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Un 2017 dalle sfide in apparenza impossibili per il premier, che proverà a evitare la disfatta elettorale socialdemocratica, fronteggiando la straripante popolarità di Babiš. Tutti i sondaggi gli sono avversi ma il mastino Sobotka vuole confermarsi politico dalle sette vite. Punta su lavoratori, tasse e crescita economica, cercando di confermarsi interlocutore affidabile per Bruxelles

Uscito tramortito in autunno dalle elezioni regionali e per il rinnovo di un terzo del Senato, Bohuslav Sobotka, primo ministro e leader del partito Socialdemocratico, confermandosi un vero mastino politico, non ha impiegato troppo tempo per leccarsi le ferite e rimboccarsi le maniche.

Il primo banco di prova sarà ora quello di marzo, in occasione del congresso socialdemocratico, quando dovrà rilanciare la Čssd in vista della sfida decisiva dell’autunno 2017, vale a dire le elezioni di rinnovo della Camera dei deputati.

Due i “nemici” da battere: la disaffezione dell’elettorato socialdemocratico e Andrej Babiš che con il suo Movimento dei cittadini scontenti (Ano) è in testa a tutti i sondaggi.

Con questi concetti ben chiari, Sobotka, già all’indomani delle elezioni di ottobre, ha iniziato un riposizionamento politico non indifferente: da una parte con un rimpasto di governo, seppur molto piccolo e riguardante solo due ministri Čssd; dall’altro con una serie di dichiarazioni di sinistra, chiedendo un aumento dei salari dei dipendenti e maggiori tasse alle grandi compagnie; da un lato ancora, con una ipotesi di riavvicinamento al presidente Miloš Zeman e infine confermandosi come un interlocutore affidabile per l’Ue nell’area centrorientale dell’Europa e soprattutto nel gruppo di Visegrád. Sono queste le carte che Sobotka si sta giocando e si giocherà presumibilmente da qui fino alle elezioni dell’autunno 2017.

Ma andiamo con ordine. Il premier – il cui partito secondo alcuni degli ultimi sondaggi rischia il prossimo anno di raccogliere la metà dei voti del lanciatissimo Ano del populista Babiš – ha voluto dimostrare di avere ancora salde in mano le redini del governo, attuando un mini rimpasto di governo. Dopo aver dato il benservito ai ministri di Čssd, per Sanità e Diritti umani, rispettivamente Svatopluk Němeček e Jiří Dienstbier, ha dato avvio a un programma di colloqui tête-à-tête con ciascuno degli altri ministri, facendo il punto dei risultati sinora ottenuti e di quelli che rimangono ancora da raggiungere. Non gli è riuscito l’intento di sostituire il ministro dei Trasporti, Dan Ťok (Ano), difeso da Babiš, tuttavia con questo attivismo Sobotka ha inteso dimostrare di non essere un premier dimezzato e di non volersi far mettere all’angolo dallo stesso Babiš.

Subito dopo la sconfitta elettorale di ottobre Sobotka ha poi contrattaccato sul piano politico, mostrandosi per esempio più propositivo sul fronte delle imposte. Ha prospettato un possibile ritorno al sistema della progressività delle aliquote per quanto riguarda le persone fisiche, mentre sul fronte delle aziende, ha chiesto un incremento delle aliquote per le società più grandi, in primo luogo banche, operatori delle telecomunicazioni e grandi compagnie energetiche. Queste società sono spesso di proprietà straniera, quindi l’obiettivo di Sobotka è anche di contenere le cifre miliardarie che se ne vanno all’estero in forma di dividendi, e fare in modo che questi soldi rimangano in Repubblica Ceca.

L’obiettivo di Sobotka è evidente: riguadagnare terreno e consensi tra i tradizionali elettori socialdemocratici, promettendo meno tasse ai cittadini, migliori standard di vita e salari più alti. Su quest’ultimo fronte il premier non ha atteso molto a sferrare un colpo ad effetto: l’obiettivo di spicco e che ha fatto molto rumore è stata la catena commerciale olandese Ahold, la più grande che opera in Repubblica Ceca, con più di 17 mila dipendenti. Sobotka ha chiesto direttamente un aumento dei salari, per ridurre il dislivello con gli stipendi che lo stesso gruppo paga nei paesi occidentali. Ovviamente Sobotka non può obbligare Ahold, proprietaria dei supermercati Albert, ad aumentare le retribuzioni, ma la sua presa di posizione accende nuovamente i riflettori su un tema forte della campagna elettorale nel Paese, dove i salari e il potere di acquisto sono ancora troppo al di sotto della media Ue.

“Dobbiamo cercare di aumentare i salari, per non essere soltanto una linea di assemblaggio a basso costo – ha dichiarato il premier dopo una riunione con i sindacati dei lavoratori e il management Ahold. – Sostengo i dipendenti Ahold, perché mi piace che si facciano sentire”.

Secondo i sindacati, il personale che lavora nei supermercati Albert della Repubblica Ceca – in particolare cassieri e commessi – percepisce circa 13.500 corone al mese, circa 500 euro, a fronte di una media nazionale stipendi di circa mille euro.

Nel riposizionamento di Sobotka fondamentale sarà il sostegno che riceverà all’interno del suo stesso partito, la Čssd. Dopo lo scivolone delle elezioni in cui i Socialdemocratici hanno ottenuto soltanto due dei 27 seggi in palio, l’appuntamento di marzo per il congresso del partito vede Sobotka come unico candidato, insieme al vice, il ministro degli Interni Milan Chovanec.

Quest’ultimo sta soprattutto spingendo perché Sobotka attenui i suoi contrasti con il presidente Zeman, prospettando anche la possibilità che il partito socialdemocratico appoggi l’attuale capo dello stato nel caso dovesse ricandidarsi per il 2018. “Il nostro avversario è Andrej Babiš. Non possiamo permetterci un altro fronte con il Castello” ha dichiarato il titolare degli Interni, cercando di mettere la parola fine alle polemiche di Sobotka con il Pražský hrad. Sforzi che qualche frutto l’hanno ottenuto, visto che Sobotka ha ammesso la possibilità di appoggiare Zeman, nel caso dovesse arrivare al ballottaggio presidenziale contro un candidato non Čssd.

D’altra parte, alcuni commentatori politici vedono nel fatto che Sobotka sia l’unico candidato per la leadership socialdemocratica uno svantaggio, un tallone d’Achille del partito, piuttosto che un elemento di compattezza, una candidatura per mancanza di alternative, quindi debole in partenza contro il vulcanico Babiš. Nonostante la retorica interna di alcuni componenti, che hanno attaccato Sobotka dopo il voto, nessuna delle correnti Čssd ha però mostrato di avere abbastanza forza e compattezza per presentare un suo credibile candidato anti Sobotka.

Il premier in questi ultimi tempi si è trovato a parare anche altri tipi di attacchi, come nel caso dei presunti soldi cinesi che finanzierebbero il suo partito. Secondo uno dei decani del giornalismo ceco, Petr Nováček, commentatore della radio di stato Český rozhlas, i socialdemocratici, così come il presidente Zeman, ricevono fondi dalla Cina, un paese dal quale potrebbero arrivare nei prossimi anni investimenti miliardari in Repubblica Ceca. Sarebbe questo il motivo per il quale sia il Castello che il premier si stanno mostrando tanto disponibili verso Pechino. E questo spiegherebbe anche la immediata reazione con la quale lo scorso ottobre sia Zeman che Sobotka hanno censurato l’incontro a Praga fra il ministro della Cultura, il cristiano democratico Daniel Herman e il Dalai Lama. Contro Nováček è stata netta la reazione del ministro Chovanec che ha parlato di “menzogne”.

Ultimo fronte da non sottovalutare per le sette vite di Sobotka è quello internazionale. Il premier ceco resta nello scacchiere del Centro-Est Europa uno dei leader con cui l’Ue sa di poter continuare a dialogare. Anche all’interno del Gruppo di Visegrád, di cui fanno parte anche Polonia, Ungheria e Slovacchia, le posizioni ceche restano le più moderate e meno nazionaliste ed anti-Ue. Un punto, quest’ultimo, a favore del premier che ha incassato il gradimento di Bruxelles in questo senso. Il cambio alla guardia del Paese, in senso populista, potrebbe modificare quest’asse e rendere il blocco dei V4 ancora più sovversivo all’interno dei già fragili equilibri europei, un’eventualità che di certo non andrebbe a genio all’Ue. A votare, saranno però – come sappiamo – i cittadini cechi e la voce di Bruxelles non sempre viene ben udita a queste latitudini, neanche dalle parti di Praga.

di Daniela Mogavero