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Il primo presidente eletto direttamente dai cittadini è l’ex premier socialdemocratico. Reazioni contrastanti dall’estero

Praga in Europa volta pagina. E lo fa scegliendo come Presidente un uomo che di politica se ne intende. Una vecchia volpe lascia il posto a un’altra: l’ex premier socialdemocratico Miloš Zeman è il nuovo presidente della Repubblica ceca e i cechi, nella prima elezione diretta del capo di stato, non potevano scegliere personaggio e politico più diverso da Václav Klaus, inquilino dei Hradčany noto prima di tutto per le sue posizioni euroscettiche. A succedergli, infatti, uno dei più convinti europeisti in terra ceca, Zeman appunto, che già da premier avviò i negoziati per l’adesione all’Ue di Praga e fece entrare il Paese nella Nato. Un personaggio che però in patria ha vinto soprattutto per le sue posizioni radicali, per il nazionalismo, l’attacco all’attuale governo e l’occhiolino strizzato alla Russia.

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Il leader dello Spoz (Partito dei diritti dei cittadini), tornato alla ribalta dopo otto anni di esilio dalla vita pubblica, presterà giuramento l’8 marzo. Ma non è tutto oro quel che luccica, come dice il proverbio. Zeman, infatti, che ama definirsi euro-federalista, appoggia sì un’Europa più forte, è disponibile a issare la bandiera europea sul Castello di Praga (gesto, seppur simbolico, negato con forza da Klaus) e sostiene l’ingresso di Praga nella moneta unica, ma ha anche posizioni molto critiche su altre importanti questioni interne all’Ue: per esempio considera ingiusta l’esclusione dall’Europa della Russia e nel contempo è contrario all’ingresso della Turchia. Si dice favorevole a una politica estera comune più incisiva ma mal tollera l’idea di un’Europa super-stato e ha già chiesto a Bruxelles di allentare i cordoni della borsa.

Luci e ombre, quindi, nel personaggio del momento, la cui elezione in patria è stata accolta in maniera ondivaga, a differenza di Bruxelles che spera di avere vita “più semplice” nei rapporti con il Castello. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, si è felicitato “calorosamente” con Zeman elogiando il suo contributo per l’adesione del paese dell’est all’Unione europea. “I cittadini cechi che vi hanno eletto hanno visto in voi una persona che, nel suo ruolo precedente di primo ministro, ha contribuito in modo significativo alla trasformazione del paese e di conseguenza alla sua adesione all’Unione europea”, ha sottolineato Barroso. Positiva anche la reazione della sorella Slovacchia: Boris Gandel, ministro degli Esteri slovacco ha dato il benvenuto a Zeman, ricordando che lo stesso presidente e Mikuláš Dzurinda nel 2000 posero fine alla lunga vertenza dei due Paesi sulla ripartizione del patrimonio nazionale dopo la separazione.

In Repubblica Ceca le reazioni sono state un po’ più tiepide. Per molti quotidiani a vincere è stato il rappresentante del partito dei cosiddetti “scontenti” e in alcuni casi si è parlato di ritorno al passato. Criticata in particolare la vicinanza alla Russia che potrebbe risolvere in senso favorevole a Mosca anche l’attesa decisione su Temelin, con un sostegno ai partner russi per l’ampliamento della centrale nucleare. Un tema su cui potrebbero crearsi frizioni con le vicine Germania e Austria: Zeman, infatti, ha più volte attaccato gli ambientalisti e per estensione anche i progetti di rinuncia al nucleare.

A testimoniare i buoni rapporti con il Cremlino le parole del presidente russo Vladimir Putin che, congratulandosi con Zeman, ha dichiarato: “In Russia conosciamo Zeman come un sostenitore dei rapporti di amicizia russo cechi e di un loro rafforzamento”. Anche la stampa russa ha appoggiato l’elezione: Kommersant ha sottolineato come nell’entourage di Zeman ci siano persone i cui interessi sono strettamente collegati a quello di imprese russe”. A questo proposito si è parlato in particolare di Miroslav Šlouf, “ex comunista e lobbista politico vicino alla società petrolifera russa Lukoil” (ha scritto Hospodářské noviny). Quest’ultimo è un punto in comune con Klaus e alcuni osservatori sostengono che la dispendiosa campagna elettorale dell’ex premier sia stata finanziata, in maniera occulta, dalla compagnia petrolifera russa.

Altro tema affrontato soprattutto nella seconda parte della campagna elettorale per le presidenziali e che potrebbe avere ricadute in campo internazionale e anche europeo è il rapporto con la Germania e le posizioni di Zeman su una questione vecchia ottant’anni, i decreti Beneš, emessi per l’espulsione delle minoranze tedesca e magiara nel 1945 con la confisca dei loro beni. Nel corso della sfida per il ballottaggio Karel Schwarzenberg ha dichiarato che oggi per l’espulsione dei tedeschi il presidente Beneš sarebbe finito davanti al tribunale dell’Aia. Di tutt’altro avviso Zeman, che ha accusato Schwarzenberg di essere uno straniero e di “comportarsi come un tedesco dei Sudeti”. Molti analisti politici temono per affermazioni come questa una deriva nazionalista del Paese, alla stregua dell’Ungheria di Orbán o della Polonia dei gemelli Kaczyński. E le reazioni da parte della vicina Germania non si sono fatte attendere. Se dal punto di vista ufficiale il governo di Berlino, in un nota del ministero degli Esteri, ha auspicato che “continui l’attuale ottima collaborazione fra i due Paesi”, una parte della stampa tedesca ha invece sottolineato l’utilizzo a fini politici e propagandistici dei Decreti. Il più duro forse il quotidiano Die Welt secondo cui la Germania non dovrebbe accettare che “l’odio nei confronti dei tedeschi diventi una cosa normale della politica europea” e ha chiesto che Zeman, “responsabile di retorica anti tedesca”, non venga invitato in Germania. E Zeman non è nuovo a uscite polemiche nei confronti della Germania: resta ancora agli annali, la dichiarazione che nel 2002 portò Gerhard Schroeder a cancellare la visita a Praga. In quell’occasione il neopresidente disse che i Sudeti erano la quinta colonna dei nazisti in Cecoslovacchia.

Che la diplomazia non sia il suo forte lo si sapeva già, va ricordato quando Zeman, allora premier paragonò Arafat a Hitler, e le battute ad effetto non si sono fatte attendere neanche questa volta. Preludio a una stagione politicamente scorretta o comunque niente affatto ingessata.

di Daniela Mogavero