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Nato in Friuli da padre di origini ceca, in una decina d’anni visitò molte terre sconosciute in Europa

Nella seconda metà del Duecento, nella cittadina friulana da cui prese il nome, nacque Odorico da Pordenone, un religioso dalle origini ceche poco noto nella terra dei suoi antenati ma che nel Medioevo viaggiò in tutto il mondo allora conosciuto. A sette secoli dai suoi viaggi in Oriente, oggi una sua reliquia è stata traslata nella capitale ceca.

Odorico visse a cavallo tra XIII e XIV secolo ma l’anno di nascita non è certo; c’è chi sostiene sia venuto al mondo nel 1265, chi negli anni ‘70 e chi attorno al 1280, ipotesi rafforzata da un’analisi dei resti datata 2002. Talvolta è indicato come Odorico Mattiuzzi ma è dubbia l’appartenenza a questa famiglia. La madre proveniva da Udine o dintorni mentre il padre era un soldato di ventura della guarnigione militare boema che re Přemysl Ottocaro II lasciò a occupare il Friuli dal 1270 al 1276. Si ritiene peraltro sia stato proprio Ottocaro II a dare il primo stemma a Pordenone, analogo a quelli di altre città poste sotto il suo dominio.

Finiti gli studi Odorico si preparò al percorso missionario conducendo una vita da asceta, di digiuno e meditazione per poi essere ordinato sacerdote nell’ordine dei Frati Minori.

Se il culto del beato Odorico si celebra fin dal 1755, solo nel 2002 è stato avviato il processo di canonizzazione. Per sostenere la causa, la città di Pordenone ha organizzato un viaggio nell’Europa centrale, a Praga e Vienna. La prima tappa è stata Praga dove lo scorso 11 settembre, in una chiesa della Vergine Maria della Neve gremita, si è svolta la messa solenne in cui i francescani italiani hanno donato ai confratelli cechi il reliquiario dove è conservato un pezzo di pelle del beato Odorico, ora riposto nella cappella laterale sinistra di Sant’Antonio.

A proporre che le reliquie del beato fossero traslate in Repubblica Ceca è stata la scrittrice Alena Ježková. “Mi sono imbattuta nella figura di Odorico in uno dei miei viaggi in Italia e ho voluto approfondire il suo destino” per diffonderne il retaggio anche nella terra dei suoi predecessori. A interessarsi alla sua figura anche il professor Franco Cardini, saggista e storico specializzato nello studio del Medioevo che quello stesso giorno ha tenuto una conferenza a Praga. A introdurre l’incontro il dottor Vladimír Liščák del Dipartimento di studi orientali dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, che il prossimo anno pubblicherà un libro sul missionario e sulle sue testimonianze sulla Cina mongola.

Durante la celebrazione è stato anche ricordato come a otto secoli dal viaggio del confratello in Cina e Tibet, i cristiani siano ancora perseguitati. Al di là dell’aspetto religioso, la questione della libertà in Tibet è molto sentita in Repubblica Ceca, Paese che può contare una decina di visite del Dalai Lama. “Lo si deve senza dubbio al retaggio di Václav Havel” commenta il tibetologo Martin Slobodník, professore all’università Komenský di Bratislava, mentre il presidente Miloš Zeman “ascolta e riproduce le argomentazioni della propaganda cinese”. Il 10 marzo 1957 il Tibet si ribellò all’oppressore e ogni anno in quella data molti stati al mondo, Repubblica Ceca inclusa, espongono la bandiera tibetana. Nel 2016 i media hanno dedicato grande attenzione al caso della polizia che fece abbassare il vessillo tibetano per non offendere il Presidente cinese in visita a Praga, azione poi condannata come contraria alla legge.

Il Tibet fu una delle terre toccate da Odorico nel percorso che lo portò da Venezia alla Cina. Partì nel 1318 per un cammino che durò oltre una decina d’anni e che fece con la veste dell’Ordine, cingolo ai fianchi e sandali di pelle. La prima sosta documentata fu Trebisonda. Passò accanto al Monte Ararat, attraversò il Golfo Persico, approdò in India e visitò la tomba dell’apostolo Tommaso a Mylapore.

Per ogni luogo visitato il francescano – paragonabile al celebre e a lui contemporaneo Marco Polo – lasciava brevi note sulle particolarità culturali, religiose, sociali o commerciali. In Cina fu ad esempio colpito dal sistema postale, dai soldi in carta o dalla pesca con l’ausilio dei cormorani. Indicava i tempi di percorrenza medi tra le varie località ma mancano dati cronologici precisi sulla successione delle tappe e il racconto si fa più confuso una volta in India. Da Ceylon passò per le isole Andamane, Sumatra, le Filippine; a Giava e nel Borneo vide e descrisse i Negritos, popolazione nana. Nel 1325 giunse in Cina, all’epoca parte del regno di Mongolia. Si fermò a Pechino, sede imperiale del Gran Khan, “nella qual corte io, fra Odorico, fui tre anni continui”. Una terra vastissima, dipinta in questi termini: “la grandezza del paese che domina questo gran principe è tanta che non bastano otto mesi ad andar da un capo all’altro per traverso”. Come i confratelli aveva un posto riservato ai banchetti di corte per impartire la benedizione e non manca di rilevare la sontuosità dei ricevimenti che avrebbero potuto sfamare oltre un migliaio di persone.

Dalla Cina intraprese il viaggio di ritorno, passando attraverso il Tibet e fu il primo europeo a entrare nella capitale Lhasa. Fino alla fine del Settecento i suoi scritti furono la principale fonte d’informazioni sul Tibet. Tra le cose che lo colpirono i rituali funebri come l’usanza di creare una coppa dal cranio del capo famiglia defunto perché i suoi cari bevessero in suo ricordo o i problemi con la sepoltura, con le salme che venivano lasciate in pasto agli uccelli. Alle Isole Andamane fu scioccato dal cannibalismo, aspetto rilevato anche da Marco Polo ma mai confermato.

I suoi appunti andarono a costituire il libro di viaggio Popis východních krajů v sepsání bratra Oldřicha, Čecha, z Pordenone (Descrizione delle terre orientali nella stesura del fratello Odorico, il Boemo, da Pordenone) che fu più volte trascritto e infine pubblicato. Tradotto fin da subito in varie lingue, si dovette aspettare il 1962 per la prima edizione integrale in ceco. Arrivò sei secoli dopo perché “come molte figure storiche, ebbe sfortuna” spiega il francescano ceco Petr Regalát Beneš. Nella seconda metà del XVI secolo il farmacista di Liegi Jean Bourgogne approfittò dei suoi scritti per creare un libro di viaggi dell’immaginario cavaliere sir John Jan Mandeville “e divenne celebre senza essere mai stato in quelle terre”. Padre Beneš rivela anche che i francescani cechi hanno iniziato a interessarsi a Odorico grazie a Josef Vaniš, cameraman ceco che nei primi anni ‘50 fece delle fotografie in Tibet, esposte nella mostra “Il racconto del Tibet” ospitata nel marzo dello scorso anno al Museo Náprstkovo di Praga. Vaniš, che aveva letto gli scritti di Odorico, ha trovato un riscontro tra lettura e luoghi visti con i propri occhi.

Non credettero invece ai racconti del missionario confratelli e parenti che nemmeno lo riconobbero e lo accolsero con sospetto quando, nel maggio del 1330, tornò al convento di Pordenone, abbronzato e dimagrito, invecchiato e malaticcio. Odorico voleva andare a riferire i suoi viaggi a papa Giovanni XXII ad Avignone ma durante il tragitto si ammalò. Giunse a Padova dove padre Guglielmo de Solagna lo ascoltò e trascrisse le sue avventure nella Relatio. Riuscì a tornare alla sua terra natale e morì a Udine il 14 gennaio 1331 per complicanze cardiache causate da insufficienze respiratorie, secondo l’autopsia praticata sui resti mummificati della salma.

La gente del luogo lo considerava santo e si dice che il primo miracolo avvenne già nella chiesa dove furono esposti i resti. La sorella del Patriarca di Aquileia, signora Della Torre, recuperò l’uso della mano paralizzata quando toccò il defunto. Un altro monaco rinvenne a sei giorni dalla morte quando la sorella rivolse le sue preghiere a Odorico. Gli furono attribuiti 70 miracoli ma quelli riconosciuti sono 26. Furono tutti trascritti e il 2 luglio 1755 Odorico fu beatificato da papa Benedetto XIV.

Se in Italia è molto noto, in Repubblica Ceca se ne sa poco e niente. “Per la società ceca potrebbe essere concepito come patrono dei viaggiatori cechi e scopritore di regioni sconosciute” propone padre Beneš. E ai suoi viaggi si è ispirato l’architetto ticinese Mario Botta per il progetto della chiesa del Beato Odorico da Pordenone, edificata nella cittadina friulana nei primi anni novanta, concepita come un cono con un’apertura nel soffitto, una tenda che s’innalza nelle regioni sconosciute dell’Estremo Oriente.

di Sabrina Salomoni