FacebookTwitterLinkedIn

Il mio ricordo personale di un personaggio iconico, esempio di nobiltà e di impegno politico e civile

Karel Schwarzenberg, un Principe mitteleuropeo

di Amedeo Gasparini

schwarzenberg-2

Karel Schwarzenberg era soprannominato “der Fürst”, il principe; “Pan Kníže”, Signor principe. Nato a Praga e morto a Vienna a ottantacinque anni lo scorso novembre: due luoghi che chiudono il cerchio attorno ad un impero asburgico che non esiste più, ma connaturato a Schwarzenberg e al suo mondo. Poco più di due settimane prima della sua scomparsa, aveva ricevuto la più alta onorificenza della Repubblica Ceca, l’Ordine del Leone Bianco. Non ha potuto ritirarla di persona per motivi di salute – da mesi era confinato su una sedia a rotelle. Con lui, la Repubblica perde una figura di spicco della politica centroeuropea, ma soprattutto un uomo impegnato prima fuori e poi dentro il suo Paese, prima e dopo la Rivoluzione di Velluto, nella promozione di pace, libertà e diritti umani. Mancheranno la sua nobiltà, la sua saggezza, il suo umorismo e la sua visione europea, come ha dichiarato il Presidente Petr Pavel.
Ho avuto il piacere di incontrare Karel Schwarzenberg in una delle sue case, a Beroun, nell’aprile del 2021, quando ero studente all’Università Carolina di Praga e stavo componendo delle interviste a personalità legate alla figura di Václav Havel, suo amico e consigliere. Ringrazio quindi oggi Progetto Repubblica Ceca per avermi chiesto di scrivere un ricordo personale, che ho redatto con un accenno di malinconia. Una malinconia positiva, ben inteso; non quella che si trasforma in nostalgia che obbliga a guardare al passato. Dopo la sua scomparsa, mi sono tornati in mente il libro di interviste, la ricerca degli intervistabili, le letture. Ma anche la felicità di sentirsi dire un “sì” da parte di questo anziano signore che accoglieva uno studente che non parlava ceco e dal tedesco un po’ claudicante. Non è scontato – anche a fronte di tutti i no da parte di persone molto meno titolate a parlare di Havel.
Schwarzenberg era un personaggio pubblico di alto livello. Si poteva essere d’accordo o meno con lui, ma non si può negare l’impegno e la professionalità che ha mostrato durante la sua lunga vita. Negli ultimi quindici anni ha ricoperto – pur in maniera incomparabile rispetto ad Havel – un ruolo che andava al di là di quello politico. Non era raro vederlo raffigurato come un punk con i tatuaggi e la cresta rosa – lui, che di rosa forse metteva solo l’inconfondibile papillon – in qualche locale del centro di Praga. I turisti forse lo scambiavano facilmente per una popstar degli anni Settanta oggi anziano – forse un rivale di Karel Gott! Ma a differenza del cantautore nazionale, il Karel 1 (anzi, Karel I, per mantenere l’aplomb aristocratico) veniva da una famiglia di nobili. Gli Schwarzenberg risalgono al Sacro Romano Impero; una casata vecchia quasi un millennio fa, tra l’attuale Cechia ed Austria.
Il Fürst stesso si considerava sempre e prima di tutto un boemo. Gli Schwarzenberg erano imparentati con i Lobkowicz, i Fürstenberg e gli Hohenzollern. Si potrebbe pensare dunque che Schwarzenberg fosse altezzoso, conscio della sua distinta ascendenza. Non era così. Avevo contattato Schwarzenberg tramite la segreteria del Top 09, il partito che aveva fondato, con l’intenzione di creare una forza politica sostenitrice dei suoi ideali: liberalismo, democrazia, conservatorismo moderato, europeismo. Rimasi stupito della risposta positiva. Nell’andare ad incontrarlo non nascondevo la mia emozione. Per l’occasione avevo noleggiato un’auto; la parcheggiai nel bel mezzo del piazzale della villa, tra le colline di campagna. Entrai in casa – non lussuosissima. Feci qualche minuto di anticamera, il tempo necessario per rileggermi la biografia che mi ero stampato. Non volevo fare errori: dopotutto, ero ospite in un Paese che sentivo di amare tantissimo, ma che stavo solo imparando a conoscere.
Karel Schwarzenberg mi accolse nel suo studio con un grande sorriso e le braccia aperte dal trono della sua scrivania, dove restò seduto tutto il tempo, a distanza l’uno dall’altro. Eravamo ancora in nell’immediata post-emergenza Covid. Era visibilmente contento di vedere che un giovane gli faceva visita per parlare del suo amico Václav Havel. In piena coerenza con l’educazione che gli aristocratici ricevevano, Schwarzenberg era poliglotta. Parlammo in inglese e in francese, alternando il tedesco e persino l’italiano! Fu stato un colloquio spassoso, con alcuni colpi di scena. Le incomprensioni naturali si risolsero con delle occhiate severe o d’ilarità. Ad un certo punto tirò fuori la pipa – una delle sue passioni. Mi raccontò del suo amore per le auto e il cibo – naturalmente, quello italiano. Ebbi l’impressione di un principe libero per i valori che ha promosso nella vita e gentile per la disponibilità accordatami.
Un gentiluomo, che ricordava quei notabili di fine Ottocento, con una tenuta qua e là e gli immancabili castelli in regioni imprecisate dell’Europa “dell’Est” – come ancora oggi si sente dire … Perseguitati prima dai nazisti, poi dai comunisti, gli Schwarzenberg lasciarono la Cecoslovacchia nel 1948, quando aveva undici anni. Con la famiglia si stabilì a Vienna. Nel 1968, un anno iconico per l’Europa e il mondo, fece il suo primo viaggio nell’allora Cecoslovacchia. Oltre alle attività di forestale e locandiere, come si definiva scherzando, Karel Schwarzenberg sostenne sin dalla gioventù l’opposizione anticomunista in Cecoslovacchia. Durante l’esilio aiutò gli immigrati in difficoltà e iniziò anche a ospitare una crescente cerchia di intellettuali dissidenti. Nel 1984 divenne presidente del Comitato internazionale di Helsinki per i diritti umani e co-fondò anche centro incaricato di raccogliere e distribuire la letteratura vietata dal regime comunista. In questa sede, batté per il rispetto dei diritti umani.
Fu attraverso la fondazione che Schwarzenberg divenne amico di Havel. Dopo la Rivoluzione di Velluto riottenne tra il castello di Orlík, confiscato dai comunisti, dove aveva vissuto da bambino e dove ora è sepolto. Dopo il crollo del regime, fu per breve tempo a capo dell’ufficio presidenziale di Havel, del quale fu un consigliere. Il drammaturgo si avvalse dei consigli di Schwarzenberg soprattutto per la riconciliazione tedesco-ceca. Una dichiarazione in questo senso venne firmata dall’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl e dall’allora capo del governo ceco Václav Klaus nel 1997. La dichiarazione viaggiava sui binari della storia di Schwarzenberg, nato nel 1937, un anno prima degli eventi di Monaco. Con il documento la Germania si rammaricava dei crimini nel Protettorato. Di converso, Praga si rammaricava delle espulsioni tedeschi dei Sudeti dopo la Guerra. Nei primi anni Duemila Schwarzenberg partecipò attivamente alla vita pubblica e culturale ceca, diventando proprietario del settimanale Respekt.
Fu soprattutto il numero uno di Palazzo Černín – sede del ministero degli Esteri (che tra l’altro dista di pochissimi passi da Palazzo Schwarzenberg) – per due volte, dal 2007 al 2009 e dal 2010 al 2013. Chissà com’era negli eventi ufficiali, con i suoi omologhi degli altri paesi: non me lo immagino altri rispetto ad un vecchio signore con uno spiccato senso dell’umorismo. Come tutte le persone intelligenti era autoironico. È importante sorridere, anche in politica – un altro punto in comune con Havel. Sono sempre di meno gli uomini come Karel Schwarzenberg, che hanno attraversato il Novecento e che ne fanno pienamente parte. Aveva capito che quel liberalismo dei diritti umani, della libertà personale ed economica non è obsoleto. Era autentico nella sua nobiltà. E l’ultima cosa che gli interessava erano i soldi. Le posizioni che prendeva non erano per prospettive di denaro.
Naturalmente, non era un santo, ma non lo era neppure Havel lo era! Fu facile attaccarlo sul suo patrimonio – complice l’astio che alcuni politici, incluso il suo sfidante alle Presidenziali del 2013 Miloš Zeman, hanno coltivato in maniera populista per ottenere facile consenso – e anche sulla sua apertura nei confronti dei migranti – un tema che si ripropone ciclicamente anche in Repubblica Ceca. È abbastanza banale prendersela con qualcuno per il suo passaporto. E ancora di più per lo status sociale. Un metodo volgare delegittimazione dell’avversario, attuata per non parlare dei problemi dei cittadini. Schwarzenberg visse in esilio; sapeva cosa vuol dire essere cacciati per il censo o status. Ma d’altra parte, quale posto migliore, se non Vienna, a cavallo tra i mondi della Guerra Fredda? Forse l’esilio faceva parte del personaggio – stessa cosa si può dire di Havel, che l’esilio dalla società cecoslovacca del tempo lo fece in galera.
Mi sono chiesto come un uomo del genere si trovasse con Havel, che veniva da ambienti diversi. Ma i due seppero trovare gli elementi che li univano, anzitutto il desiderio di una libertà responsabile e un patriottismo da estendere a livello comunitario europeo. Nel segno di Havel, Karel Schwarzenberg ha contribuito alla positiva reputazione della Repubblica Ceca nel mondo. Nel 2022 condannò l’invasione russa dell’Ucraina. Sapeva bene cosa volesse dire fare concessioni ai dittatori. Dopo il discorso di Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2011, da ministro degli Esteri, disse che con le sue parole lo zar aveva «confermato quello che già sapevamo: quanto fosse necessario per noi entrare nella Nato». La Repubblica Ceca ci entrò nel 1999. Quanto era vero. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il Principe ordinò di colorare le alte pareti del suo Palais Schwarzenberg a Vienna di giallo e di blu.