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le identità nazionali non sono e non devono essere un fattore di disgregazione, né la loro essenza o – come nel caso dell’italia – la loro riscoperta, vanno considerate come alternative o contrarie all’idea di europa unita

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Ancora una volta l’attualità ci fornisce l’occasione di riflettere sul processo di integrazione europea e sul suo significato nel contesto odierno, per i singoli Stati europei come sul piano internazionale. Come sempre l’analisi del fenomeno non può che essere deformata dall’occhio dell’osservatore. In questo caso il punto di vista è quello di un cittadino italiano che lavora in Repubblica Ceca, condizione che accomuna molti lettori di Progetto Repubblica Ceca. Lo spunto è dato dalla ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, celebrato anche in Repubblica Ceca con una serie di cerimonie e avvenimenti culturali e con la prossima visita del Presidente Napolitano. La riflessione, per un appassionato della causa e delle questioni europee, non può che essere sul rapporto fra identità nazionali e processo di integrazione, oltre che al parallelismo, quasi automatico, con la diversa situazione del paese che ci ospita, assurto negli ultimi anni a simbolo delle diffidenze nazionali all’integrazione.
La premessa è quella che le identità nazionali non sono e non devono essere un fattore di disgregazione, né la loro essenza o – come nel caso dell’Italia – la loro riscoperta, vanno considerate come alternative o contrarie all’idea di Europa unita. La nascita stessa della Comunità europea trae origine dalle profonde divisioni fra gli Stati e dall’urgenza di evitare il ripetersi di conflitti continentali, la storia della sua evoluzione ha sempre risposto a istanze di composizione di interessi diversi e di accoglimento delle differenze economiche, sociali, linguistiche e culturali. Non torniamo in questa sede sul meccanismo attuale del processo di integrazione – già affrontato su questa rivista in “La diffidenza dei cechi verso l’Europa. Un bluff o un problema di integrazione?” – se non per ricordare come questo è concepito per permettere livelli e velocità differenti per i singoli Stati, con strumenti come la cooperazione rafforzata. Si ricordi anche che l’intero percorso di creazione dell’Unione europea è sempre stato ispirato da principi, come quello di sussidiarietà, per i quali l’integrazione deriva sempre da una limitazione di sovranità e una cessione di competenze dagli Stati alle istituzioni europee e non è mai imposta dall’esterno.
Tutto ciò premesso si possono fare tre considerazioni, valide sia per Stati con una storia e una vocazione europea consolidata come l’Italia, sia per Paesi come la Repubblica Ceca, di recente adesione e con atteggiamenti più critici, anche per motivi di orgoglio nazionale.
La prima è che l’Europa unita risponde ad una serie di esigenze concrete, quando non di drammatiche urgenze. Lo dimostra il bisogno di una risposta unitaria agli effetti della crisi economica mondiale, in particolar modo quelli sulla società e i cittadini. Lo certificano ancora di più i fatti di questi giorni nei paesi del Mediterraneo. Anche ai confini dell’Unione la stabilità non è più una garanzia e la risposta non può essere efficace se non è unitaria. La lezione dei Balcani è chiara: l’instabilità ai confini crea problemi non affrontabili dagli Stati singolarmente.
La seconda considerazione è che l’UE rappresenta per gli Stati e per i cittadini una serie irripetibile di opportunità da cogliere. Si pensi allo sviluppo: paesi di nuova adesione come la Repubblica Ceca beneficiano di risorse fondamentali per la loro crescita in termini di economici, sociali, infrastrutturali, di competitività. I numeri aiutano a capire: per il periodo 2007-2013 stanziati 26,7 miliardi di € dal bilancio UE, di cui 10 per l’ambiente, 7.7 per il trasporto, 5 per R&S e innovazione, 1.5 per il sostegno alle imprese, in particolare alle PMI. Mentre nei primi due anni di adesione i 2.6 miliardi investiti hanno portato oltre 30.000 nuovi posti di lavoro, 370 Km di nuove infrastrutture e il sostegno a 3.000 PMI. Certamente l’Italia come altri Stati ha meno risorse a disposizione, ma si tratta comunque di 28.8 miliardi fino al 2013, per finanziare ricerca e innovazione (9.6 miliardi), infrastrutture di trasporto (4.1 miliardi) , imprese, (2.7 miliardi), ICT (1.6 miliardi).
È altresì vero che l’effettiva utilità delle risorse dipende dalla capacità di spesa dei governi e questo ci porta ad un’ulteriore considerazione. Essere in Europa comporta anche vincoli e obblighi per gli Stati, non c’è dubbio. Abbiamo esempi virtuosi, come quello della Spagna, di come capitalizzare al meglio le risorse provenienti da Bruxelles, e altri, come quello dell’Italia, di scarsa capacità di utilizzare tali risorse. Tale differenza rappresenta la sfida per la Repubblica Ceca: il successo della sua integrazione dipende dalla accelerazione che Praga saprà dare all’utilizzo dei fondi strutturali e dalla capacità di recepire le regole e di adeguarsi ai vincoli imposti dal’Ue. Un solo esempio: il recepimento delle normative in materia di protezione dei consumatori comporterà sicuramente dei vincoli e dei costi, ma darà ai prodotti cechi un livello qualitativo e una competitività sui mercati difficilmente ottenibile in altri modi.
Infine, per tornare al rapporto fra identità nazionali e vocazione europea, fondamentale è la lezione della storia. Praga, il cimitero militare italiano di Milovice, lo Spielberg, solo per citarne alcuni, sono luoghi che testimoniano come il contributo delle nazioni – anche dell’Italia – alla storia d’Europa sia stato doloroso ma fondamentale per raggiungere la pace e la stabilità di oggi.

Di Luca Pandolfi