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Un viaggio dai significati molteplici quello che ha in programma Benedetto XVI dal 26 al 28 settembre in Repubblica ceca. Ad ospitarlo sarà uno dei paesi del mondo di maggiore diffusione dell’ateismo, fra i pochi in Europa a non aver stipulato un Concordato con la Santa Sede e dove rimane ancora tutta da definire la questione delle restituzioni dei beni ecclesiastici sottratti durante il regime

Il cardinale Miloslav Vlk, nella intervista delle pagine precedenti, ha sottolineato il carattere pastorale della prossima visita papale, ma è chiaro, dalle sue stesse parole, che questo evento si svolge in un’atmosfera caratterizzata dalle importanti questioni, ancora aperte, nei rapporti fra lo Stato ceco e il Vaticano.
Trascorsi ormai venti anni dalla caduta del regime, la Repubblica ceca rimane l’ultimo paese dell’ex Patto di Varsavia a non aver ancora un Concordato con la Santa Sede. Sette anni fa si è arenato l’ultimo tentativo. In quella occasione – parliamo ormai del 2002 – il governo di Praga e il Vaticano raggiunsero un accordo e firmarono il relativo documento stipulato nelle forme del trattato internazionale. La ratifica fu però bocciata l’anno dopo dal Parlamento ceco. Su 177 deputati presenti in aula, ben 111 votarono contro la ratifica del Concordato. Una contrarietà quindi assolutamente trasversale. A votare “no” furono non solo gli esponenti dei partiti della sinistra, Comunisti (Kscm) e molti Socialdemocratici (Cssd), ma anche i conservatori del partito Democratico civico (Ods). “Un trattato di questo tipo mi sembra del tutto inutile, in quanto i rapporti fra Stato e Chiesa sono già abbastanza disciplinati dalle nostre leggi nazionali” sentenziò in quella occasione Jan Zahradil, allora vicepresidente dell’Ods, esprimendo una opinione che ancora oggi sembra ampiamente condivisa dalla maggioranza della popolazione ceca, ad iniziare dal capo dello Stato Vaclav Klaus.
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L’impressione è che fra i cechi prevalga non tanto un atteggiamento di indifferenza religiosa, ma una vera e propria ostilità nei confronti della Chiesa, come se cechi continuassero a rimproverare al cattolicesimo alcune pagine del passato storico di questo paese, ad iniziare dalla Battaglia della Montagna Bianca e dagli appoggi agli Asburgo nel contrastare le aspirazioni nazionali dei cechi.
Certe resistenze anti ecclesiastiche possono avere come ulteriore spiegazione il fatto che la Repubblica ceca sia uno dei paesi meno religiosi d’Europa.
Secondo l’ultimo censimento del 2001, in Repubblica ceca il 59% della popolazione è senza religione e i cattolici costituirebbero una quota inferiore al 30%. Ancora più netti i risultati del più recente sondaggio dell’Eurobarometro, secondo il quale i cittadini cechi che credono nella esistenza di un dio sono circa il 25% della popolazione.
Da sottolineare che il Concordato del 2003 venne rigettato dal Parlamento ceco nonostante quel documento non includesse alcun riferimento alla questione della restituzione dei beni ecclesiastici nazionalizzati durante gli anni del regime comunista. Questo tema continua infatti a essere uno dei più difficili da risolvere. Sono ormai venti anni che la Chiesa prova farsi restituire, senza risultato, quella miriade di palazzi, terreni, boschi, chiese. Un patrimonio il cui valore secondo alcune stime potrebbe superare i tre miliardi di euro.
Il governo guidato da Mirek Topolanek era riuscito nel 2007 a formulare un disegno di legge sulle restituzioni che sembrava potesse avere qualche chance di riuscita. Il tentativo si è però arenato quasi subito nella Camera dei deputati, dove persino qualche deputato del partito del premier disse: “Una soluzione troppo generosa per la Chiesa”. Anche in quel caso la contrarietà trasversale del mondo politico, ad eccezione del solo partito Cristiano democratico (Kdu-Csl), è apparsa corrispondere a una opinione pubblica largamente sfavorevole a progetti di soluzione (g. u.)