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Tomáš Petříček, giunto a capo del Ministero degli Esteri ceco in maniera del tutto inaspettata, si rivela essere la sorpresa politica degli ultimi mesi

Nominato come soluzione di compromesso – da una parte per trovare finalmente l’ultimo pezzo del complicato puzzle del governo di coalizione guidato da Andrej Babiš, dall’altra per togliere di mezzo un personaggio inviso al presidente Miloš Zeman, vale a dire l’eurodeputato Miroslav Poche – il socialdemocratico Tomáš Petříček in questi pochi mesi ha già fatto capire di non essere disposto ad interpretare la parte della semplice comparsa.

Criticato per la sua poca esperienza, il nuovo capo della diplomazia sta dimostrando di saper tener testa al capo dello Stato, risultato non da poco per un 37enne sino a poco tempo fa quasi del tutto sconosciuto, che in passato aveva ricoperto solo per qualche mese la carica di viceministro al Lavoro e agli Affari sociali (2017), prima di quella di viceministro degli Esteri (da agosto a ottobre 2018).

Ex assistente dello stesso Poche al Parlamento europeo, laureato in Scienze sociali all’Università Carlo con varie specializzazioni internazionali, è stato scelto dai colleghi di partito come alternativa all’eurodeputato, reo quest’ultimo agli occhi di Zeman di essersi dimostrato disponibile ad accogliere il meccanismo di ripartizione delle quote sui migranti voluto da Bruxelles e mai accettato da Praga.

La nomina di Petříček è stata accettata dal Castello a patto che lo stesso Poche lasciasse il suo ruolo di segretario politico a Palazzo Černín e tornasse a fare il suo dovere all’Europarlamento.

Convinto europeista ed atlantista – “perché non esiste alcuna reale alternativa a Ue e Nato” – e con una spiccata antipatia per la politica del Cremlino (nei confronti del quale Petříček non ha lesinato critiche), il nuovo ministro degli Esteri ha dichiarato che i suoi obiettivi saranno prima di tutto “delineare il ruolo della Repubblica Ceca nella Ue e nella più ampia area transatlantica”, una posizione che dovrà essere sostanziata da “una politica estera continuativa e coerente”.

Per questo, all’inizio del mandato ha dichiarato di volersi consultare con il Premier e il Presidente sulle iniziative di politica estera in modo che il Paese parli con “una sola voce”. Un proposito che sinora non ha dato però i frutti sperati e sono tre in particolare gli episodi che hanno fatto incollerire il Castello.

Il primo ha come protagonista la Russia. Il neoministro ha per esempio fatto capire, senza troppe allusioni, che il personale e le auto diplomatiche dell’ambasciata russa a Praga sono troppo numerosi, proponendo un piano di complessiva riduzione. Il progetto mal cela, secondo gli osservatori, il timore che alcuni degli impiegati russi siano in realtà delle spie. L’iniziativa ha fatto, però, infuriare il Presidente, noto per le sue posizioni filorusse e che più volte si è espresso a favore della cooperazione con Mosca, criticando le sanzioni europee. “Non dobbiamo essere d’accordo con la Russia, ma dobbiamo parlarci. La cosa più stupida da fare è ignorarsi. Mi dispiace per coloro che godono nel crearsi dei nemici”, ha detto Zeman. Una posizione condivisa anche dai comunisti del Ksčm, i cui voti sono decisivi per l’attuale governo di minoranza Ano/Čssd e i quali non a caso hanno in più di una occasione fatto capire di non gradire la presenza di Petříček nell’esecutivo.

Ancora sul fronte russo, quest’ultimo ha più volte ribadito il suo sostegno a Kiev, sia in occasione della recente crisi del mare di Azov sia per quella che ha definito l’“inaccettabile annessione della Crimea”. Mosca rappresenta un “rischio reale”, ha rincarato in un’altra occasione, per la “diffusione di disinformazione e di varie minacce ibride”.

Secondo disaccordo in pochissime settimane quello su Israele e sul progetto, promosso da Zeman, di spostare in tempi rapidi l’ambasciata ceca da Tel Aviv a Gerusalemme. Il ministro degli Esteri ha espresso una posizione decisamente più cauta e attendista, ricordando che la mossa dovrà avvenire nell’osservanza del diritto internazionale e della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Terzo episodio, non meno rumoroso dei precedenti, è quello che riguarda la proposta del ministro di declassare quattro ambasciate ceche, tra cui anche quella di Roma. La sede della missione diplomatica in Italia, insieme a quelle ad Ankara, Kiev e Budapest, dovrebbe essere esclusa dalla lista di quelle di primaria importanza che fino ad oggi sono 17 in tutto il mondo. Il downgrade, secondo i ben informati, rientrerebbe in un contesto di riduzione della spesa pubblica, “un atto meramente amministrativo” dicono a Palazzo Černín. L’eco però è stata grande.

Il presidente Zeman ha dato dell’“incompetente” a Petříček, accusandolo di non aver condiviso il progetto né con il Castello né con il premier Babiš. “Il ministro si comporta in modo non professionale e dimostra di non conoscere l’importanza dell’Italia in Ue”, ha detto Zeman in diretta tv sul declassamento prospettato per la missione diplomatica nel Belpaese. Non solo, ma ricevendo a Praga in quei giorni Viktor Orbán, Zeman è arrivato a scusarsi con il primo ministro ungherese per le intenzioni del ministro riguardanti l’ambasciata ceca di Budapest.

Sul fronte italiano, la nube, però, sembra essersi dissolta abbastanza presto, tra le rassicurazioni del governo ceco “sugli ottimi rapporti” tra i due Paesi e la possibilità che questa misura di taglio alla spesa, che consentirebbe di pagare di meno alcune cariche delle missioni definite non “prioritarie”, non veda mai la luce. Palazzo Černín ha spiegato che la categoria delle ambasciate è una questione tecnica. La misura, però, dovrà superare diversi passaggi prima di diventare realtà e – spiegano ancora fonti vicine al dossier – è la cartina tornasole di una certa contrapposizione tra partiti e istituzioni sulla politica estera ceca.

Il ministro a metà dicembre è stato anche ospite d’onore al Gala natalizio della Camera di Commercio e dell’Industria Italo-Ceca, svoltosi allo Žofín di Praga. Petříček ha parlato agli imprenditori e alle personalità presenti sottolineando gli ottimi rapporti che esistono fra i due Paesi, a tutti i livelli, parole ribadite nei loro interventi anche dall’ambasciatore d’Italia in Repubblica Ceca Francesco Saverio Nisio e dall’ambasciatore della Repubblica Ceca in Italia, la signora Hana Hubáčková.

Dopo tante contrapposizioni arriva il tema su cui il ministro degli Esteri resta in sintonia con il capo dello Stato e con il premier Andrej Babiš: la questione migratoria. A differenza di Poche, che avrebbe potuto sostenere la strategia europea, il “nuovo arrivato” è del parere che la Repubblica Ceca invece di accogliere i migranti debba focalizzarsi sul sostegno dall’esterno. “Possiamo fare molto in Paesi come la Giordania, il Libano e la Turchia per aiutare i rifugiati e migliorare le loro condizioni di vita nei campi profughi – ha detto. – Il nostro obiettivo dovrebbe essere stabilizzare questi Paesi da cui fuggono in modo da permettergli di restare lì”. Inoltre, Praga non ha firmato il Global Compact delle Nazioni Unite sulle migrazioni, il patto internazionale che è stato siglato a Marrakesh dopo mesi di trattative, perché “manca di una chiara condanna della immigrazione irregolare”, ha detto il ministro degli Esteri mettendo la parola fine alla condivisione degli oneri su questo fronte con i partner internazionali e non segnando alcun cambio di passo in questo settore rispetto ai suoi predecessori.

di Daniela Mogavero