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La Repubblica Ceca, ora alla guida del V4, affronta le difficoltà sul fronte della crisi dei migranti e del Nord Stream II
Il Gruppo di Visegrad si accinge nel 2016 a festeggiare i suoi 25 anni dalla fondazione

La presidenza di turno del Gruppo di Visegrad – iniziata lo scorso luglio, per concludersi a metà 2016 – si sta rivelando per la Repubblica Ceca piena di ostacoli e di possibili trappole sia sul fronte europeo, che nell’ambito dei rapporti di partenariato fra i Quattro: Praga (appunto), Bratislava, Budapest e Varsavia.

Da un lato la crisi dei rifugiati, su cui Visegrad si è mostrata compatta ma con gradi diversi di ostracismo, dall’altro la questione energetica su cui, invece, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria non hanno più una posizione comune, in particolare sugli sviluppi del Nord Stream su cui Praga resta stretta in mezzo agli interessi di buon vicinato con Berlino e con i partner del V4.

Ricordiamo che il Gruppo è nato il 15 febbraio del 1991, durante un vertice dei capi di Stato e di governo di Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia. Il sodalizio si è trasformato a quattro il primo gennaio del 1993, con la nascita di Repubblica Ceca e Slovacchia.

Il nome dell’alleanza deriva da un episodio simbolico nella storia medievale della mitteleuropa: un incontro dei sovrani Carlo I d’Ungheria, Casimiro III di Polonia e Giovanni I di Boemia svoltosi nel 1335 nella città ungherese di Visegrad. Carlo I d’Ungheria e il re boemo Giovanni I concordarono nella necessità di creare nuove vie commerciali che evitassero il centro di Vienna e di ottenere accessi più veloci ai diversi mercati europei.

Nel 2016 il V4 celebrerà il 25esimo anniversario della fondazione; la presidenza ceca deve fare i conti con una mappa geo-politica molto diversa da quando il Gruppo venne creato, ad iniziare dal fatto che allora l’esigenza maggiore era quella di collaborare nella strada verso l’adesione all’Ue, mentre ora tutti e quattro gli stati sono membri dell’Unione.

Ma in sostanza, di cosa è chiamata a occuparsi Praga sino al 30 giugno del 2016? Prima di tutto deve cercare di coordinare la posizione di Visegrad nei confronti della Ue. Questione non facile, visto che ultimamente, soprattutto sul fronte migranti, Budapest e Bratislava hanno apertamente rotto con Bruxelles e col suo piano di redistribuzione del rifugiati.

Infine, sullo stesso tema e non meno importante, la lettera firmata da tutti i V4 in cui si avverte l’Unione Europea da qualsiasi “tentativo, evidente o nascosto, di limitare la libertà di movimento” attraverso una mini-Schengen, idea paventata dall’Olanda, prossimo presidente di turno dell’Ue.

Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia “discuteranno con gli altri stati membri e cercheranno di convincerli a lasciare in vita l’idea di Schengen senza farla sbriciolare in una mini-Schengen, garantendo il funzionamento dei confini esterni”, ha spiegato il premier ceco Bohuslav Sobotka.

Posizione condivisibile e condivisa da molti nell’Ue, ma Praga sta affrontando nel Gruppo di Visegrad i malumori, assolutamente non celati, verso il sistema solidaristico di quote di rifugiati. Se da un lato la Polonia non intende accogliere un numero elevato di migranti, dall’altro Budapest ha chiuso totalmente i suoi confini anche al transito dei migranti diretti verso il nord Europa, provocando a cascata un’emergenza migratoria in tutti i Balcani occidentali.

Il Nord Stream II e il tema della energia

Sul piatto anche un’altra questione, forse ancora più difficile da sbrogliare, soprattutto perché in questo caso Praga si trova in una posizione scomoda proprio nei confronti del V4: l’energia. “La priorità della presidenza ceca è la realizzazione del progetto Energy Union” e poi “la cooperazione con Paesi terzi e il mercato interno del gas”, si legge sulla pagina della presidenza che sottolinea l’importanza di collaborare con Germania e Austria sul fronte della rete comune per l’energia elettrica. Il tasto dolente è, però, la strategia per l’indipendenza energetica sul fronte del gas, in particolare per quanto riguarda il Nord Stream II.

Una lettera, firmata da Baltici, Ungheria, Polonia e Slovacchia, ha definito il progetto contrario agli interessi comuni, perché “i Paesi di transito in Europa orientale, con sistemi di connessione con l’Ucraina, perderebbero il loro attuale posizionamento” e ci sarebbe il “rischio di un deterioramento delle infrastrutture” in Ungheria, Romania, Slovacchia e Ucraina perché il Nord Stream II bypasserebbe le loro condutture. Infine, hanno sostenuto i firmatari, il progetto “contribuirebbe a minare la sicurezza degli approvvigionamenti” che dipenderebbero “praticamente per intero dalle importazioni di gas russo” in entrata dalla Germania.

La rottura su questo punto si è concretizzata a inizio dicembre con la decisione di Praga di non firmare la lettera promossa dal ministero dell’Economia slovacco. Bratislava, infatti, sarebbe la più colpita dalla creazione di un gasdotto come il Nord Stream II. Secondo il ministro dell’Economia slovacco Vazil Hudák la perdita per il governo sarebbe di circa 400 milioni di euro all’anno per il transito. Il danno per l’Ucraina sarebbe ancora peggiore, stimabile in circa due miliardi di euro all’anno. E anche la Polonia vuole fortemente bloccare il progetto di Gazprom e E.On. Secondo il presidente conservatore polacco Andrzej Duda la costruzione del gasdotto che dovrebbe collegare Russia e Germania passando sotto il Mar Baltico, “deve essere fermata” e “faremo tutto quel che è possibile per fermarlo” perché “ogni persona che abbia una vaga idea della situazione geopolitica, sa bene che non si tratta solo di business, ha anche una considerevole importanza politica”. Duda e la destra polacca temono, più di tutto, che il presidente russo Vladimir Putin riconquisti con il progetto energetico, quella fiducia dei leader occidentali messa a dura prova dalla crisi ucraina.

Il ministro dell’Industria e del commercio ceco Jan Mládek ha commentato la decisione di non controfirmare la lettera dei partner destinata alla Commissione europea spiegando che il Nord Stream II potrebbe portare dei benefici al paese. “Riteniamo che potrebbe portare a un’espansione anche per altri gasdotti come l’Opal e il Gazela perché i tedeschi hanno bisogno di condutture di transito non soltanto verso i Baltici ma anche verso la Baviera dove si sviluppa il maggior consumo. E la linea di transito attraversa la Repubblica Ceca”.

Alla ricerca di un difficile compromesso

Praga sta cercando di compiacere il suo principale partner commerciale, la Germania appunto, senza, però, sbattere la porta in faccia agli alleati del V4. La dichiarazione di compromesso fatta da Mládek pochi giorni dopo esemplifica quanto dovrà lavorare di diplomazia Praga nei prossimi mesi: “Sosteniamo senza dubbio il transito del gas attraverso l’Ucraina e la Slovacchia e comprendiamo le preoccupazioni di questi Paesi se il transito si fermasse – ha dichiarato. – E la cosa non aiuterebbe neanche la Repubblica Ceca perché preferiamo avere due rotte di accesso al gas russo” e “mantenerle entrambe”. Nello stesso tempo, ha ammesso il ministro “è difficile per noi essere contrati totalmente al Nord Stream II perché aumenta la sicurezza dei nostri approvvigionamenti”.

Un capitolo a questo tema l’ha aggiunto il presidente del Consiglio Europeo ed ex premier polacco, Donald Tusk, a cui, però, non spetta l’ultima parola sulla fattibilità o meno del gasdotto. Parlando a conclusione del summit dei capi di stato e di governo Ue, Tusk ha dichiarato che il Nord Stream II mina la strategia di diversificazione delle fonti energetiche dell’unione e le regole sulle rotte di transito, come quella in Ucraina. L’ultima parola sul progetto di Gazprom per l’ampliamento del gasdotto che porta gas dalla Russia alla Germania passando sotto il Mar Baltico e saltando l’Ucraina, spetta però alla Commissione europea.

È sullo sfondo di questo difficile contesto diplomatico ed energetico che il Gruppo di Visegrad ha appena condotto in Ungheria le esercitazioni militari denominate Balaton 2015. Fra gli obiettivi anche quello di verificare la coordinazione delle forze armate dei Paesi dell’est Europa, per una migliore sorveglianza dei confini di Schengen in seguito all’emergenza profughi.

di Daniela Mogavero