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Incontro con l’eclettico compositore e cantante italiano che da diversi anni vive nella città boema

Cosa hanno in comune i “Treni di Tozeur”, cantati da Alice e Franco Battiato, con la “macchina dell’amore e della morte”, messa in scena nel 1987 dall’iracondo genio del teatro polacco Tadeusz Kantor? E i registi Angelo Orlando e Mimmo Calopresti con i cantanti Peter Gabriel e Ivano Fossati? E ancora, le opere “Genesi” e “Gilgamesh”, sempre di Battiato, con i programmi televisivi “Chip” di Piero Angela e “La difesa della razza” di Gad Lerner? La mano di un artista: Saro Cosentino.

Nato a Roma nel 1960, eclettico compositore, cantante, produttore, appassionato di cinema e di teatro, muove i primi passi nella musica acustica e nel blues, per poi dedicarsi alla musica elettronica e sperimentale. “Anche se l’unico mondo in cui oggi un musicista possa veramente sperimentare è quello del cinema, dove puoi trasportare certe emozioni anche con sonorità inusuali. Comporre per un regista è come vivere il sogno di un altro, proprio per questa ragione la musica non deve essere preponderante rispetto al film”, ci confessa Saro Cosentino, davanti a un buon caffè in un piccolo bar di Vinohrady, non lontano dalla sua abitazione, in un tiepido e soleggiato pomeriggio autunnale. “Altrimenti c’è il rischio di scadere nel videoclip”, aggiunge mentre dal piccolo televisore appeso in alto, dopo un clip di Enrique Iglesias, ci travolgono le note incalzanti di “Born to Be Alive” di Patrick Hernandez. Di qui quelle numerose colonne sonore per film e documentari, la prima nel 2006, dopo che si era sentito dire tante volte “saresti perfetto per il cinema”.

Nomade per vocazione e per esigenza creativa, Saro lavora e viaggia in Europa e in Oriente, lungo i percorsi spirituali tracciati dagli echi delle danze Sufi e dai pellegrini buddhisti, per poi trasferirsi stabilmente negli Stati Uniti e in Inghilterra. Nei primi anni del 2000 il ritorno in patria, in una Milano in cui l’industria discografica è ormai implosa nella ripetitività dei cliché. Poco più che quarantenne, l’artista si trova di fronte a un bivio: restare cercando di assecondare le esigenze del mercato, oppure ripartire e seguire quel Sud interiore e geografico (ma anche anagrafico, visto che il padre di Saro è di origini siciliane) celebrato da Battiato in “Giubbe rosse”? E Saro non esita. Nonostante il richiamo esercitato da Istanbul e dalla Turchia, fa rotta verso Praga, seguendo una polarità della propria anima che lo spinge sulle tracce dei passi calcati dal ramo materno della sua famiglia, originario di quell’Istria penisola di confine tra Italia e Mitteleuropa.

In Repubblica Ceca trova un ambiente musicale straordinario e musicisti di altissimo livello con cui collaborare e confrontarsi in modo costante e proficuo. Tra i tanti autori locali da cui ama farsi “contaminare” il gruppo folk rock Čechomor, “un’operazione interessante di rivisitazione della tradizione prodotta da Jaz Coleman, fondatore dei Killing Joke”. Insomma, questo paese è per Saro Cosentino un luogo favorevole alla creazione di ambienti sonori, dove le vibrazioni, esteriori e interiori, sono libere di interagire tra loro generando armonie. Un prezioso e ricco milieu letterario fatto di mostri sacri quali Kafka, Čapek, Hašek, Kundera e Hrabal, autori capaci di leggere la realtà con disincanto e ironia, “una delle forme più alte di intelligenza”, cogliendone le essenze mutevoli per sottrazione, non per accumulo. Poi Praga, tra le poche realtà urbane in grado di crescere e di rinnovarsi senza recidere le proprie radici che si diramano tra storia e leggenda, restando fedele ad un patrimonio artistico straordinario, tuttora intatto. Scampata ai bombardamenti e alle devastazioni della seconda guerra mondiale, infatti, “Praga è una città bellissima, dall’architettura incredibile, dal barocco all’art decò”, come ci racconta Saro che alle sue passioni affianca quella di fotografo sensibile e attento. Una città variopinta e inafferrabile che ama percorrere alla ricerca di attimi e sensazioni da catturare con l’obiettivo, per poi rielaborarne la trama in un profilo Instagram dal seguito più che discreto. Neanche la cecità burocratica e la cupa uniformità imposta dal regime comunista hanno sconfitto lo spirito vitale che anima questa città, tornato ad esprimersi liberamente dopo la Rivoluzione di Velluto. “Però che tristezza sul finire degli anni Settanta. Eravamo cinque amici in vacanza, con i capelli lunghi e i vestiti alla moda del tempo, eppure sentivamo il controllo, la sospettosità indotta. Anche la postura delle persone era contratta, come se il cielo pesasse sulle loro spalle. Nessuno ostentava nulla, neanche la giovinezza”, ricorda Saro Cosentino che a Praga arrivò coi suoi amici sul più classico dei pulmini Volkswagen, prima di proseguire verso la Polonia, in un’epoca in cui il visto andava chiesto sei mesi prima specificando esattamente tutte le tappe dell’itinerario.

A contrasti così netti, tra estremi opposti lontani eppure legati, Saro Cosentino non è mai stato estraneo. Di estrazione familiare cattolica, rivendica il piacere nonché il bisogno di rispondere a una vocazione di sperimentazione, non più solo musicale, ma anche spirituale. E allora l’innamoramento per l’India e le filosofie orientali, l’infatuazione per il Sufismo, l’interesse per l’esoterismo e la curiosità per la psicologia, in particolar modo junghiana. Dopo un lungo e stimolante peregrinare, arriva il momento di alleggerirsi della zavorra superflua per concentrarsi sulla sostanza delle cose. “Con l’età si fa più marcato un senso di tramonto che ci spinge a ragionare su ciò che è essenziale, è il tempo della sottrazione invece che dell’accumulo giovanile”.

Ma il legame con l’Italia resta solido, grazie anche a quel ponte tra popoli e culture rappresentato dall’interesse verso lo sport, il calcio e il ciclismo in particolare. Saro, accanito tifoso, chiarisce subito gli interrogativi sospesi che accompagnano lo stupore di chi vede abbinare i nomi di San Giovanni della Croce e di Silvano del Monte Athos alla Società Sportiva Roma e a un angolo di Praga in cui si ritrovano i sostenitori giallorossi. “Il cammino spirituale non è in contrasto con la passione calcistica. La condivisione delle esperienze interiori, che è alla base di questo percorso di ricerca, richiede sempre un confronto con l’alterità e una rielaborazione soggettiva delle esperienze vissute. Nel mio caso le ritualità familiari della domenica, quando mio padre ed io ci preparavamo per andare allo stadio, l’attesa sugli spalti, il tifo, le improvvise esplosioni di gioia e le condivisioni di emozioni, spesso con degli sconosciuti, rappresentano dei momenti decisivi nella mia formazione di uomo”. Lo sport, dunque, “è come una catarsi, un moltiplicatore di emozioni”. “Certo – continua – tra decine di migliaia di persone c’è sempre qualche cretino che fa scalpore, ma guardate Internet”. E qui, per la prima volta durante la nostra piacevole conversazione, Saro Cosentino si rattrista e sembra ritrarsi in se stesso. Già, la rete e i social, l’approccio semplicistico e riduttivo alla realtà, la semplificazione dualistica del pensiero, la regressione emotiva, tutti fattori che turbano gli aspetti relazionali della ricerca e la crescita interiore. “La realtà è complessa e serve un pensiero complesso per abbracciarla”, mentre la tendenza è verso la banalizzazione estrema e la polarizzazione semplificante tra pro e contro, un alibi pericoloso che “ci esime dall’approfondire”. Il risultato è l’appiattimento di quella feconda e profonda ricchezza della vita che Saro Cosentino ha sempre cercato di cogliere e rappresentare con la sua musica.

di Alessio Di Giulio e Andreas Pieralli