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La Repubblica Ceca migliora di ben 16 gradini nella classifica sulla corruzione di Transparency International, ma resta ancora molto da fare. Il Consiglio d’Europa quest’anno ha stabilito che misure adottate dalle autorità ceche per lottare contro la corruzione non sono ancora sufficienti

La Repubblica Ceca è il paradiso degli investitori. Sebbene alcuni dei principali partner stranieri, soprattutto tedeschi, siano soliti storcere apertamente il naso per la diffusa corruzione e le procedure di aggiudicazione degli appalti non proprio lineari, la situazione negli ultimi tempi sembrerebbe migliorata. A indicarlo è l’ultima classifica mondiale sull’indice della corruzione percepita, redatta da Transparency International, che evidenzia un netto miglioramento del Paese. Praga, infatti, si piazza quest’anno al 37esimo posto, ben 16 posizioni in più rispetto allo scorso anno, quando era nella stessa fascia di Paesi come le Seychelles, la Giordania e la Namibia, in una classifica che vede l’Italia al 61° posto (al 69° nel 2014).

“Quello della Repubblica Ceca è uno dei miglioramenti più marcati in campo internazionale, frutto sicuramente del lavoro realizzato negli ultimi anni”, secondo Radim Bureš, dirigente della filiale praghese di Transparency International. A suo parere i primi veri cambiamenti in senso positivo sono paradossalmente iniziati con le riforme legislative avviate dall’ex governo Nečas, proprio quell’esecutivo che all’inizio dell’estate del 2013 finì con l’essere travolto da una clamorosa vicenda di corruzione.

Anche il governo attuale ha posto la moralità pubblica al primo posto del suo programma. Le intenzioni sono buone e qualche passo è stato compiuto, ha fatto notare Bureš, senza mancare però di sottolineare la lentezza del Parlamento ceco nell’approvare le misure legislative che servono. Lo stesso rappresentante di Amnesty ha anche indicato l’anomala posizione del vicepremier e ministro delle Finanze Andrej Babiš, “il cui conflitto di interessi è a tutti evidente, anche agli elettori che gli hanno dato il voto”.

Insomma, troppo presto per cantare vittoria. D’altronde, se si guarda la classifica di Transparency a livello europeo e non mondiale, la Repubblica Ceca si colloca ancora al 22esimo posto (tre in più dell’anno scorso), nella fascia quindi degli stati in assoluto più problematici. E in realtà il miglioramento degli ultimi 12 mesi si appanna al cospetto del ranking dei Paesi occidentali dove la media è di 67 punti (rispetto ai 100 disponibili), contro i 56 della Repubblica Ceca.

Praga in un anno ha sì fatto un importante passo avanti, ma a ben vedere non così imponente da far dimenticare gli anni dei grandi scandali, come il tunnel Blanka (che ha subito ritardi e aumenti di costi senza precedenti), le paludi dei fondi europei e i misteri ancora irrisolti delle grandi privatizzazioni di stato, tutte vicende che così lontane in effetti non sono. “La lotta senza compromessi contro qualsiasi forma di corruzione e i gravi crimini a sfondo economico sono punti cardine della nostra politica di governo” ha detto più volte il primo ministro Bohuslav Sobotka, il quale comunque, a proposito dell’ultima valutazione di Amnesty, ha chiesto di aspettare prima di dare credito soltanto ai numeri, conscio evidentemente dei passi ancora da compiere.

Come detto, anche il governo Nečas aveva posto tra i suoi obiettivi la lotta alla corruzione, ma la sua credibilità finì con lo sgretolarsi drammaticamente nel giugno del 2013, quando venne arrestata Jana Nagyová, capo di gabinetto del premier e contemporaneamente sua amante. Insieme alla Nagyová, oggi signora Nečasová, in quelle tesissime giornate del 2013, vennero arrestati anche altri personaggi di spicco della politica e dell’economia ceca. Ma soprattutto l’indagine era incentrata sui cosiddetti “padrini di Praga”, Roman Janoušek e Ivo Rittig, businessman e lobbisti, sospettati di essere legati a doppio filo con il malaffare che ha caratterizzato per anni la gestione della cosa pubblica nella capitale ceca. Uno scandalo senza precedenti e una ondata di arresti che fecero tremare i polsi e le coscienze, non solo di coloro che erano rimasti coinvolti, ma anche della società civile.

Eppure, già sotto Nečas, qualcosa si era mosso. Risale per esempio al periodo del suo governo, la nomina a capo della Procura di Praga di Lenka Bradáčová, un magistrato tutto d’un pezzo, subito ribattezzata “il commissario Cattani in gonnella”. La Bradáčová in realtà è sempre stata una che non accetta compromessi e che non guarda in faccia a nessuno, come dimostrò proprio nel 2012 quando dispose l’arresto di David Rath, governatore della Boemia centrale, ex ministro della Sanità e deputato Socialdemocratico (Čssd), il classico intoccabile, colto in flagrante, con una bustarella di 7,5 milioni di corone, circa 300 mila euro, appena intascata per una truffa alla Unione Europea. La Bradáčová – “lady testosterone”, come la chiamano i suoi detrattori – in questi anni sembra avere dato l’iniezione di energia giusta, o quantomeno aver ingranato la marcia per continuare la scalata contro la corruzione.

Un altro personaggio simbolo a Praga della lotta contro il malaffare può essere considerato Ondřej Závodský, giurista, dal 2014 viceministro delle Finanze, responsabile per la gestione del patrimonio statale. La sua è una storia del tutto particolare. Non vedente dalla nascita, Závodský nel 2011 ha ricevuto un premio dalla fondazione Nadační fond proti korupci per il suo impegno contro la corruzione. Da semplice impiegato presso il ministero dell’Interno, aveva deciso infatti di denunciare una serie di vizi, chiari segnali di corruttela, nella concessione degli appalti da parte della amministrazione pubblica. Una battaglia portata avanti con molte difficoltà e tentativi di mobbing. Per il suo lavoro ricevette telefonate di minacce, lettere anonime. Ma non si arrese e, dopo essere stato degradato, la sua storia è andata a finire sui giornali, finendo con l’attirare l’attenzione della fondazione del giovane tycoon Karel Janeček, altro protagonista della lotta al malaffare. Il suo Nadační fond proti korupci in questi anni ha sostenuto varie campagne di moralizzazione ma anche attività di inchiesta raccogliendo prove e documenti su gare pubbliche truccate. Ancora molto rimane comunque da fare, come per esempio un registro per le attività di lobbying che farebbe emergere molto del grigio sottostante a questo settore, come ha sottolineato la stessa Transparency. Sono d’altronde le stesse aziende ceche che spesso cercano più trasparenza. Secondo un sondaggio realizzato da Deloitte fra un centinaio di società, le imprese cominciano a essere molto più attente alla normativa anti corruzione: se due anni fa solo un quinto di esse intendeva introdurre un codice etico, tale quota nel 2015 è passata a quasi il 75%. Risultato legato anche al fatto che ormai da quattro anni è in vigore la responsabilità penale delle persone giuridiche.

Fra le altre novità legislative di cui si attende l’approvazione c’è quella sul conflitto di interessi e sulla trasparenza del finanziamento dei partiti politici, così come una maggiore tutela della figura del whistleblower, vale a dire quell’individuo che denuncia – per il bene pubblico – comportamenti illeciti che avvengono nella organizzazione in cui lavora (sia pubblica che privata).

A rammentarci che in Repubblica Ceca, nonostante i recenti progressi, non è tutto oro ciò che luccica è anche il giudizio espresso quest’anno dal Greco, l’organismo di monitoraggio anti-corruzione del Consiglio d’Europa, secondo il quale le misure adottate dalle autorità ceche per lottare contro la corruzione e assicurare la trasparenza del finanziamento dei partiti sono “globalmente non sufficienti”.

di Daniela Mogavero