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L’epopea del grande fondista ceco rievocata in un libro del giornalista Rai Marco Franzelli

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Tre olimpiadi, innumerevoli medaglie, un grande amore e un sogno. Una donna, Dana, anche lei atleta, nata lo stesso giorno, lo stesso mese e lo stesso anno. Un amore nato sulle piste, che lo ha accompagnato fedelmente per tutta la vita: è stato, in fondo, un uomo fortunato, Emil Zátopek da Kopřivnice. A dieci anni dalla morte, la storia e l’epopea del corridore Emil Zátopek, la “locomotiva umana”, “l’uomo ghepardo”, l’atleta-operaio che lavorava in uno stabilimento di scarpe Baťa a Zlín, continua a coinvolgere generazioni di sportivi.
Zátopek era, e rimarrà per sempre, l’uomo delle tre vittorie consecutive nelle Olimpiadi di Londra ’48, Helsinky ’52, Melbourne ’56; dei successi strabilianti e dei record personali sui cinquemila, diecimila metri e sulla maratona nelle Olimpiadi di Helsinky del ’52. Lo sportivo-autodidatta dagli allenamenti massacranti al freddo e nei boschi, dalla tecnica vagamente naive ma dalla determinazione assoluta. Fatto, questo, che gli permise un primato quasi decennale nell’atletica degli anni Cinquanta. I rivali, uomini sfortunati anche se atleti possenti, erano il finlandese Heino, l’americano Wooderson, il belga Reiff e il tedesco Schade.
Zátopek era lo sportivo, scrisse Gianni Brera “che ci ha insegnato come le risorse dell’uomo siano infinite, e sia possibile ottenere ogni meta a patto che si sappia lottare e soffrire per raggiungerla…”.
È un fatto: dopo gli umili inizi da operaio alla Baťa, issato agli onori delle cronache sportive dalla lista di lunghissime vittorie, Zátopek era diventato ben presto l’ambasciatore dei primati della repubblica popolare di Klement Gottwald. L’icona (consapevole o ingenua?) dell’eccellenza comunista durante quasi tutta la Guerra Fredda. Percorse infatti una veloce carriera nell’esercito , raggiungendo i gradi di colonnello, girò gli stadi e le piste di atletica dell’intera Europa, firmò migliaia di autografi e si aggiudicò centinaia di copertine, tutte meritate, sui giornali. Una vera e propria star, nei media di allora. Eppure, dietro i trionfi, le prime pagine, i film e gli applausi, Emil riuscì sempre a mantenere una dimensione umana nella vicenda di sportivo dall’apparenza “invincibile”. Come dimostra l’amicizia-competizione con il francese Mimoun, l’eterno secondo, soprannominato “il fantasma d’argento”, l’uomo che gli fu vicino al momento del declino sportivo, nel 1958, e del ritiro dalle piste dopo ben diciassette anni di attività. Un primato anche questo, per l’uomo dei record.
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Come ben spiega l’agile volume del giornalista Rai Marco Franzelli, (“Zátopek la locomotiva umana”, Biancoenero edizioni, 160 pagine, 14 euro), Emil aveva imparato a vincere senza dimenticare quello che in fondo era, e quello che intendeva rimanere: un patriota ma pur sempre protagonista delle scelte decisive della sua vita rutilante.
Ormai diventato una gloria nazionale, direttore delle attività sportive al Ministero della Difesa, non esitò infatti a schierarsi a favore della Primavera praghese del ’68, firmando il celebre manifesto delle “Duemila parole”. Nessuna stranezza, per chi lo conosceva davvero: era sempre stato abituato a pagare di persona, Emil Zátopek, e seppe sopportare con dignità il costo pesantissimo della sua scelta politica. Espulso dall’esercito e dal partito , disoccupato e poi minatore nelle miniere di uranio di Jáchymov, al confine con la Germania: “Tramite la sua vita – prosegue ancora Franzelli – ho voluto riproporre ai più giovani i fasti di un grande sportivo, ma anche ripassare un cinquantennio di storia europea: il momento storico che va dal Dopoguerra alla caduta del Muro di Berlino”.
La riabilitazione dell’eroe in scarpe da ginnastica avverrà solo con la caduta dei regimi comunisti: dal ’90 al ’2000, decennio in cui Zátopek torna ad essere ambasciatore dello sport negli stadi di tutto il mondo. L’oblìo, però, quello che di solito tocca ai famosi, per Zátopek non è mai arrivato neppure dopo la morte. Grazie ai suoi stupefacenti successi, alla sua quasi sovrumana resistenza allo sforzo, alle sue brucianti accelerazioni, il fondista moravo è rimasto ancora oggi un’icona incancellabile dello sport. Non solo a Praga, ma in tutta l’Europa: “Esiste ancora oggi un “prima di Zátopek” e un “dopo Zátopek” – puntualizza Franzelli. – Si può dire tranquillamente che il corridore moravo ha cambiato lo stile dell’atletica, modernizzandolo, apportando innovazioni prima impensabili. Una fra tutte, le famose “ripetute”, accelerazioni del ritmo della corsa che lo resero invincibile”.
L’altro elemento che, però, rimarrà inciso nella memoria di tutti è la maschera, meglio, la smorfia di sofferenza che Emil disegnava sul suo volto, durante le gare durissime che affrontava. Una smorfia a tratti sgradevole, uno stile di corsa in apparenza scoordinato, una falcata poco elegante: tutti elementi veri, che però non impedirono a decine di campioni di inchinarsi alla sua supremazia. Perché sulla pista soffriva, penava, piangeva talvolta. Ma sapeva vincere come nessuno, Emil Zátopek la locomotiva.

di Ernesto Massimetti