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Incontro con Pietro Marcello, giovane regista di “La Bocca del lupo”

Il Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary manifesta tradizionalmente un forte legame con l’arte cinematografica italiana. Fra le ragioni che spiegano questa speciale liasion basterebbe citare l’amore verso le pellicole italiane sempre dimostrato da Eva Zaoralova, il dinamico direttore artistico del Festival.
Anche in questa 45° edizione, la rassegna di Karlovy Vary, la più importante che si svolge nell’Europa centrorientale, ha in programma alcune espressioni di quanto di meglio possa offrire il cinema italiano.
Nelle varie e numerose sezioni fanno capolino “L’uomo nero” di Sergio Rubini (fuori concorso nella Selezione Ufficiale), “La doppia ora” di Giuseppe Capotondi e “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino (sezione Open Eyes), “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti, e “Una soluzione razionale” di Jörgen Bergmark, una coproduzione Svezia, Germania, Italia e Finlandia (tutti nella sezione Horizons). Poi altre due coproduzioni: “Copia conforme” (Francia, Italia) di Abbas Kiarostami, e “Hitler a Hollywood” (Belgio, Francia e Italia) di Frédéric Sojcher.
50 KV - Pietro Marcello
“La bocca del lupo” di Pietro Marcello
Unica opera italiana in concorso a Karlovy Vary, nella categoria documentaristica, è “La bocca del lupo”, una storia tratta dall’omonimo libro verista di Remigio Zema del 1892. Un film documentario, già pluripremiato, vincitore del Torino Film Festival 2009 e di altri importanti premi tra cui uno al Festival di Berlino. La pellicola – con l’energia e il coraggio artistico di voler uscire “fuori dal seminato” usando altri codici narrativi, linguistici ed estetici – racconta una vicenda d’amore e miseria nella Genova degli indigenti e degli emarginati. Abbiamo incontrato il regista, Petro Marcello.

Questo film si è rivelato per te una bella sfida da raccogliere.
La mia intenzione era principalmente di realizzare un lavoro presentabile e dignitoso. I festival e i premi sono poi come una roulette. Una volta vanno bene a uno, la prossima andrà bene a un altro. Sicuramente non possono essere solamente i premi a valorizzare un film. Per me questo è stato un lavoro importante e dal quale ho imparato molto.
Parlaci di questo tuo film
L’obiettivo era far convivere la grande storia della città di Genova con questa piccola storia d’amore. Io, da forestiero (NdR, il regista è di Caserta), ho raccontato questa piccola storia d’amore nel presente, mentre la grande storia della città è raccontata da filmati e immagini di repertorio. La scommessa con la montatrice, Sara Fgaier, era quella di far coesistere questi materiali assieme. Pensiamo di esserci riusciti.
Com’è questa tua prima volta a Karlovy Vary?
La cittadina è molto bella, affascinante, e vi si respira tutta l’antica tradizione di questo festival. Karlovy Vary è chiaramente un punto di riferimento importante per il settore cinematografico, in primo luogo per quello dell’Europa dell’Est. Il modello è quello dei grandi festival internazionali come Berlino, Venezia e Cannes. Devo dire che io, personalmente, preferisco i festival più piccoli, dove è più facile relazionarsi con gli altri autori e con la gente. Occasioni in cui è più facile instaurare uno scambio, un confronto… Dove la sera si sta insieme, si va a vedere il film dell’altro, si mangia insieme… In un grande festival internazionale come quello di Karlovy Vary tutto questo diventa più difficile.
Deluso, allora?
Non direi. Il festival di Karlovy Vary è sicuramente strutturato bene. Interessanti per esempio le retrospettive che sono state realizzate, così come è interessante quello che cinematograficamente succede ad Est. E io sono uno che apprezza molto il cinema dei paesi dell’Est e in modo particolare il cinema russo.

Di Kateřina Veselá e Mauro Ruggiero