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Intervista al fondatore Sandro Ferri. Le edizioni e/o celebrano i cento anni di Bohumil Hrabal con una riedizione di tutte le sue opere

Non c’erano i contatti di oggi. Non c’erano low cost, librerie on line, monete uniche, traduttori solerti e devastante turismo di massa. C’erano solo, per chi voleva davvero passare il “limes sovieticus“, unica consolazione, giganteschi boccali di birra ceca, da bere magari nelle fumose birrerie “Alla Tigre d’oro” o “Allo Struzzo”. La Praga dei primi anni Ottanta era una cadente, scettica ma pur sempre attiva frontiera del sonnolento comunismo brežneviano.

Una città di spettri e di urla silenziose che poteva, a tratti, evocare ancora i fantasmi del Golem e le descrizioni di Leo Perutz, cuore pulsante della Mitteleuropa a cui il valium somministrato dal presidente Gustáv Husák (e dalla minaccia dei carri armati russi) aveva davvero tolto l’anima.

Pochi i coraggiosi, gli appassionati che decidevano di arrivare fin qui. Per immergersi nella cultura ceca dal di dentro, capire meglio la città “magica” e i nomi ancora un po’ misteriosi: Egon Bondy, Jaroslav Seifert, Jiří Kolář, persino Karel Teige, Egon Erwin Kisch…

Uno di questi arditi pionieri fu il romano Sandro Ferri, fondatore nel ‘79, insieme alla moglie Sandra Ozzola, delle celebrate Edizioni e/o.

Oggi, le E/o (l’acronimo sta proprio per “Europa Orientale”) sono diventate marchio editoriale di successo, che pubblica fra gli altri Jean Claude Izzo, Massimo Carlotto, la best seller Muriel Barbery. Insomma, spazia un po’ in tutto il mondo dei grandi scrittori. Ma allora, 40 anni fa, era solo una casa editrice pioneristica, mirata alla scoperta degli autori dell’Est, cechi in particolare: “Nacque tutto un po’ per caso – spiega adesso Ferri. – Avevamo una libreria nel cuore di Roma, si chiamava “la Vecchia Talpa”, punto di riferimento di molti intellettuali di sinistra. C’era una certa aria di apertura, voglia di capire quello che si respirava al di là del muro. Si sapeva poco della dissidenza, poco anche della vita sociale e culturale di questi paesi. Ma noi avevamo molta fame di sapere, pur lavorando in un terreno inesplorato. I testi di riferimento erano pochi, come pochi erano allora gli studiosi, quelli che oggi si chiamano boemisti e slavisti. Volevamo fortemente riempire questo buco nero culturale – continua Ferri. – Unico nome che brillasse di luce propria, nel campo della boemistica, era Angelo Maria Ripellino, aiutato da sua moglie. Ripellino aveva aperto la strada, noi proseguimmo su quella strada, che era ancora un viottolo, per restare nella metafora. Proprio Ripellino ci segnalò un espatriato ceco che viveva a Parigi, si chiamava Milan Kundera: forse, era l’uomo giusto per il nostro progetto.

Proprio nel ‘79, Kundera aveva pubblicato in alcune riviste francesi una serie di articoli sul valore della cultura mitteleuropea nell’Europa dei popoli, articoli che fecero molto parlare. Incuriositi, lo rintracciammo e decidemmo di aprire le pubblicazioni della nuova casa editrice con una “Collana Praghese”, che avrebbe diretto proprio lui, Milan Kundera”.

- Pionieri due volte, allora: nella scelta della collana e del curatore.

“Direi anche nella grafica. Spinti da Milan, recuperammo dei vecchi quaderni in voga a Praga negli anni ‘30. Da qui, venne fuori quello “stile e/o” che ci rese subito riconoscibili, nelle copertine e nella foggia dei nostri testi. Merito in gran parte del grafico, che era Sergio Vezzali. Vezzali era un vero creativo: prese i quaderni che avevamo trovato a Praga e ne valorizzò i disegni. Per le copertine di “Treni strettamente sorvegliati”, per dire, usò delle rotelline di pasta, fotografate e poi rimpicciolite. Dovevamo dare ai nostri lettori anche il gusto retro di quella Praga un po’ ceca, un po’ ebraica, un po’ tedesca…”

- Che consigli vi diede, Kundera?

“Aveva le idee chiare. Puntò subito su Hrabal, cui aggiunse Nezval, Brod, insomma i protagonisti del “circolo di Praga”. Kundera aveva capito che si poteva lavorare sulla letteratura del dissenso, senza dimenticare i grandi della repubblica cecoslovacca di Beneš, i grandi scrittori degli anni Trenta… Un forziere mai aperto, ricco di tante opere preziose”.

- Fu lui che vi mise in contatto con Hrabal?

“Sì, fu proprio Kundera. Sarà stato il 1980, o l’81. Arrivammo in una Praga spettrale. L’appuntamento era stato fissato in una birreria, dove Hrabal teneva la sua corte di seguaci e compagni di bevuta. Forse era “Alla Tigre d’oro” o forse a “U Hinků”. In un silenzio imbarazzante, ci fece stare in piedi una decina di minuti, squadrandoci dall’alto in basso. Poi, forse rassicurato e convinto chissà da cosa, ci permise di sedere. Un approccio un po’ brusco, ma devo dire fortunato. Arrivò l’oste, che era un gigante moravo, ci servirono delle birre ghiacciate mentre i commensali tiravano fuori dalle borse salumi e formaggi. L’ideale per conoscerci, sdrammatizzare”.

- Un approccio… come dire, un po’ bohemien…

“Ma Hrabal mantenne sempre un margine di imprevedibilità. Anche da scrittore affermato e conosciuto all’Ovest. Ricordo che nel suo primo tour italiano lo accompagnò una delle sue traduttrici, Susanna Roth”. Conobbe Federico Fellini, Giorgio Pressburger, Giovanni Giudici, molti intellettuali nostrani. Sembrava soddisfatto ma non era mai del tutto “gestibile”… Al Salone del Libro di Torino, poi, si rifiutò di scendere fra il pubblico e rimase per due ore chiuso in macchina…”

- Il suo editore ceco era la Odeon. Come avviaste i contatti?

“Hrabal, come molti altri scrittori del periodo, aveva due tipi di pubblicazioni. Quelle accettate dal regime, che trovavi in libreria – anche se ogni tanto il regime lo “puniva” lo stesso per la sua indipendenza, interrompendone la pubblicazione – e quelle che circolavano con i samizdat. Erano testi differenti, e noi lavorammo soprattutto con quelle edizioni “semiclandestine”.

- Tutte le opere di Hrabal traboccano di ironia contro il potere costituito. Che posizione aveva verso il governo comunista?

“Si considerava ancora un uomo di sinistra, come del resto molti intellettuali cechi del periodo dei Settanta e Ottanta. Ma non si deve confondere la sua posizione con quella di gente come Havel, Pelikán o dello stesso Kundera. Hrabal aveva già pagato di persona, ma non era un expat. Ora preferiva una posizione più di nicchia, non aperta contestazione, ma critica fra le righe”.

- Quando vi accorgeste del successo della “Collana Praghese”?

“Le vendite all’inizio furono lente, però abbiamo avuto il merito di crederci, di essere costanti. Dopo “Ho servito il re d’Inghilterra” vennero “Treni strettamente sorvegliati”, “La tonsura”, “Un tenero barbaro”. Quando poi “Treni” divenne anche un film, ci accorgemmo che avevamo visto giusto, che il messaggio era passato anche fra il pubblico italiano”.

- Per gli autori dell’Europa orientale si è passati da una letteratura per così dire “di nicchia” al quasi affollamento di titoli che avviene oggi. Da cosa dipende?

“Forse questo vuol dire che avevamo visto giusto (ride…). Nel senso che la letteratura di quei paesi (non solo Repubblica Ceca, ma anche Polonia o Ungheria ecc.), aveva in sé gli alimenti per nutrire il pubblico italiano, per affezionarlo. Naturalmente non si può dimenticare il lavoro fatto dalla Adelphi, da Roberto Calasso e Bobi Bazlen, ma anche noi abbiamo dato il nostro direi non piccolo contributo”.

- Oggi e/o è un editore medio-grande, affermato, grandi autori e grande distribuzione. Fra tanti successi, nel 2005 è nata anche la vostra emanazione americana, la “New York editions”. Eppure, gli autori cechi che pubblicate sono sempre i “soliti” classici. Sfiducia nei giovani?

“Non direi. Posso dire tranquillamente che fra Hrabal, Brod, lo stesso Kundera e magari Viewegh, Petra Hůlová e altri scrittori recenti c’è una certa, sostanziale differenza. Penso che dovremo affrontare un periodo di transizione, altri temi, altri personaggi, altra Storia, per ritrovare i grandi nomi di trent’anni fa. Nessun passatismo, cerco di essere realista”.

di Ernesto Massimetti