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Il premier resiste, nonostante le accuse di conflitto di interessi e le contestazioni di piazza. Ora punta tutto sul nuovo peso di Praga e del V4 in Ue
In patria Babiš sembra non avere una vera alternativa, all’estero riesce a stringere relazioni di peso

Sorrisi, strette di mano, incontri di altissimo livello. Accuse di conflitto di interessi, proteste di piazza e richieste di dimissioni, soprattutto a Praga, capitale che non lo ama. Sono le due facce, all’estero e in patria, del premierato di Andrej Babiš, il miliardario ceco soprannominato Babisconi o Trump ceco, che sta giocando al meglio le sue carte nella politica estera ondeggiando tra populismo e nazionalismo, con posizioni mai apertamente euroscettiche ma che della Ue, caso per caso, se ne infischiano. Un personaggio politico che punta a contare ancora di più, insieme alla sua Repubblica Ceca, nell’Europa del domani, un’Europa che vuole più sicura e con più libertà di movimento, al suo interno, per merci e persone.

Babiš negli ultimi mesi è riuscito a “monetizzare” in termini di credibilità internazionale gli incontri all’estero e le visite di stato. Prima tra tutte quella a marzo a Washington dove ha rafforzato il legame con il presidente americano Donald Trump, facendo, ancora una volta, la sua parte nel lavoro di equidistanza di Praga dall’Occidente e dalla Russia (e anche dalla Cina, con il caso Huawei). Si configura infatti un equilibrio che conta anche sul contrappeso del capo dello Stato Miloš Zeman, la cui posizione in questo scacchiere è filorussa e filocinese, e che permette alla Repubblica Ceca di tenere aperte le porte di tutte le più grandi potenze mondiali.

Adesso, dopo le elezioni europee, Babiš conta di rafforzare il peso della Repubblica Ceca e del Gruppo di Visegrad di cui fa parte, formato anche da Slovacchia, Ungheria e Polonia. L’obiettivo è di conquistare per il V4 uno dei posti chiave della nuova Ue. È stato proprio il premier ceco a promuovere all’inizio di giugno il summit informale a Budapest dove i quattro Paesi centroeuropei hanno dichiarato di voler spingere per un uomo del V4 al posto di Alto rappresentante per la politica estera Ue, il ruolo che adesso è di Federica Mogherini, Lady Pesc. La candidatura avanzata è quella dello slovacco Maroš Šefčovič, già vicepresidente della Commissione Juncker e Commissario per l’Unione energetica. Il nome dell’ex rivale della neopresidente slovacca Zuzana Čaputová, era balenato anche per la presidenza della Commissione, ma lo stesso Babiš ha poi smentito l’ipotesi.

Nella stessa riunione i V4 hanno scelto di prendere una dura posizione nell’ambito della lotta per la guida della Commissione Ue. Sposando la linea del premier conservatore ungherese Viktor Orban, Praga, Bratislava e Varsavia hanno detto no alla candidatura Ppe di Manfred Weber per la guida dell’esecutivo europeo.

Del resto, lo stesso Babiš ha fatto capire quali saranno i punti chiave di un’Europa che funzioni nei prossimi cinque anni: per il premier ceco la Commissione ha troppo potere e a decidere «dovrebbe essere la coalizione dei governi Ue», quel Consiglio europeo che dovrebbe «riunirsi ogni due mesi» per dare la linea. Inoltre, Babiš ha ribadito, come sostenuto anche dai suoi alleati del V4, l’importanza del «bilanciamento geografico» nella distribuzione dei ruoli nella Ue.

La strategia per una «forte Repubblica Ceca» (non casualmente un motto dallo stampo trumpiano) prevede un lavoro di posizionamento internazionale che Babiš sta giocando a dovere, incontrando i diversi alleati, vicini e lontani, e facendo pesare le sue posizioni, giovandosi dei rapporti non più idilliaci tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. E con quest’ultimo il primo ministro ceco ha un legame importante, soprattutto in sede di Europarlamento, dove i due politici siedono nelle file dello stesso gruppo, quello dei Liberali dell’Alde.

Macron intende far pesare l’appoggio del gruppo nell’ambito delle trattative per una maggioranza parlamentare che sostenga un candidato forte. In questo contesto, oltre alle interlocuzioni con i Socialisti spagnoli e portoghesi, il presidente francese ha riservato un interesse particolare per il leader di Ano. E sulle visioni diverse su tanti temi Ue con l’inquilino dell’Eliseo, Babiš ha precisato: «Il futuro dell’Europa non può ridursi a posizioni divergenti sulla politica di asilo comune. Anche io voglio una Unione aperta, per il commercio, le imprese e le attività che contribuiscono al progetto europeo. Ma deve essere allo stesso tempo sicura o non funzionerà».

Sembra, inoltre, che Babiš sia riuscito, a suo dire, a tornare in sintonia pure con l’Italia, nonostante gli attacchi della scorsa estate sul tema migranti. In occasione della celebrazione della Festa della Repubblica Italiana, il premier ceco ha puntualmente accolto l’invito rivoltogli da Francesco Saverio Nisio, ambasciatore d’Italia a Praga, per il consueto ricevimento. Nel suo discorso di saluto, davanti ai numerosi ospiti presenti, Babiš ha dichiarato compiaciuto che sul tema dei migranti «oggi la posizione del governo di Roma coincide con quella da me espressa da tempo». E in una recente intervista al Corriere della Sera, si è persino detto impaziente di incontrare il vicepremier Matteo Salvini, che ha lodato come «colui che ha fermato l’immigrazione clandestina in Italia».

Questo per quanto riguarda le relazioni internazionali, ma come sappiamo ci sono anche i nodi interni. Da ormai più di un mese decine di migliaia di persone stanno scendendo in piazza per protestare contro di lui, prima soltanto a Praga e poi anche nelle altre principali città della Repubblica Ceca. La scintilla che ha scatenato la rabbia di numerosi cechi è stata la nomina a ministro della Giustizia di Marie Benešová. Quest’ultima è un ex capo della procura nazionale, fedelissima del presidente Miloš Zeman che i critici considerano come un pericolo per la indipendenza della magistratura, più concretamente come colei che avrà il compito di far arenare le indagini contro il premier. Giova ricordare, a questo proposito, l’accusa che continua pendere sul capo di Babiš, vale a dire di aver truffato la Ue, ottenendo illecitamente dei finanziamenti per la realizzazione di un resort di lusso, il Nido della cicogna.

Rimane poi sempre viva la questione del suo conflitto di interessi. La Commissione Ue ha di recente pubblicato un report secondo il quale Babiš, dietro il paravento di due fondi fiduciari, continua a controllare la Agrofert, un grande conglomerato di aziende, soprattutto del settore agroalimentare e chimico, che percepisce generose sovvenzioni europee.

Ma il premier ceco, secondo uomo più ricco del paese, smentisce e respinge le accuse, bollandole come invenzioni, frutto della incompetenza dei controllori della Ue. E rivolgendosi alle piazze di manifestanti, risponde: «sono proteste politicamente motivate. Tutta gente strumentalizzata da parte di chi vuole cambiare il risultato di libere elezioni».

E sta proprio qui il punto. Il partito di Babiš, Ano 2011, continua a uscire vincitore dalle urne. In sei tornate elettorali (politiche, europee e regionali) ha sempre avuto più voti degli altri partiti e non sembra esistere una vera opposizione che possa farlo cadere.

La sua coalizione di governo è stata faticosamente costruita dopo settimane di trattative. I Socialdemocratici (Čssd) della Repubblica Ceca, ormai scomparsi a livello europeo, non sembrano avere alcuna convenienza a uscire da questo governo di minoranza e altrettanto si dica per l’appoggio esterno dei Comunisti. Poi ci sono i sovranisti di Tomio Okamura, pronti con ogni probabilità a fungere da ruota di scorta del governo Babiš, in caso di necessità.

Insomma, a conti fatti, la leadership del premier miliardario prefigura la sua permanenza a capo del governo di Praga ancora a lungo.

di Daniela Mogavero