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I giovani cechi e la politica: nascosti dietro gli smartphone tra indifferenza, fastidio e fiducia nei radiosi destini dell’economia e del mercato

“Erano le tre e mezza e sul marciapiede vicino a San Venceslao c’era seduto un gruppo di punk, un poliziotto giovane, della stessa età, stava sfogliando con mani tremanti la carta d’identità di uno di loro, su una panchina c’erano i loro strumenti nelle custodie ed erano sì dei punk, ma dagli occhi gli si irradiava il sorriso e la calma…”. Era il 1989 e il vecchio Hrabal si aggirava per le strade di Praga ammirando quei ragazzi, orgogliosi, che alzavano la testa e sfidavano il regime, mentre tentavano di riprendersi la libertà e il futuro che gli spettava. E così fecero, nel novembre di quell’anno. La Rivoluzione di Velluto è stata la vittoria della gioventù cecoslovacca, che strappò al Partito la possibilità di una vita “all’occidentale”. In poche parole, la democrazia. I giovani di vent’anni fa poi sono cresciuti, la società è cambiata, la politica s’è fatta libera e s’è imbastardita nuovamente.
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I ventenni studenti del ‘68 erano il motore della Primavera di Praga, così come i ventenni incoronarono Václav Havel presidente della Cecoslovacchia post-comunista. Vent’anni non sono pochi. Ma a vent’anni, oggi, il giovane ceco è il grande assente della discussione sulla res publica.

Per i sondaggi, due giovani su tre, sotto i 26 anni, si dicono privi di interesse per la politica. È la grande massa silenziosa, accondiscendente, perfetta consumatrice. Poche domande, poche proteste, laptop e smartphone, inglese corretto, conoscenze hi-tech e formazione internazionale. Le eccezioni ci sono, alcuni circoli universitari o di facoltosi imprenditori under 30, affiliati alle sezioni giovanili di qualche partito, gli onnipresenti gruppuscoli politicizzati nell’estrema destra o nella sinistra altermondialista, ma tutti insieme non scalfiscono l’immagine ormai rocciosa, del giovane ceco apatico, disinteressato, che ha di meglio da fare.

Questa immagine non descrive solo l’ambito politico, ma in genere la vita sociale di una generazione che perde interesse per la collettività. Nel periodo post-comunista, ad esempio, la religione è divenuta costantemente sempre meno importante per i giovani tra i 15 ed i 30 anni, secondo quanto riportato in una ricerca dei sociologi Petr Sak e Karolina Saková. In poche parole, la gioventù era più cattolica quando era sconveniente esserlo, rispetto ad ora che la Chiesa è la nuova benvenuta. Ma è sulla politica che la ricerca degli studiosi porta dati cristallini. Negli ultimi anni sempre meno cechi si identificano in una teoria riconducibile alle quattro grandi aree della filosofia politica: conservatori, liberali, socialisti e marxisti. Sempre molti di più, quelli che non trovano interesse alcuno.

Cercando di invertire la tendenza, l’associazione Člověk v tísni (People in need), Ong attiva su vari temi nell’ambito del sociale, organizza nelle scuole il voto studentesco, una sorta di “prova generale” per i ragazzi fra i 15 e 18 anni, con partiti e candidati delle elezioni nazionali. Nel 2012, per le regionali, 170 scuole avevano aperto i seggi e i giovani avevano espresso il proprio voto, con risultati non privi d’interesse, e un pizzico d’allarme. Il Partito Pirata vinse con il 20,6% (raggiunse poi il 2% alle elezioni vere e proprie), mentre un inquietante terzo posto e oltre 10% delle preferenze andarono al partito filonazista Dsss. L’affluenza, tuttavia, non raggiunse il 20%. Lo scorso dicembre gli studenti si cimentarono anche nelle presidenziali, confermando anche qui una certa distanza dai risultati “senior”: il vincitore fu l’eccentrico professore Vladimír Franz, tatuato dalla testa ai piedi, intellettuale di evidente charme fra gli adolescenti, che con il 40% distrusse gli altri, noiosi, candidati.

Alle presidenziali, intanto, le scuole partecipanti erano divenute 441: un segnale incoraggiante dal mondo dell’educazione, che ovviamente ha le sue responsabilità nell’apatia politica delle giovani generazioni.

Tornando alle elezioni a norma di legge, l’ultimo tentativo di raccolta di questo grande potenziale inespresso è venuto lo scorso inverno, sempre durante la tornata presidenziale, nella campagna elettorale di Karel Schwarzenberg, che sui giovani ha puntato e che in parte, soprattutto a Praga, ha avuto un notevole successo. Tutti ricordano i gadget dell’anziano aristocratico in veste punk, con la capigliatura a cresta degna dei Sex Pistols.

“Ma quella non era politica, era marketing!” dice Daniel, uno dei tanti giovani con cui abbiamo parlato nelle ultime settimane nelle strade della capitale, alla ricerca di questa storia da raccontare. Daniel è un expat spagnolo, come molti stranieri incuriosito e sorpreso dall’apatia dei coetanei locali.

“Le proposte politiche di Schwarzenberg non contavano, ma il brand andava fortissimo. Mi dicevano, “guarda com’è cool questo poster!” e io rimanevo basito”. Niente da ribattere. Il look giovanile ideato da David Černý per il vecchio principe sfondava, ma diceva poco.

Petr, pražák, studente all’accademia del cinema (enclave in cui di solito si va sul sicuro, per trovare quantomeno degli intellettuali radical chic), ci racconta di come nel 2012 alcuni colleghi organizzavano proteste contro le ventilate tasse universitarie, sostenute anche da Schwarzenberg, e l’anno successivo avevano tutti le spillette “Karel is not dead!”. Andava di moda. Quando poi all’inizio di questa estate lo stesso Schwarzenberg, ormai sconfitto alle presidenziali, ha lanciato il suo “forum”, un think tank per la nuova generazione, ha trovato ad ascoltarlo una cinquantina di persone: un flop.

A parziale difesa dei ventenni boemi e moravi, i sociologi avvertono che il declino dell’interesse verso la politica da parte delle nuove generazioni è comune in tutto il mondo occidentale, dove più, dove meno: va da sé che si tratta non solo di un enorme bacino elettorale inerte, ma anche di un preoccupante interrogativo sulle future politiche nazionali. “È la corruzione che ci dà fastidio, l’immagine che i politici danno di sé è deprimente”, parole di Honza, 26 anni, dottorando in informatica. “Non direi che siamo disinteressati, a tutti farebbe piacere un Paese gestito da persone oneste, servizi efficienti, città tranquille…”. Però quella è l’etica, l’educazione civile, mentre la politica raccoglie un sistema più ampio, delle teorie economiche, sociali, culturali. “Ma non funziona più così”, la discussione nella birreria all’aperto di Letná raccoglie nuove voci, “l’economia va da sola, lasciamola nelle mani di chi ha studiato”. Per Kristýna è molto semplice: il comunismo è il passato, il mercato è il futuro, gli economisti sapranno che fare. Sperando in un po’ di onestà… Il discorso sembra convincere, si torna alle birre, agli skateboard. C’è anche chi l’interesse lo ha coltivato, per poi rimanere disilluso da un mondo fumoso; è il caso di Tereza, morava, studente d’arte, che collabora con l’associazione Letná sobě! per la vivibilità di Praga 7, il suo quartiere. Da ultime le proteste per la costruzione del prossimo centro commerciale a due passi dal parco di Stromovka: “Lì ho avuto modo di vedere da vicino i nostri politici; venivano per parlare con noi, dicevano due frasi vuote e se ne andavano. È un mondo ipocrita”. Alle ultime elezioni era all’estero, studentessa Erasmus, ma ammette: “per me sarebbe stato difficile trovare un candidato da votare”.

Viene da chiedersi se i giovani cechi siano davvero disinteressati, o magari, come Tereza, solamente non trovano spazi. Parliamo con Ondra sul tram verso Žižkov, e rispostiamo l’ago della bilancia verso la prima ipotesi. Lui, ventisettenne originario di Opava, da studente di farmacia ha vissuto in Sardegna e in Spagna, ora è un ricercatore nei laboratori di Dejvice. “Come sono arrivato a Cagliari ero più che sorpreso, ogni giorno al bar dell’università ragazzi a parlare di questo o quel politico, senza contare le proteste, i dibattiti, i casini…”, e invece qui? “Coi miei amici parlavamo di free climbing!” dice ridendo. Mentre il tram sferraglia in salita, ci racconta un altro episodio. “Prendete il 1968, la Primavera. A scuola non si studia quasi per niente. Io, per saperne qualcosa, ho cominciato a collezionare libri sul tema. Mi faceva rabbia non sapere la storia del mio paese, non avere la possibilità di farmi una mia idea del nostro passato, persino la difficoltà degli adulti ad affrontare certi argomenti”. Il tram apre le porte e rimane l’interrogativo: quando i ventenni praghesi torneranno a scendere in piazza. “Quando le cose andranno male”, ci saluta il ricercatore di Opava, “per adesso stiamo bene così”.

di Giuseppe Picheca