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La politica estera divide la Repubblica Ceca: da una parte le parole pro-Russia di Zeman, dall’altra il filo-Ue Zaorálek. In ballo i rapporti con gli Stati Uniti e con Bruxelles che mal sopportano le parole del capo di stato

Due fronti caldissimi che hanno acceso la lotta tra due palazzi simbolo di Praga, due “voci”, due modi di intendere e vedere la politica estera del Paese. La battaglia di parole e di atteggiamenti della presidenza ceca, da una parte, e del ministero degli Esteri del Paese, dall’altra, ha raggiunto livelli di durezza e di scontro altissimi proprio in una delicata fase come quella attuale in cui l’Europa si trova a fronteggiare la crisi ucraina, con annessi i rapporti con la Russia, e la minaccia dell’Isis.

La guerra, neanche tanto fredda, tra Pražský hrad e Palazzo Černín si è esacerbata con botta e risposta tra il presidente Miloš Zeman e il ministro Lubomír Zaorálek, diatribe che non sono rimaste confinate nella ristretta cerchia delle notizie di politica interna ma che hanno fatto il giro del mondo. La stampa internazionale ha infatti sottolineato più di una volta l’atteggiamento filorusso di Zeman e le sue posizioni anti-Ue sul fronte delle sanzioni alla Russia. Che il Presidente ceco sia vicino a Mosca e soprattutto al Cremlino di Putin non è una novità, ma le dichiarazioni apertamente in disaccordo con le posizioni del ministro degli Esteri e di Bruxelles hanno portato il ministero addirittura a ridurre il flusso di informazioni sensibili che Černín passa alla presidenza ceca in tema di politica estera.

La punta più alta delle tensioni tra Zaorálek e Zeman è stata toccata quando il capo di stato ha definito il conflitto in ucraina come una “guerra civile” attaccando anche il premier ucraino. Parole che hanno evidenziato quello che con i gesti e i fatti aveva fatto già capire Zeman alla conferenza di Milano sull’Ucraina, quando si era notata più che la presenza proprio l’assenza del presidente ceco, il quale, invece di partecipare all’incontro con gli altri leader europei sulla risoluzione della crisi, aveva preferito sedersi a conversare, in disparte e sigaretta alla mano, con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.

Atteggiamenti, gesti e parole che hanno reso evidente una grossa falla nella politica estera ceca e ancor prima europea: a molti osservatori è sembrato evidente come Vladimir Putin stia tentando di rompere l’unità di posizioni di Bruxelles lavorando ai fianchi dei leader dell’ex blocco sovietico. Strategia che non è stato troppo difficile attuare con il suo “fedele” amico Zeman, da sempre ben introdotto negli ambienti del Cremlino e con note amicizie tra gli ex Kgb. È risaputo che la sua campagna elettorale per la presidenza è stata finanziata in buona parte e pianificata da Martin Nejedlý, numero uno del ramo ceco della compagnia russa Lukoil, e dal lobbista Miroslav Šlouf, che avrebbe favorito l’assegnazione dell’appalto delle forniture di carburante all’aeroporto di Praga proprio per Lukoil. I legami tra Mosca e Zeman, tra cui anche le apparizioni ad eventi organizzati da personaggi come l’ex spia russa Vladimir Yakunin, hanno irritato non poco gli Stati Uniti, che da lontano osservano e intervengono, per ora a parole, nella crisi ucraina. Per sfatare questa immagine di “voce del Cremlino” lo stesso Zeman ha fatto sapere che nel corso del suo viaggio negli Stati Uniti parteciperà a una conferenza internazionale organizzata da The American Israel Public Affairs Committee, e, secondo anticipazioni, si pronuncerà a favore di un incremento del budget militare, per la lotta al terrorismo e a favore di Israele.

Dal canto suo, in questa battaglia a due, il primo ministro Bohuslav Sobotka ha inizialmente bollato come opinioni personali le dichiarazioni del presidente ceco, ma nelle ultime settimane, temendo un vero cortocircuito nelle posizioni ufficiali di Praga ha attaccato duramente il capo di stato e in pubblico lo ha accusato di danneggiare i rapporti con gli alleati dell’Ue e della Nato. E proprio per questo Palazzo Černín avrebbe deciso di ridurre il flusso di informazioni sensibili da inviare alla presidenza. E per migliorare la concertazione delle posizioni, almeno quelle ufficiali, sui temi sensibili come Isis e Ucraina, il primo ministro ha annunciato che il premier e il presidente Zeman si incontreranno tre volte all’anno, insieme ai presidenti dei due rami del Parlamento, al ministro degli Esteri e a quello della Difesa, per riunioni di coordinamento riguardanti la politica estera ceca.

Su questo fronte il ministro degli Esteri, infatti, vuole fare bella figura con Bruxelles a costo di alzare anche il tiro proprio per dimostrare la lealtà di Praga all’Ue. In questo senso, forse, vanno lette le dichiarazioni di Zaorálek secondo cui l’Europa deve essere pronta nella sua strategia di lungo termine con la Russia, a un periodo di “non collaborazione con Mosca”. Fatte salve però alcune aree, come la cooperazione nella lotta all’Isis.

Altro fronte di scontro tra Palazzo Černín e Castello è, infatti, la guerra all’Isis. Anche in questo caso è stato Zeman a iniziare le ostilità. Il capo dello Stato ha attaccato il ministro degli Esteri paragonando l’atteggiamento del suo dicastero verso lo Stato islamico alla politica dell’appeasement di Neville Chamberlain nei confronti della Germania nazista. E il Presidente ceco ha insistito sul tema aggiungendo che “con il terrorismo non si tratta ma si combatte. È in gioco la vita di centinaia di milioni di persone. L’Olocausto non iniziò con le camere a gas, ma con la prima panchina di un parco dove a un ebreo fu vietato di sedersi”. Secondo il capo dello Stato, quindi, il mondo è davanti al rischio di un mega Olocausto e bisogna creare una coalizione militare internazionale che scenda in campo contro gli estremisti dello Stato islamico sotto l’egida dell’Onu. Polemica la reazione del ministro degli Esteri secondo il quale “Un invito alle Crociate è un nonsenso. Non credo nella utilità di alcun intervento militare in Siria, in Iraq o chissà dove…”.

E nelle more di questo scontro che non accenna a placarsi c’è chi, anche nel governo, cerca di non far raffreddare i rapporti tra Mosca e Praga, almeno sul fronte economico: il programmato incontro, a marzo, della Commissione intergovernativa russo-ceca, pienamente patrocinato dal ministero dell’Industria e del Commercio di Praga, con la prevista partecipazione del ministro ceco Jan Mládek e dell’omologo russo Denis Manturov, è vista con imbarazzo da Palazzo Černín e in parte anche dal ministro delle Finanze Andrej Babiš, il cui partito, Ano, sembra aver preso finalmente posizione in politica estera (in chiave filo-Usa).

Ma questa strategia di rilancio dei rapporti economici con la Russia preparata dal ministro Mládek non piace per niente agli Stati Uniti. Il consigliere politico dell’ambasciata Usa a Praga, James P. Merz, avrebbe fatto la voce grossa durante un incontro con il team di Tomáš Prouza, il segretario di stato ceco agli Affari europei: “Secondo quanto ci risulta, le conseguenze negative delle sanzioni sono per la Repubblica Ceca di minima entità. Non capiamo allora il perché di questa strategia” avrebbe detto il diplomatico della Casa Bianca, secondo indiscrezioni non smentite.

Intanto, il presidente Zeman ha già confermato che il 9 maggio parteciperà a Mosca, ospite di Putin sulla Piazza Rossa, alla parata militare per il 70° anniversario della Grande Guerra Patriottica russa. Da parte sua Zaorálek ha invece annunciato che a fine febbraio sarà a Kiev per celebrare il primo anniversario della rivolta di piazza Maidan, vale a dire l’evento che ha dato il via in Ucraina alla tensione con Mosca.

In gioco in questo braccio di ferro tra i responsabili della diplomazia ceca ci potrebbero essere le alleanze di Praga in Europa e Oltreoceano, con il rischio che possano cambiare per sempre.

di Daniela Mogavero