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Attriti sulla ong messa al bando dal Cremlino e su un monumento, contestato dai russi, che dovrebbe sorgere a Praga
Con la Ue resta il nodo dei migranti e delle quote. Il governo ceco dice di no anche a 40 minori non accompagnati che stazionano in Grecia

Una fine d’anno con tanta carne al fuoco per la politica estera della Repubblica Ceca. Dopo l’attrito con il potente partner cinese, che nei mesi scorsi ha causato non pochi scontri a livello diplomatico tra Praga e Pechino, le ultime settimane del 2019 sono state caratterizzate da un botta e risposta, su diversi fronti, con la Russia. Un Giano bifronte, quello rappresentato dalle relazioni tra Cechia e Mosca, che ha da un lato il fronte di sostegno alla Russia, guidato dal presidente Miloš Zeman e formato in larga misura da sovranisti e comunisti, dall’altro lato il governo Babiš e l’amministrazione comunale di Praga.

Tre i punti caldi: le presunte reti di spionaggio russe in Repubblica Ceca, l’ostracismo alla ong umanitaria ceca Človek v tisni (People in Need) da parte delle autorità russe e il progetto di un monumento in onore dell’Esercito di liberazione di Andrej Vlasov nel distretto praghese di Řeporyje.

Attorno a questo vortice di tensioni restano invariate le posizioni di Praga sui migranti e il no si estende in modo ostentato anche ai minori non accompagnati che stazionano in Grecia. E intanto salgono le tensioni con Bruxelles per i giudizi e i rischi del report sul conflitto di interessi del premier Andrej Babiš.

Russia

Esattamente a un anno dall’allarme di altissimo livello lanciato dal servizio di controspionaggio della Repubblica Ceca, il Bis, sulla presenza di una fitta e molto attiva rete di spie russe a Praga e sul territorio ceco, è lo stesso organo di contro intelligence che torna sul tema e riaccende la polemica. Il capo del Bis, Michal Koudelka, infatti, ha ridestato l’allerta nel suo report annuale. Nel 2018 la minaccia era stata descritta come tangibile e potenzialmente pericolosissima, con un attacco cibernetico proveniente dalla Russia subito dal ministero degli Esteri ceco e l’avviso ai politici cechi a prestare attenzione ai contatti con i membri della missione diplomatica russa di Praga, perché, dall’ambasciatore all’ultimo degli autisti, tutti possono potenzialmente essere agenti segreti, aveva sottolineato il Bis.

Quest’anno Koudelka è andato oltre, portando nuove prove di quella rete e aggiungendo che in Repubblica Ceca sono attive tutte le agenzie degli 007 russi e operano non solo per carpire segreti ma anche per diffondere disinformazione e fake news. Dichiarazioni che hanno fatto andare su tutte le furie l’ambasciata russa a Praga che ha dichiarato di “non avere niente a che fare con nessuna rete di agenti” e la stampa russa che ha parlato ripetutamente di “isteria antirussa”, accusando il Bis di essere al servizio dell’americana Cia. Roba da Guerra fredda quasi, da Cortina di Ferro, se non fosse che di anni ne sono passati ormai più di 30.

Ma non è stata soltanto questa la falla nei rapporti tra Praga e Mosca, anzi, forse la storia delle spie è stata quella meglio gestita dal punto di vista diplomatico, con un sostegno incondizionato del presidente Zeman a Mosca e il rifiuto, ancora una volta, della promozione a generale di Koudelka. I veri problemi sono arrivati su altri due fronti aperti: quello delle ong e quello strettamente politico-storico-culturale della Seconda guerra mondiale.

Per quanto riguarda il primo punto la reazione di opposizione del governo ceco a Mosca è stata netta: il ministro degli Esteri ceco Tomáš Petříček, che ha giudicato “assurde” le motivazioni russe, ha convocato l’ambasciatore del Cremlino a Praga Alexander Zmeyevsky dopo che le autorità russe hanno bandito la ong ceca Človek v tisni, inserendola in un elenco di organizzazioni “non gradite”, una condizione che potrebbe esporre gli attivisti al rischio di sanzioni e pene detentive.

Altra nota dolente è diventato il distretto praghese di Řeporyje, poco più di duemila abitanti, estrema periferia ovest della capitale ceca. Alla guida di questa frazioncina c’è il sindaco Pavel Novotný, un eccentrico ex giornalista scandalistico, appartenente al partito conservatore dell’Ods, il quale si è messo in testa di costruire a Řeporyje un monumento in onore dell’Esercito di liberazione di Andrej Vlasov. Quest’ultimo era un generale sovietico che una volta catturato dai tedeschi, diventò un collaboratore della Germania nazista. Sul finire della Seconda guerra mondiale, nel maggio del 1945, nella speranza di sfuggire alla giustizia stalinista, Vlasov e le sue truppe presero parte all’insurrezione di Praga e alla liberazione della città dai tedeschi, ormai sconfitti. Dopo la fine del conflitto, gli americani consegnarono l’ex generale ai sovietici i quali lo processarono per diserzione e lo impiccarono nel 1946 a Mosca. Il progetto di monumento a Vlasov ha fatto saltare la classica mosca al naso all’Ambasciata russa, che ha energicamente protestato. La numero uno del Dipartimento stampa del ministero degli Esteri russo, Maria Vladimirovna Zakharova, ha definito l’iniziativa “assolutamente ripugnante e una reincarnazione del nazismo”. Ma Řeporyje e il sindaco Novotný non accennano a fare passi indietro e programmano di inaugurare il monumento in occasione del 75esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Novotný ha annunciato che non c’è niente di cui discutere. Ha preso carta e penna e rivolgendosi direttamente a Vladimir Putin, ha definito la Russia “paese simbolo di potere occupante, di menzogna e di mancato rispetto dei diritti umani”.

Lo stesso “potere occupante”, a ben vedere, che il premier Babiš ha condannato nella sua recente visita in Ucraina. A fine novembre durante la missione a Kiev, il capo del governo ceco ha espresso sostegno alla sovranità e alla integrità territoriale dell’Ucraina, condannando esplicitamente “l’aggressione e l’annessione russa della Crimea”.

Negli stessi giorni Praga ha potuto sperimentare con mano l’irritazione di Mosca quando la missione in Russia del ministro dell’Agricoltura ceco Miroslav Toman è terminata prima del tempo perché le autorità locali non hanno permesso alla delegazione di volare da Mosca a Kazan. L’atteggiamento delle autorità russe è preoccupante, ha fatto sapere Toman, “e fa sorgere dubbi sull’effettivo interesse della Russia per la collaborazione reciproca fra i nostri paesi”.

Unione Europea

Intanto Andrej Babiš continua il suo braccio di ferro con la Ue. Se da una parte il premier ceco ha detto sì ai nuovi impegni sul Green Deal della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sottolineando che a Praga la transizione verde e la “neutralità carbone” entro il 2050 costerà 675 miliardi di corone (“una cifra astronomica e vogliamo che l’Ue ne tenga conto”), dall’altra non mancano i terreni di scontro con Bruxelles. Uno di questi (oltre ai migranti, di cui si parlerà a seguire) è la normativa ceca sul conflitto di interessi. Babiš ha ribadito che non è compito della Ue interpretare questa legge e il suo caso specifico, cioè i sussidi europei alla sua azienda Agrofert trasferita a due fondi fiduciari nel 2017. Il ministro delle Finanze Alena Schillerová, fedelissima del premier, ha fatto sapere che la Repubblica Ceca utilizzerà tutti i mezzi in suo possesso per difendersi in sede Ue dopo che la Commissione ha spiegato di aver raggiunto le sue conclusioni in merito e facendo trapelare che la condanna del comportamento di Babiš non è variata. Praga ha due mesi di tempo per comunicare come intende adeguarsi alle indicazioni contenute nel parere Ue che è definitivo, pena il taglio dei fondi europei.

Migranti

Su questo tema la Repubblica Ceca non cambia posizione, come del resto tutto il gruppo di Visegrad. Babiš e il suo vicepremier, nonché ministro dell’Interno, Jan Hamáček (socialdemocratico) hanno ribadito che Praga continua a rifiutare ogni ipotesi di ripartizione dei migranti e non è d’accordo con alcuna proposta di quote obbligatorie da parte della Ue. Inoltre, anche se accettasse di accogliere 40 minori non accompagnati che si trovano nei campi profughi in Grecia, l’intenzione generale sul tema non cambierebbe. E comunque la Repubblica Ceca “deve dedicarsi ad aiutare i bambini cechi”, ha precisato Babiš rivolgendosi al proprio elettorato.

Poca disponibilità sembra di potersi cogliere anche da parte del ministro degli Esteri Tomáš Petříček, socialdemocratico, generalmente considerato una colomba del governo ceco. Il capo della diplomazia, parlando dei minori di cui Atene chiede l’accoglienza, ha infatti sottolineato, quasi a rimarcare l’incomunicabilità su questo tema, che le autorità greche “non hanno mai detto chi siano precisamente questi minori, da quali paesi vengano, di quali documenti siano in possesso e se per caso non abbiano i genitori in Germania”.

Una miriade di rilievi che – anche in questo caso del tutto particolare – lasciano ben pochi spiragli alla possibilità che Praga possa scegliere la benché minima strada dell’accoglienza.

di Daniela Mogavero