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La scorso maggio è scomparso il professore Venek Silhan, politico, economista, accademico, uno dei protagonisti della Primavera di Praga e successivamente del dissenso contro la normalizzazione imposta dal regime.
Fra i principali ideatori, nella seconda metà degli anni 60, di quel processo di riforme politiche ed economiche che diedero vita alla breve parentesi del “socialismo dal volto umano”, Silhan, appena i sovietici invasero Praga, nell’agosto del 1968, si rese promotore, con coraggio, dello storico XIV congresso del Partito comunista, svoltosi in forma straordinaria e clandestina nel sobborgo operaio di Praga Visocany. Fu proprio in quelle ore drammatiche, mentre i carri armati sovietici laceravano le strade di Praga, che Silhan venne eletto alla carica di segretario generale del partito, perché assumesse provvisoriamente i poteri di Alexandr Dubcek. Quest’ultimo era ormai a Mosca, trascinatovi contro la sua volontà per essere umiliato dal Cremlino.
Appena pochi mesi fa abbiamo avuto la possibilità di sentire direttamente da lui il racconto di quei fatti. Era precisamente il 16 gennaio, nel giorno del quarantesimo anniversario del sacrificio di Jan Palach. Quella mattina Silhan aveva accolto l’invito di unirsi a una delegazione di socialisti italiani giunti a Praga per commemorare l’eroe cecoslovacco, datosi fuoco sulla Piazza Venceslao per protestare contro l’aggressione sovietica. Alla guida della delegazione era l’eurodeputato Pia Locatelli, Presidente dell’Internazionale socialista delle donne.
Silhan arrivò sulla piazza Venceslao con sua moglie, Libuse Silhanova, ex portavoce del movimento Charta77 e attuale vicepresidente del Comitato ceco della Federazione Internazionale dei Diritti Umani di Helsinki.
Lì per lì non capimmo chi fosse quel signore anziano, che sulla piazza Venceslao, davanti al monumento dedicato a Jan Palach, assistette con le lacrime agli occhi a quegli attimi di raccoglimento e alla deposizione della corona.
32 Silhan in gruppo
Un po’ sorpreso, ma contento che ci fossero un paio di italiani in grado di capire la lingua ceca, accettò di venire a farci una visita in redazione, assieme a tutta la delegazione italiana. “Non capisco la vostra lingua, ma mi piace sentirla parlare. E sono sempre felice di essere insieme agli amici italiani”.
Prese così a parlarci di quel momento memorabile che scandì la sua vita. “Il Congresso mi nominò segretario generale il 22 agosto del 1969 e lo rimasi per una settimana. Confesso che avevamo paura, ma fu anche grazie alla nostra resistenza di quei giorni che Mosca fu costretta a far tornare in patria Dubcek e gli altri dirigenti sequestrati”.
Di tanto in tanto, lungo il vialetto che dal Museo Nazionale conduce alla nostra sede, si fermava per essere sicuro che avessimo capito bene. In modo particolare quando disse: “Noi gli ideali della Primavera non li abbiamo mai traditi”.
Non mancò neanche di ripeterci una sua tesi, riportata poche settimana prima, con molto risalto, dai giornali cechi: “Sono convinto che le riforme di Dubcek e la necessità di bloccare eventuali sviluppi controrivoluzionari furono per l’Unione Sovietica solamente il pretesto per invaderci. Breznev, in realtà, credeva imminente lo scoppio di una terza guerra mondiale e per questo motivo voleva una presenza stabile dei suoi soldati nel nostro territorio. Considerava la Cecoslovacchia una base di partenza ideale per invadere l’Europa occidentale”.
All’inizio della normalizzazione comunista, Silhan dovette lasciare la vita pubblica e l’insegnamento universitario, costretto a guadagnarsi da vivere lavorando come operaio. Fu fra i primi firmatari di Charta 77, il documento che criticava il regime cecoslovacco per il mancato rispetto dei diritti umani. Successivamente, al tempo della Rivoluzione di Velluto, fu tra i fondatori del Forum Civico, la coalizione delle forze democratiche anti regime. Totalmente riabilitato dopo la Rivoluzione, nel 1990 gli fu affidato l’incarico di rettore della Scuola superiore di economia di Praga.
Quel giorno, da noi in redazione, si incuriosì del nostro lavoro e si sorprese dell’esistenza a Praga di una rivista italiana. Rimanemmo intesi, al momento del congedo, di risentirci presto. “Un buon caffè italiano lo gradisco sempre volentieri e mi fa piacere parlare con voi”.
Il tempo passa così veloce, purtroppo, che di tanti propositi non rimane spesso che il rammarico.