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Il miliardario ceco Zdeněk Bakala–52 anni, uno degli uomini più ricchi dell’Europa centrale, con un passato da genio della finanza e proprietario,oggi, di immensi giacimenti carboniferi – si è fatto avanti con un mega progetto che ha il fine di ridare credibilità e visibilità al ciclismo internazionale, in nome della passione che lo lega a questo sport e, ovviamente, degli affari.

Town housesCome sappiamo questo è un periodo di grande fermento per il ciclismo mondiale, culminato con l’affare Armstrong, l’ex campione americano al quale sono stati revocati, per doping, i sette Tour de France vinti in carriera e tutti i titoli conquistati a partire dal 1998. Per il movimento ciclistico mondiale è forse la peggior crisi di sempre. È stato proprio dopo questo scandalo che cinque grandi giornali europei, guidati dalla Gazzetta dello Sport (con il francese L’Equipe, i belgi HetNieuwsblad e Le Soir, l’inglese The Times), hanno lanciato un “Manifesto per un ciclismo credibile”, nel tentativo di invocare una svolta generale per il bene del movimento.

Bakala, il quale è proprietario della corazzata Omega-QuickStep – lo squadrone belga di Tom Boonen e Mark Cavendish – ha colto la classica palla al balzo e ha convocato a Bruxelles i giornali coinvolti per spiegare il suo progetto.

Chi è Bakala?

Prima di procedere vale la pena però una premessa su questo personaggio. La sua è la storia del classico self made man.

Originario della zona di Ostrava, città che per le sue tradizioni siderurgiche era nota come “il cuore d’acciaio” dell’allora Cecoslovacchia, Bakala appena diciottenne, decide di lasciare il suo Paese, appena invaso dalle truppe sovietiche. Una carriera che inizia come in un film, con una banconota da cinquanta dollari, nascosta dentro a un panino infilato nello zaino. È così che attraversa la frontiera, lasciandosi alle spalle la Cecoslovacchia comunista.

Sceglie di emigrare negli Stati Uniti, lavorando come lavapiatti e frequentando la University of California di Berkeley, dove si laurea a pieni voti. Alla fine degli anni Ottanta consegue una specializzazione in studi finanziari al Darmouth College.

Nel 1991 torna a Praga con l’incarico da parte di Credit Suisse First Boston di dare vita alle operazioni nella Repubblica Ceca. Arricchito dall’esperienza del libero mercato, Bakala ha spinto il Governo verso la prima e importantissima privatizzazione della storia della Repubblica Ceca: l’accordo che ha portato la Škoda verso la Volkswagen.

Qualche anno dopo decide di mettersi in proprio fondando la Patria Finance, prima banca di investimento ceca e società di consulenza specializzata nell’evitare il fallimento di aziende pubbliche in crisi, per poi avviarle alla privatizzazione. L’avventura di Bakala a capo della società si conclude nel 2000, quando il magnate cede la propria quota alla banca belga Kbc.

Il finanziere ceco ritorna in campo nel 2004, con l’acquisizione della Karbon Invest, società proprietaria della azienda carbonifera Ostravsko-Karvinské doly (Okd). Un’altra scelta azzeccata, visto anche l’incremento negli ultimi anni del prezzo del carbone.

Nel frattempo Bakala ha anche acquistato la più prestigiosa casa editrice della Repubblica Ceca, Ekonomia, società editrice del quotidiano Hospodářské noviny e dei settimanali Ekonom e Respekt.

Vista la storia di Zdeněk Bakala, la domanda sorge spontanea: perché un finanziere di successo, il cosiddetto Barone del carbone, alla luce degli investimenti negli ultimi anni, dovrebbe avere interesse ad investire sul ciclismo, uno sport ai minimi storici di popolarità? Un po’ la passione, un po’ la sete di sfide. Bakala, tra gli uomini più ricchi del mondo (2 miliardi di dollari di patrimonio) si è innamorato del ciclismo e vuole vincere anche qui: “Amo lo sport, e amo le scommesse d’affari”.

Il magnate ceco vede nel ciclismo una grande opportunità, troppo grande per poterla sprecare, troppo grande per far sì che gli scandali decretino così la fine di una delle discipline più seguite nella storia dello sport.

La proposta di Bakala – frutto anche della collaborazione con l’olandese Bessel Kok, manager di successo, amministratore delegato della Omega-QuickStep (braccio destro di Bakala da ben 17 anni) – si può sintetizzare come “la Champions League del ciclismo”: un circuito chiuso, con 18 squadre che abbiano corse sicure e un calendario lungo. A prendervi parte solo le squadre migliori, con i migliori corridori e nelle migliore corse (una ventina). Il tutto in un format di qualità, da vendere alle grandi tv. Ovviamente a dirigere l’orchestra lui, Zdeněk Bakala, che sarebbe il a capo di questo collaborazione tra team, sponsor, investitori e Uci (Unione Ciclistica Internazionale).

Il progetto in realtà non è una novità assoluta; nel 2004 la stessa idea fu il punto cardine del progetto ProTour, proposto dalla stessa Uci, poi fallito a causa del complicato sistema delle licenze che doveva essere imposto anche agli organizzatori (Giro, Tour etc.).

Ora però il progetto viene da un gruppo di sponsor privati con Bakala alla guida, pronti a mettere subito quantità di denaro non trascurabili. Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, il ceco ha già trovato l’accordo con circa dieci squadre e, dettaglio fondamentale, ha ottenuto l’appoggio dell’Uci.

Ma passiamo ai punti forti del progetto di Bakala.

Intanto una riforma delle procedure antidoping, con procedure più trasparenti e affidandone la gestione ad un’agenzia esterna indipendente.

La stabilità finanziaria dei team è il secondo punto del programma. In un sistema ben organizzato nel tempo (un programma chiaro e una garanzia di numero e frequenza delle tappe), con chiare regole e con la sicurezza di ricevere compensi per i diritti tv, i team non avrebbero le difficoltà economiche che da sempre caratterizzano questo sport.

Ed infine, una riforma del sistema di regole dell’Uci, volta ad una maggior trasparenza.

Serve in sostanza, l’unione tra il vecchio e il nuovo: l’Unione Ciclistica da una parte, che incarna il ciclismo di sempre, con un sistema ormai superato e con una formula difficile da seguire per gli appassionati; Bakala e i nuovi sponsor e investitori dall’altra con idee nuove, vincolati all’appoggio o meno dell’Uci ma forti di un progetto che potrebbe rappresentare la salvezza di questo sport.

Un piano che sembra destinato ad avere successo, anche perché come ha affermato il magnate ceco “Hanno tutti da guadagnare, e ci saranno nuove corse da allestire”. Un progetto, il suo, tanto ambizioso quanto concreto, che sembra davvero proporsi come l’unica via per riportare il ciclismo nei pensieri degli appassionati.

Eppure non mancano le critiche. A fare la voce grossa è stato in particolare Luca Scinto, direttore sportivo della Farnese Vini-Selle Italia. Ex corridore della MG e della Mapei, Scinto ha criticato aspramente il nuovo format del ciclismo delineato da Bakala:“Il ciclismo è costruito sulle sue tradizioni, ma Bakala vuole cambiare tutto e creare un sistema chiuso. Questo è molto pericoloso per tutti gli altri. Vorrà dire che un sacco di altre squadre e corse minori scomparirebbero e lo sport perderebbe molte delle sue tradizioni e del suo patrimonio”. Un sistema che, secondo Scinto, oltre a condannare le piccole squadre, causerebbe una perdita inestimabile di quella che è la cultura sportiva del mondo del ciclismo.

Vedremo come va a finire.

Se entro i prossimi sei mesi gli accordi tra le varie organizzazioni saranno raggiunti, ci saranno ancora tre anni di transizione con l’attuale sistema, per poi passare alla nuova formula già dal 2016, parola di Bakala.

di Maurizio Marcellino