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Una breve panoramica sulla diffusione della letteratura ceca in Italia grazie all’opera di grandi slavisti e case editrici del Belpaese

L’intento di questo articolo è quello di dare una panoramica della letteratura ceca tradotta in italiano. Non sarà dunque una bibliografia estesa delle traduzioni, quanto piuttosto uno sguardo ai grandi poeti e scrittori cechi, tentando anche di incuriosire quei lettori del Belpaese che di certi autori non hanno forse finora mai sentito parlare.

La tradizione traduttiva italiana legata alla cultura ceca trae le proprie origini dall’Ottocento romantico e dal Risorgimento boemo, epoca di rinascita culturale per le Terre ceche e per l’Europa. I ricchi scambi epistolari a cavallo tra Otto e Novecento tra il filologo veneziano Emilio Teza e il poeta Jaroslav Vrchlický produssero un’attrazione bilaterale tra le due realtà editoriali e le rispettive produzioni letterarie. L’entusiasmo del Teza per la letteratura ceca lo portò a tradurre le antologie di fiabe e canti popolari di Karel Jaromír Erben, il Dante boemo. Degna di nota è la raccolta “Kytice”, a oggi una delle opere ceche più famose al mondo, che fu pubblicata sui giornali accademici veneti, senza dunque la presenza di uno specifico editore.

Il risorgimento boemo e Čapek

Bisognerà aspettare la nascita della Cecoslovacchia di Masaryk per riportare in Italia l’interesse per le opere in lingua ceca. Verso la metà degli anni Venti Giovanni Maver, uno dei primi slavisti italiani, presenta la fino ad allora sconosciuta figura di Karel Hynek Mácha – per fama, quasi un Leopardi ceco – e porterà trent’anni dopo alla prima traduzione del “Maggio”, poema bucolico dallo stile complesso e metaforico. Appare nello stesso anno, il 1925, la prima traduzione di una delle più grandi esponenti del risorgimento boemo, Božena Němcová – caposaldo della letteratura come il nostro Manzoni. Con il titolo “La nonna” (Babička) il libro fu pubblicato dall’editore Cogliati, ma da traduttore rimasto ignoto.

Sempre alla fine degli anni Venti fu lo scrittore contemporaneo Karel Čapek a essere fatto conoscere in Italia dalla saggia penna dello slavista e traduttore fiorentino Wolfango Giusti. Si era in pieno regime fascista e il nome dovette essere italianizzato in Carlo Ciapek, vide così la luce la prima edizione nella Penisola dei “Racconti tormentosi”, pubblicati dall’editore Slavia di Torino. Per le sue successive edizioni si aspetteranno, invece, gli anni Sessanta.

Negli anni Trenta, l’occupazione nazista della Cecoslovacchia e la nascita del Protettorato di Boemia e Moravia generarono un periodo di relativa stasi, da un lato per il rallentamento della produzione letteraria, dall’altro per la censura imposta dai tedeschi.

Si deve quindi attendere la fine della guerra, che porterà negli anni Cinquanta alla prima apertura verso la Cecoslovacchia, poi fiorita in maniera entusiastica negli anni Sessanta, prima ancora della Primavera.

Decisivo nel dopoguerra fu lo slavista napoletano Ettore Lo Gatto, al quale si deve nel 1950 la primissima traduzione del Maggio di Mácha, edita da Fussi.

La guerra era da poco finita ma rimaneva qualcosa di fin troppo quotidiano, ciò permise al personaggio cecoslovacco più famoso, Švejk, di portare un po’ di consolazione al popolo italiano, grazie alla traduzione di Venosto Vorlíček. “Le avventure del buon soldato Švejk” e l’atteggiamento tragicomico del protagonista durante il Primo conflitto mondiale, con le illustrazioni di Josef Lada, diventarono un simbolo rassicurante per i lettori italiani.

D’altro canto, a detta di Alessandro Catalano, professore di letteratura ceca all’Università di Padova e autore di “Sole rosso su Praga” del 2004, si rintraccia nella Cecoslovacchia di questi anni un ambiente letterario prolifico. Proprio questa pubblicazione costerà a Catalano la pungente critica di Giuseppe Dierna, il traduttore di Kundera, come vedremo più avanti. La disputa tra i due accademici porterà scompiglio tra la maggioranza delle figure di spicco della boemistica italiana e ceca, a tal punto da rivederne gli studi e persino le cariche di alcuni di essi.

Il ritorno del buon soldato Sc’veik

Attorno all’inizio degli anni Sessanta ritorna in voga in Italia il buon soldato cecoslovacco, non più Švejk ma Sc’vèik, trascrizione dal ceco che lo fisserà nell’immaginario italico. Il volume è a cura di Renato Poggioli e di Bruno Meriggi, professore di filologia slava in quegli anni a Milano, che firmerà buona parte delle traduzioni del decennio. La casa editrice è Feltrinelli, nota per la linea editoriale strettamente fedele ai testi originali e alla cristallinità nei contenuti; non stupisce infatti il numero di pagine quasi raddoppiato rispetto alla precedente edizione di Vorlíček. L’anno successivo è il turno di Čapek: arrivano in Italia i suoi “Racconti dall’una e dall’altra tasca”, firmati ancora da Meriggi, ma questa volta per Bompiani.

Si avvicinano così gli anni della Primavera, in Cecoslovacchia fa capolino la figura di Milan Kundera, che ne segnerà – nel bene e nel male – il destino, dando un affresco della realtà socialista. In Italia, invece, la Primavera arriva nelle pagine di due grandi antologie, entrambe del 1969, a oggi probabilmente le più ricche: la prima “Praga non tace. Antologia della protesta cecoslovacca” edita da Guanda e contenente scritti di cittadini ostracizzati durante la normalizzazione; la seconda “Antologia delle letterature polacca-ungherese ceca-slovacca” dell’editore Fabbri. In quest’ultimo volume, vale la pena rimarcare la prima traduzione dell’opera teatrale R.U.R. (Rossum’s Universal Robots) di Čapek, a cura di Jitka Křesálková.

Prima di spostarci agli anni Settanta, è opportuno non tralasciare una figura altrettanto importante di questi anni, che accompagna, al contrario di Kundera, ancora oggi l’immaginario collettivo dei cechi: Bohumil Hrabal. Sarà Einaudi il primo editore, nel 1968, a pubblicare “Inserzioni per una casa in cui non voglio più abitare”, grazie all’azione filo-ceca di Angelo Maria Ripellino, iniziata già alla fine degli anni Cinquanta. Una promessa sigillata dall’accordo con Einaudi per la bramata pubblicazione di “Praga magica”, compendio immortale su Praga nonché suo testamento spirituale. Hrabal tornerà poi tra le mani dei lettori italiani grazie alla casa editrice E/O, ma solamente nel riflusso degli anni Ottanta e grazie alla penna di Sergio Corduas, fondatore della boemistica a Venezia.

L’insostenibile leggerezza del Partito

Negli anni Settanta la Primavera è finita, il blocco sovietico è oramai la quotidianità, ma la produzione letteraria non si arresta. Gli scritti di Milan Kundera si fanno largo a colpi di espulsioni e riammissioni al Partito comunista, passando per il brutale bando delle sue opere dalle biblioteche pubbliche dell’intera Cecoslovacchia, il trasferimento forzato nel 1975 in Francia, fino a sfociare nel controverso “Il libro del riso e dell’oblio” del 1978, che gli costerà la perdita della cittadinanza cecoslovacca. In Italia sono Bompiani e Mondadori ad accaparrarsi i diritti e trovano, rispettivamente nelle figure di Serena Vitale e Giuseppe Dierna, i traduttori che ne consacreranno al pubblico italiano la scrittura corrosiva e a volte amara. Nel caso di Dierna, però, sarà difficile rintracciare il nome, quanto invece più facile sarà trovare quello di Antonio Barbato, suo pseudonimo. All’epoca, infatti, per entrare in Cecoslovacchia si aveva ancora la necessità di un visto d’ingresso rilasciato dall’Ambasciata, e rivelare la paternità di quella traduzione avrebbe significato un visto negato, nonché l’impossibilità di proseguire i suoi studi a Praga. “Che l’identità di quel traduttore interessasse davvero le autorità lo testimonia lo zelo con cui, all’Ambasciata cecoslovacca a Roma, con gentili domande e ingenui giri di frase avevano ripetutamente cercato di sapere da me chi si celasse dietro quello sconosciuto esordiente”, con queste parole lo stesso Dierna ricorda l’asfissiante controllo politico, le becere costrizioni e i faticosi sotterfugi della Cecoslovacchia di allora.

Gli anni Ottanta e Novanta segnano il boom dell’interesse da parte dell’Italia e la caduta del Muro è sentita da tutti. Fioccano le ristampe e le cessioni di diritti di traduzione ormai probabilmente decaduti: entrano in gioco le case editrici indipendenti. Adelphi ripubblica le traduzioni di Vitale e Dierna (Barbato), E/O presenta la produzione di Hrabal, portando poi le traduzioni a diventare parte della collana più famosa dell’editoria italiana: i Meridiani Mondadori (sempre a cura di Corduas). È poi la volta di Sellerio, negli anni Novanta, con gli scritti di Karel Čapek.

L’avvento delle case editrici indipendenti ha poi portato a realtà come Poldi Libri, fondata da un gruppo di boemisti italiani e guidata da Davide Sormani, con lo scopo di divulgare e diffondere la cultura ceca e slovacca, o ancora alla collana Nová Vlna di Miraggi Edizioni, curata da Alessandro De Vito. In altri casi a editori già esistenti che per la prima volta gettano uno sguardo sulla Mitteleuropa, già dimenticata dal nuovo millennio. Da un lato Marsilio, che nel 2013 si fa portatore della nuova traduzione del Maggio di Mácha, risultato di un ciclo di lezioni e conferenze a cura di Annalisa Cosentino e tradotto da Alessandra Mura; dall’altro Keller Editore, lanciando due casi editoriali: “I soldi di Hitler” di Radka Denemarková e “L’eredità delle dee” di Kateřina Tučková, tradotti rispettivamente da Angela Zavettieri e da Laura Angeloni.

Come anticipato, quest’articolo non aveva la pretesa di coprire un tempo così vasto ma si prefigge la possibilità di interessare chi legge, nonché dare spazio a chi di solito si trova sul retro di un frontespizio, vicino alla voce “Traduzione di”.

di Oliver Mandlík