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La strategia europea per la crisi e le paure dei paesi non euro

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Sono mesi questi di preoccupazione per il destino dell’euro. In alcuni paesi, come la Repubblica ceca, cresce la diffidenza verso la moneta unica, mentre nel Regno Unito si arriva a mettere in discussione non solo l’ingresso nell’euro ma addirittura la permanenza nell’Unione. Anche a Praga si notano segni di una sempre più diffusa freddezza nei confronti dell’Europa e dell’ingresso nell’euro, confermati dalla proposta del premier Petr Necas di affidare a un referendum la decisione sull’ingresso dell’euro. Ma la politica, si sa, spesso nasconde il suo vero fine, mentre quello che più preoccupa è lo sfavore delle imprese nei confronti dell’euro. Ora infatti solo un terzo delle aziende ceche è favorevole all’ingresso nella moneta unica, con un’inversione di tendenza rispetto al passato.
l’Unione Europea si trova infatti ad affrontare un’altra emergenza. I vertici europei di ottobre hanno dovuto fronteggiare nuovamente la crisi della Grecia e dei paesi della zona euro ma anche le divisioni sulle modalità e gli strumenti per fronteggiarle. Riguardo agli interventi, i 27 hanno raggiunto un accordo per la ricapitalizzazione delle banche, senza precisare le cifre – si parla comunque di 108 miliardi di euro. La crisi non riguarda solo alcuni Stati e la risposta deve venire dagli stati membri insieme alle istituzioni europee. In maniera sempre più urgente servono misure che rispondano agli effetti della crisi finanziaria sull’economia reale, sulla società, sul lavoro, sulle imprese.
Più in generale la risposta dell’Unione europea è sintetizzata nel discorso sullo Stato dell’Unione del Presidente della Commissione Barroso, dello scorso settembre e gli eventi delle ultime settimane hanno imposto un’accelerazione.
Nella sua relazione Barroso definisce il momento attuale come “la più grande sfida della storia della nostra Unione. È una crisi finanziaria, economica e sociale, ma anche una crisi di fiducia nei nostri leader in genere, nella stessa Europa e nella nostra capacità di trovare soluzioni. L’origine della crisi è chiara: l’Europa non ha colto la sfida della competitività. Alcuni Stati membri hanno ceduto alla tentazione di vivere al di là dei propri mezzi e sui mercati finanziari vi sono stati comportamenti irresponsabili e inammissibili. Abbiamo lasciato che si accentuassero gli squilibri tra i nostri Stati membri,soprattutto nell’area dell’euro.” Al momento quindi la sfida non è solo affrontare la crisi ma anche affrontare la perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dei governi e delle istituzioni europee.
Per Barroso la perdita fiducia, questa volta quella degli investitori, è anche alla base della crisi finanziaria degli stati : “Ritengo di poter affermare che ora come ora la crisi del debito sovrano è anzitutto una crisi di fiducia politica.”. Ora la crisi di fiducia dei cittadini sulla capacità dei governi di reagire alla crisi è ancora più evidente. Ne sono prova il vento di proteste che sta coinvolgendo varie capitali europee e una più generale insoddisfazione che emerge dai sondaggi.
Va quindi recuperata la fiducia. La ricetta è complessa, ma deve passare necessariamente attraverso due ordini di azioni: interventi per la stabilità e la crescita e riforme. A livello nazionale come europeo. L’Europa lo chiede agli stati – alla Grecia come condizione per il suo salvataggio e agli altri, Italia compresa, per non fallire – e i cittadini all’Europa. Le azioni più urgenti sono il rinnovo del sostegno alla Grecia, una nuova regolamentazione del sistema finanziario – alcune delle proposte sono state adottate, mentre altre sono ancora in attesa di approvazione, ad esempio in materia di derivati. Nella proposta della commissione anche una tassa sulle transazioni finanziarie, che verrebbe utilizzata per finanziare il bilancio dell’UE proposto per il periodo 2014-2020, il cui obiettivo è investire nella crescita e nell’occupazione. Ma anche la lotta all’evasione fiscale, con l’introduzione di una tassa europea sui risparmi e l’incarico alla Commissione di negoziare accordi fiscali con i paesi extra UE per conto dell’Unione. Necessario anche rafforzare l’unione economica rimuovendo gli ostacoli giuridici e amministrativi agli scambi di servizi nell’UE. Fra gli investimenti necessari quelli nella ricerca, nell’innovazione, nell’uso efficiente delle risorse e nell’istruzione. E ancora investimenti in infrastrutture per collegare le reti energetiche, digitali e dei trasporti in Europa. Infine investimenti in istruzione e formazione, anche per contrastare il problema della disoccupazione giovanile. Una sfida ardua, senza dubbio, ma dal Consiglio Europeo arrivano le prime risposte concrete: un primo accordo sul sistema finanziario assicurando l’implementazione di Basilea III, la riforma dei derivati, la convergenza sui principi contabili, la regolamentazione del sistema bancario-ombra (shadow banking system) e di ridurre la dipendenza dalle agenzie di rating (oggi di monopolio anglosassone). Si invitano anche i paesi a proseguire ad esplorare l’introduzione di una tassa sulla transazione finanziaria globale (la cosidetta Tobin Tax, ora auspicata anche dal Vaticano). Anche dal punto di vista delle riforme qualche cosa si è fatto, con la decisione di rafforzare l’assetto istituzionale dell’area euro e la proposta di un presidenza ad hoc, inizialmente affidata a Herman Van Rompuy.
La strada sembra essere quella giusta. Anche Praga deve fare la sua parte, in termini di investimenti, di stimoli all’economia, di riforme strutturali, indipendentemente dal suo ingresso nell’euro. Ma l’impressione è che per esprimere le riforme e riguadagnare la fiducia ci sia bisogno di qualche cosa di più: un segno forte di discontinuità. Il caso della Spagna ci ha dimostrato che la decisione del Presidente Zapatero di porre fine a una stagione di governo e favorire il cambiamento con le elezioni è stata premiata dagli investitori. Forse la vera novità è questa: ora ai leader politici non si richiede più solo di contrastare la crisi, ma di farsi da parte se non ci riescono. Tutti gli attuali leaders politici – non solo quelli europei – sono valutati dagli elettori sulla capacità. di far fronte alla crisi con efficacia. E se non vorranno perdere sempre più consenso, governi e istituzioni europee saranno obbligati a dare segni di cambiamento, in tempi brevi.

Di Luca Pandolfi