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Il mito di Havel sembra lontano e il premier Sobotka non viene ricevuto da Obama. Le dichiarazioni pro-Russia di Zeman infastidiscono i fedeli alleati Usa

Le relazioni tra Repubblica Ceca e Stati Uniti sono entrate in un’epoca incerta, hanno abbandonato la strada dell’idillio legato anche alla figura iconica di Václav Havel per avventurarsi in un solco più complesso e tortuoso che ha dato i suoi primi frutti, difficili da digerire, in occasione della visita del primo ministro ceco Bohuslav Sobotka a Washington.

Il premier è stato il primo capo di governo ceco a non essere ricevuto dal presidente Usa in carica, in questo caso Barack Obama, un segnale più che concreto del raffreddamento dei rapporti. Un gesto che trova le sue cause in diversi avvenimenti e dichiarazioni dei mesi scorsi: dalle posizioni pro-Russia del presidente ceco Miloš Zeman sulla questione ucraina, all’affievolita difesa dei diritti umani di Praga, fino alla richiesta degli Stati Uniti di spendere di più nel settore della difesa.

Lo stesso Joe Biden, che ha incontrato Sobotka al posto di Obama, ha chiesto ancora una volta che la voce di spesa per la difesa ceca venga incrementata, senza ricevere una risposta affermativa. Sul colloquio tra i due ha pesato di certo anche la dichiarazione del premier ceco dello scorso giugno quando disse che Praga non avrebbe mai chiesto né avuto bisogno della presenza dell’esercito Usa sul suo territorio.

A Washington, inoltre, non sono piaciute le dichiarazioni del nuovo inquilino del Hradčany sulla crisi ucraina. Zeman, in russo fluente, ha criticato le sanzioni occidentali contro la Russia, sottolineando che in Ucraina è in atto una guerra civile: “In tale situazione qualsiasi sostegno economico a Kiev significa esclusivamente buttare i soldi. Gli ucraini devono prima risolvere i loro problemi interni”. Il nuovo ambasciatore americano a Praga, Andrew Schapiro, su questo tema è stato abbastanza chiaro sin dal suo insediamento: “Certe cose che dicono i leader cechi sulla crisi ucraina creano negli Stati Uniti un senso di confusione e di preoccupazione. Ascoltando i vari esponenti della amministrazione ceca non riusciamo a capire quale sia la reale posizione di Praga” sulla politica internazionale.

C’è quindi da chiedersi se e quanto la visita di Sobotka a Washington avesse anche l’intenzione di ristabilire il giusto grado di cordialità tra i due Paesi e correggere il tiro di alcune dichiarazioni. I malumori statunitensi, oltre alla sfera difesa-esteri, si rivolgono anche al settore energetico, economico e dei diritti umani: in particolare gli Usa non sono soddisfatti della decisione di Praga di interrompere la gara d’appalto per l’ampliamento della centrale nucleare di Temelín, nella quale la Westinghouse era uno dei contendenti.

Al centro delle critiche americane, inoltre, uno dei cavalli di battaglia del tanto caro Havel. Proprio quell’Havel a cui è stato appena intitolato un busto a Capitol Hill e di cui invece a Praga si sta smantellando il programma creato per sostenere le democrazie in transizione post-dittatura. L’ex presidente ceco, leader della Rivoluzione di Velluto di cui cade il 25esimo anniversario, è diventato la quarta figura di spicco internazionale a ricevere questo onore dopo Winston Churchill, Lajos Kossuth e Raoul Wallenberg. Un simulacro degli stretti rapporti tra i due Paesi che diventa ancora più imponente e difficile da ignorare in questo momento.

Il rapporto che esisteva tra Praga e gli Stati Uniti ai tempi di Havel sembra logoro e ancora più lontane sembrano le parole dell’intellettuale e politico ceco quando tre mesi dopo la Rivoluzione aveva dichiarato davanti al Congresso Usa il debito di riconoscenza ceco nei confronti di Washington per aver difeso la democrazia in Europa in tre guerre, due mondiali e una fredda. Havel aveva più volte condannato la politica che pone l’interesse economico al di sopra dei diritti umani, come – aveva detto – accade in Russia e Cina. E proprio dalla Cina l’attuale presidente Zeman ha, invece, voluto sottolineare di essere in visita “non a dare lezioni di diritti umani, ma per imparare come si stabilizza una società e come si riesce ad aumentare lo sviluppo economico”.

E oltre alle dichiarazioni apertamente pro-Mosca di Zeman, ad irritare gli Stati Uniti ci sono anche altri esempi come la recente visita ufficiale di un rappresentante del parlamento ceco, il vice presidente della Camera Vojtěch Filip (capo dei comunisti del Ksčm) a Mosca, autorizzata dal presidente della Camera bassa, il socialdemocratico Jan Hamáček. Inoltre i sentimenti filo-Russia si fanno strada in Repubblica Ceca e questo non è visto di buon occhio dagli Usa: l’organizzazione locale del partito comunista di Frýdek-Místek, una delle più numerose e attive della Repubblica Ceca, ha aderito a una petizione anti Stati Uniti degli euroscettici di estrema destra di “Ne Brusel – Národní demokracie”. L’accusa rivolta agli Usa è di ingerenza nella politica ceca, come dimostrerebbero le manifestazioni di protesta del 17 novembre e i presunti tentativi di Washington di reprimere in Repubblica Ceca i sentimenti filo russi. In occasione di una delle celebrazioni della Rivoluzione di Velluto Zeman era stato oggetto di un lancio di uova da alcuni manifestanti con slogan “Non vogliamo diventare una colonia russa”. Un Paese diviso tra ideali di un tempo e occasioni presenti, tra impegni di politica estera ed europea e interessi economici. Divisioni che Washington guarda con preoccupazione e scetticismo.

di Daniela Mogavero