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Da Lída Baarová a Eva Herzigová, piccolo atlante in chiave erotica dei rapporti italo-cechi

Le incontravi timide, raccolte, con uno sguardo vago di delicata follia, a sorseggiare un tè al Louvre o allo Slavia (prima versione), ad addentare una palačinka o una Sacher torte al parco di Letná, quasi sempre ad un concerto al Teatro Nazionale oppure in una libreria del Triangolo d’Oro a cercare l’ultimo scritto di Hrabal.

Oppure, le vedevi scendere a Národní třída, anche ad Anděl o a Kampa, e la voce registrata del filobus era sempre uguale alla loro: sinuosa e impenetrabile, fascinosa e misterica, per un orecchio mediterraneo. Veniva voglia di scendere anche tu dal tram insieme a loro: “ehi, chi sei? Cosa fai? come vivi…?”, in quel naturale dongiovannismo italiano che poteva conquistare oppure spaventare, a queste latitudini… Ad aggravante, come sottofondo, non c’era neppure una canzone di Karel Gott, cantante allora (e ancora oggi) colpevolmente ignoto alla maggioranza dei pragofili italiani…

Eppure, senza scomodare Vitaliano Brancati, è facile riscoprire un’evidente verità che negli anni la più insipida globalizzazione non riesce a seppellire. Diciamolo sottovoce, ma diciamolo: dietro ogni italiano che frequenta la Repubblica Ceca c’è quasi sempre una donna.

Per esplorare questo filo magico, queste geometrie sotterranee (non solo feromoni, non solo occhi azzurri, non solo capelli biondi, non solo geni che si attraggono…) bisognerebbe essere psicologi, etnologi forse, e noi questo non siamo.

Possiamo solo, da Lída Baarová in poi, riconoscere che questo tributo alla bellezza boema come italiani lo abbiamo pagato, eccome se lo abbiamo pagato (e continuiamo a pagarlo). Con ritrosia, senza cadere nel mito del gallismo fin troppo facile, a metà, come solo sappiamo fare noi, fra innamoramento e semplici avventure, fra grande storia d’amore e scappatella complice: sono equilibri magici. Equilibrismi italiani, appunto.

Trovare, ritrovare i colpevoli (le colpevoli) di questa fruttuosa commistione sarebbe impresa titanica. Ma insomma, solo per dire: Eva Herzigová, Alena Šeredová, Ivanka Trump sono alcune delle corpose responsabili. Persino, risalendo nel tempo, un’imprevedibile Barbara Bouchet, le attrici del cinema cecoslovacco della “Nuova Onda” degli anni Sessanta, alcune modelle sbarcate a fare cinema o televisione. Fra le ultime della lista, per ora, molte delle protagoniste dello stesso film “Kolja”. Ricordate Blanka, la giovane violoncellista che va a lezione dal professor František?

Ancora oggi, nella Praga consumistica invasa dai backpackers, il pentimento di indomiti scapoli nazionali è costellato da “incontri fatali”. Incontri che han fatto cadere le più munite fortezze di single impenitenti e matrimoni in apparenza inscindibili.

Certo, quale attenuante, sempre per dire, c’era la poesia dei luoghi: il romanticismo di Mariánské Lázně, la Jelení Skok e il festival del cinema in un luglio maliardo a Karlovy Vary; un’arrampicata, fra il melanconico e il risorgimentale, per i più colti, verso la collina dello Spielberg a Brno prediletta anche da Piero Chiara.

I più accaniti, poi, incontravano la bellezza ceca (quella con la B maiuscola) in luoghi persino più improbabili: un convegno a Plzeň, una passeggiata con la guida a Kutná Hora oppure a Český Krumlov, una visita a una fabbrica di bicchieri a Jablonec, un’escursione al Český ráj.

Finiva, quasi sempre finiva, con una storia d’amore lunga più della Vltava, sinuosa più dell’Elba, storia però che fra cascate e ristagni correva sicura lungo il corso degli anni.

Forse, e perché no, nella nostra vicenda amorosa c’entra anche il provincialismo. Prima dell’89, per un italiano, un viaggio nell’allora Cecoslovacchia era comunque un’avventura in territorio inesplorato. Anche un’anodina (e magari neppure così ricca di curve) hostess di Csa o Čedok poteva far perdere la testa allo sprovveduto peninsulare e persino all’isolano.

Poi, lo abbiamo già detto, il portamento. Ancora, un certo savoir-faire praghese, di apparente distrazione (e di crudele seduzione) cui i cuori tricolori non erano per nulla abituati. Infine, sia detto davvero senza malizia, un concetto dell’erotismo (e del sesso) diametralmente lontano dal nostro. Poteva essere diversamente? Frequentare una parrocchia a Catania (o a Voghera, sempre per restare nel luogo comune) non poteva mai essere come vivere, laicamente vivere, a Ostrava o a Liberec. Cultura cattolica e reminiscenze hussite. Quel sottile individualismo e ribellismo ceco poteva comunque farsi beffe anche dei bacchettoni italiani… Indossando magliette senza reggiseno e portando con la massima nonchalance gonne corte. Insomma, eran mondi lontanissimi che, quando si incontravano, creavano le più vaporose emulsioni di feeling.

Tumultuose esplosioni ormonali, lo abbiamo detto, si sono incrociate per caso anche nella Riviera romagnola, persino lungo le coste dalmate. Ce n’è traccia, garantiscono testimoni, in ingenue vacanze sulla Šumava, e ancora, chissà dove.

Rovesciando il discorso (perché tutto, come si sa è circolare), ci si potrebbe interrogare sul fascino che l’italiano esercitava ed esercita sulle bellezze boeme e morave.

Qui il discorso diventerebbe ancora più complicato. Saltando i luoghi comuni sulla cucina e la buona musica, le banalità sul “romanticismo italiano” e sul cuore tenero, la Storia, Dante, Boccaccio, e il Rinascimento, si rischia di cadere in un vuoto drammatico.

Credete davvero in fondo al cuore, che ci dicano la verità?… Sarà per orgoglio, sarà per discrezione: ma una donna ceca innamorata potrebbe dirvi mai la verità sull’“italský půvab”?

di Ernesto Massimetti