a livello mondiale con il 20% della produzione di manifatturiero ceco e dell’export del Paese che dipendono dalle quattro ruote. Oltre a Škoda, i protagonisti di questi risultati sono Toyota, Peugeot, Citroën e Hyunday per le case auto, più una miriade di nomi altisonanti nel settore della componentistica.

Negli ultimi cinque anni, secondo CzechInvest, l’agenzia nazionale per gli investimenti, gli investitori stranieri hanno creato 10mila posti di lavoro con l’arrivo di oltre 1,4 miliardi di euro nell’industria automobilistica ceca. Gli investimenti del 2014 sono raddoppiati rispetto all’anno precedente e le prospettive appaiono rosee. L’Autoland ceco sembra destinato a crescere ancora di più, con le aziende intente a individuare nuove aree dove realizzare i propri stabilimenti e ad assicurarsi la forza lavoro disponibile. Secondo uno studio appena uscito della Cbre, la domanda di padiglioni per attività produttive o per depositi da parte del comparto automobilistico è oggi da record. Nel primo semestre di quest’anno ha costituito un terzo del totale della domanda, rispetto al 15% dello scorso anno. Si osserva inoltre in maniera sempre più frequente la tendenza delle aziende a scegliere località sinora trascurate, come Moravia del sud e Boemia del nord.

Discorso analogo per la Slovacchia, che condivide con l’automotive ceco i punti strategici per attirare gli investitori: location centrale in Europa, personale qualificato, incentivi del governo, stabilità dell’ambiente per fare business, accesso diretto al mercato europeo e infrastrutture di trasporto adeguate. I tre produttori che vi operano – Kia, Psa Peugeot Citroën e Volkswagen (in attesa dell’annunciato arrivo di Jaguar Land Rover a Nitra) – sono persino riusciti sinora, grazie a mercati di sbocco alternativi, a superare anche l’impatto delle sanzioni alla Russia, il paese verso il quale prima della crisi ucraina era destinato il 15% dell’export slovacco.

di Daniela Mogavero