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Astensionismo preoccupante alle Europee: ha votato soltanto il 18,2%

Vince Babiš, ma in vista della scelta dei commissari sarà dura far pesare il voto ceco

Di certo le elezioni Europee di fine maggio non hanno causato sconvolgimenti nella maggioranza che guida la Repubblica Ceca, ma senza dubbio hanno lasciato sul campo vincitori e sconfitti. Il risultato più evidente – la cartina tornasole di come Praga guarda a Bruxelles – è il dato sull’affluenza al voto: soltanto il 18,2% degli aventi diritto si sono recati alle urne in Repubblica Ceca. In Europa un astensionismo più elevato si è verificato solo in Slovacchia, dove ha votato il 13%. Una sonora bocciatura quindi per il sentimento filoeuropeo, un dato su cui riflettere a dieci anni dall’adesione all’Ue del Paese e una percentuale preoccupante anche per chi sull’Ue ha basato parte del proprio programma elettorale.

8 evrovolbyIn questo desolante panorama di affluenza alle urne, il vincitore – se proprio se ne vuole trovare uno – è di certo l’uomo nuovo della politica ceca, il milionario e ministro delle Finanze Andrej Babiš, che con il suo movimento Ano ha avuto il miglior risultato conquistando il 16,13% delle preferenze. Poco distante il partito d’opposizione Top 09, l’unico che in campagna elettorale ha parlato veramente di Europa, con il 15,95% e terzi i Socialdemocratici del premier Bohuslav Sobotka con il 14,17%. Tutti e tre i partiti hanno posizioni largamente filo-europee. Dato che evidenzia ancora di più i motivi del fortissimo astensionismo. Anche i sondaggi della vigilia avevano sollevato il problema dell’euroscetticismo o più che altro del disinteresse, legato anche al mancato accorpamento del voto con quello per le politiche, anticipate per la caduta del governo Nečas: secondo le principali indagini la maggior parte dei cechi non ritiene che partecipare al voto per scegliere i 21 europarlamentari possa portare qualche cambiamento vero nella loro vita o nella politica ceca. Del resto lo aveva annunciato anche il presidente ceco Miloš Zeman, subito dopo aver votato nel suo seggio: “I cechi non sono veramente interessati all’Ue e credono erroneamente che non li riguardi. Ma in realtà l’80% della legislazione nazionale arriva dall’Ue”.

E in questo clima, non poteva mancare chi ha fatto dell’euroscetticismo la sua bandiera per anni: l’ex presidente Václav Klaus. “Devo ammettere che per la prima volta dalla caduta del Comunismo, 25 anni fa, sono stato veramente indeciso se andare a votare o meno”, ha dichiarato l’ex capo di stato aggiungendo di non aver letto nessuno dei programmi dei partiti. Per Klaus la bassa affluenza alle urne è la prova che le persone hanno compreso che il tentativo di centralizzare e gestire artificialmente l’Europa da un solo luogo è sbagliato. Lo stesso ex presidente ha rivelato – ricordando il referendum del 2003, per l’ingresso in Ue della Repubblica Ceca – di aver votato in senso contrario. E ricordando la sua firma del Trattato di Lisbona, giunta solo a fine 2009, l’ex presidente ha osservato: “Alla fine ho dovuto firmare, perché ero rimasto senza più sostegno in Europa e in Patria. Non volevo fare la parte del Don Chisciotte”.

Secondo alcuni politologi, proprio atteggiamenti del genere – come ritenere che l’Europa sia ridondante e poco utile per gli interessi dei cittadini – sono la causa della scarsa partecipazione e pertanto da contrastare.

“In Repubblica Ceca, dato l’approccio verso Bruxelles, era prevedibile che le Europee destassero poco interesse”, ha spiegato un esperto di politica Bohumil Doležal. Più negativo il giudizio di Vladimíra Dvořáková secondo la quale parte della colpa sarebbe da addossare ai media che non riescono a far comprendere la complessità di interessi negoziati tra Praga e gli altri membri Ue: “Non si tratta di una lotta, una battaglia semplice e che attira l’attenzione”, ha aggiunto la politologa sottolineando che i sondaggi mostrano come l’opinione pubblica ceca abbia un atteggiamento negativo nei confronti dell’Ue senza capire che al di fuori dell’Unione la Repubblica Ceca sarebbe ancora più vulnerabile. Inoltre con un’affluenza così bassa non si può pensare di contare di più a Bruxelles soprattutto in vista della scelta dei commissari.

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(Un gruppo di nuovi europarlamentari cechi con il premier Bohuslav Sobotka – Foto: vlada.cz)

“Abbiamo dimenticato una cosa fondamentale” riguardo all’Unione europea, che “non ci sono più i controlli alle frontiere e che non c’è alcuna alternativa per Praga all’Ue”. Parole di Babiš, vincitore con il suo movimento e che ha voluto rimarcare le sue posizioni filo Ue proprio all’indomani del voto e dello sconcertante astensionismo. E se Babiš parla dall’alto dei suoi voti e del “successo” del suo partito, c’è da notare un altro elemento portato alla luce da queste Europee: la crescita della formazione euroscettica Svobodní, il partito dei Cittadini liberi che con il 5,2% è riuscito per un soffio a ottenere un seggio nell’Europarlamento. La formazione, che farà parte dello stesso gruppo del Movimento 5 stelle e dell’Ukip di Farage a Strasburgo, ha raggiunto l’obiettivo probabilmente sulla scia del successo ottenuto dai movimenti euroscettici in altri paesi europei.

A ben vedere in Repubblica Ceca – dei 21 europarlamentari eletti, solo sei sono apertamente euroscettici, comprendendo fra di essi anche i due eletti dall’Ods.

È il segnale che in Repubblica Ceca la politica dovrà combattere più l’enorme apatia che l’antieuropeismo che ha invece lasciato il segno nella vecchia Europa dopo la crisi.

di Daniela Mogavero