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Nonostante i prezzi sul mercato non favorevoli e una previsione di costi incerta la Repubblica Ceca vuole costruire due nuovi reattori nucleari. Anche a costo di vendere uno dei gioielli di famiglia, il gigante energetico Čez

I cechi non rinunciano alla loro passione per il nucleare. A differenza della Germania, dove la catastrofe di Fukushima ha portato alla decisione di chiudere anticipatamente le centrali nucleari e all’adozione di EnergieWende, un mix di carbone, gas e rinnovabili da parte di quel camaleonte politico, sempre pronto ad assecondare gli umori degli elettori, rispondente al nome di Angela Merkel, il sessanta per cento dei cechi continua ad appoggiare l’energia atomica. Il sostegno è ancora più forte tra i politici e gli esperti energetici locali, che vedono nell’atomo «l’unica fonte di energia sicura, a basso costo e senza emissioni». Una visione recepita dalla Concezione energetica dello Stato del 2015, che prefigura un mix energetico a maggioranza nucleare e la costruzione di due nuovi reattori all’interno delle due centrali di Dukovany e di Temelín.

L’insostenibilità del nucleare

Negli ultimi anni i sostenitori dell’atomo si trovano ad affrontare un avversario per certi versi molto più insidioso degli attivisti per l’ambiente e dei movimenti contro il nucleare. Da ormai dieci anni i prezzi dell’energia sono troppo bassi per rendere remunerativo un investimento nel nucleare, che ha costi di produzione bassi ma investimenti iniziali enormi. È stata proprio la questione della redditività dell’investimento a far naufragare la gara d’appalto per la costruzione di due nuovi reattori, indetta nel 2013 dalla società České Energetické Závody (Stabilimenti energetici cechi), più nota sotto l’acronimo Čez. «Il livello dei prezzi mette in pericolo qualsiasi investimento che si dovesse basare solo sui parametri di mercato» si era lamentato nel 2014 il Ceo della più grande compagnia energetica ceca (e la seconda azienda del paese) Daniel Beneš. Da allora i prezzi non sono risaliti e non dovrebbero risalire neppure in futuro, secondo gli analisti, a un livello tale da rendere economicamente sostenibile il progetto.

La mancata sostenibilità di mercato della costruzione di nuovi reattori pone grosse difficolta a Čez, che è una compagnia a partecipazione pubblica maggioritaria e quotata in Borsa. Gli azionisti di minoranza sono fortemente contrari che l’azienda si impegni in un progetto, che per almeno una decina di anni prosciugherebbe i profitti, per altro sempre più magri. Nel 2009 la società aveva registrato un utile netto di 52 miliardi di corone, che nel 2016 sono scesi a poco più di 19 miliardi di corone. In queste condizioni l’azienda non sarebbe capace di finanziare da sola l’investimento stimato in almeno 200 miliardi di corone. Oltre a ciò gli azionisti si oppongono alla possibilità che la compagnia finanzi da sola il progetto nucleare, in quanto i costi e i tempi di realizzazioni di nuovi reattori in Europa sono praticamente impazziti. A fare da spauracchio è il caso della centrale slovacca di Mochovce, il cui completamento è in forte ritardo. Nel caso slovacco sono stati accusati di incompetenza i dirigenti e i tecnici dell’Enel, azionista di maggioranza della compagnia Slovenské Elektrárne, ma ritardi e sforamenti di budget si sono verificati anche su cantieri dove non c’è neppure un’ombra di ingegneri italiani denuclearizzati, come la centrale di Olkiluoto in Finlandia o la Hinkley Point C nel Regno Unito. E infine anche i progetti cechi non sono stati senza problemi. La costruzione, conclusa nel 2000, dei due reattori di Temelín, finanziata da Čez con prestiti bancari, ha registrato rincari e ritardi anche a causa della tensione con l’Austria, fortemente contraria alla nuova centrale.

Cosa fare degli azionisti di minoranza?

Visti questi precedenti, anche i politici più favorevoli all’atomo escludono che lo stato possa finanziare direttamente, tramite un’azienda speciale creata ad hoc, la costruzione dei nuovi reattori, che dovrebbero sorgere presso la già esistente centrale di Dukovany. Da settembre 2017, in seguito a una notizia della Reuters, si parla sempre più apertamente di un possibile scorporo dell’attuale azienda in due. Ne scaturirebbe una newco che continuerebbe a essere quotata in borsa e che avrebbe nel suo portafogli gli asset più pregiati agli occhi degli investitori, quali le energie rinnovabili e la distribuzione, mentre all’azienda originaria rimarrebbero le fonti sporche e altre attività meno appetibili. Dal punto di vista societario, la newco verrebbe gradualmente privatizzata e la partecipazione statale scenderebbe dal 70 al 25 per cento, mentre l’azienda madre rimarrebbe interamente nelle mani dello stato e verrebbe incaricata di condurre il progetto di espansione nel settore nucleare.

Il management della Čez è decisamente a favore dello scorporo, che, una volta compiuto, costituirebbe la più grande transazione finanziaria del decennio. «La variante con la migliore valutazione è quella della trasformazione della società» scrive la Čez in una presentazione di inizio febbraio ai membri della Commissione Economia della Camera dei deputati. Nella presentazione l’azienda promette un aumento di valore della società fino a 65 miliardi di corone grazie allo scorporo.

L’andamento troppo orientato verso lo scorporo non sembra però piacere al premier Andrej Babiš, che non nasconde la sua poca stima verso i vertici del colosso energetico. Pochi giorni dopo la presentazione ai deputati il premier ha annunciato la formazione di una commissione di esperti, che valuteranno l’ipotesi del management. A prendere la decisione finale sarà il governo.

Restano per ora alla finestra gli azionisti di minoranza, che hanno molto da guadagnare dallo scorporo. Se la newco arrivasse a valere sul mercato più dell’odierna compagnia, gli azionisti realizzerebbero un premio, a cui si aggiungerebbero le risorse versate dallo stato per l’acquisto delle quote nella vecchia compagnia. Non a caso si è tuffato nell’affare il consulente della banca d’affari J&T, Michal Šnobr, che ha aumentato la propria quota oltre l’un per cento del capitale, diventando un investitore qualificato. Šnobr, a capo di altri azionisti di minoranza, lamenta la scarsa trasparenza del management. «La nostra principale motivazione (a diventare azionisti qualificati, ndr) è lo scorporo, vogliamo più informazioni, che evidentemente gli altri azionisti hanno e quelli di minoranza no» ha detto Šnobr. Il principale obbiettivo è quello di convocare un’assemblea straordinaria e mettere sotto pressione i vertici di Čez, che secondo gli investitori privati sono troppo accomodanti verso l’azionista di maggioranza. Gli azionisti di minoranza sanno di essere la principale causa dell’operazione finanziaria. L’obbiettivo non è solo, o in primo luogo, il finanziamento dei nuovi reattori ma quello di far uscire dalla società gli investitori privati con un dispendio finanziario minore rispetto al riacquisto delle loro quote ai valori attuali.

La fine della Čezká Republika?

Lo scorporo della seconda più grande azienda ceca non significherebbe solo una privatizzazione da record ma anche un importante passaggio politico. Dai primi anni Duemila la compagnia ha avuto un’influenza straordinaria sulla classe politica, che andava (e va) al di là del settore dell’energia. Gli attivisti ambientali, da sempre critici con Čez, hanno perfino ribattezzato, con un calembour, il nome del paese in Čezká Republika per sottolineare come fosse l’azienda a controllare il governo piuttosto che il contrario.

Con lo scorporo la compagnia perderebbe il suo status di «campione nazionale» e sarebbe uno dei tanti player importanti nel settore energetico ceco. Con il progressivo indebolimento dei partiti tradizionali è calata anche l’influenza del partito Čez. La definitiva fine di un centro di potere alternativo sarebbe in questo senso il principale bonus, che ricaverebbe Andrej Babiš da questa operazione finanziaria, che sicuramente farà parlare di sé nei prossimi mesi.

di Jakub Horňáček