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Mentre i turisti sono attirati da luci e bancarelle, nelle case ceche rivivono le antiche superstizioni popolari
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Il Natale a Praga non è magico solo per l’atmosfera di luci e profumi che si respira dai mercatini che invadono la città ma per tutta una serie di tradizioni secolari che evocano forze magiche per pronosticare il futuro.

Un tempo i festeggiamenti iniziavano con l’avvento, quando varie figure “erranti” portavano regali ai bambini e allegre processioni in paese. Santa Barbara oggi non distribuisce cestini di mele e noci ma resta viva l’usanza di tagliare rametti di ciliegio, le Barborky, per il loro potere magico. Ai giorni trascorsi dal taglio alla fioritura corrispondevano i mesi di felicità destinati al proprietario. Secondo altre versioni ogni ragazza tagliava più rametti e dava a ognuno il nome dei ragazzi che le piacevano. Si sarebbe fidanzata con quello il cui rametto fioriva prima e le nozze erano imminenti se alla Vigilia era ancora fiorito. Il santo tuttora preferito e festeggiato ovunque è San Nicola che nella notte fra il 5 e il 6 dicembre, accompagnato da angeli e diavoli, anticipa la venuta di Gesù Bambino. Santa Lucia, che oggi è un giorno qualunque, in passato era molto importante perché proteggeva da maghi e stregonerie.

Dopo Santa Lucia ci si dedicava ai preparativi per Natale, la festa più importante dell’anno. In epoca precristiana la gente, devota al sole, festeggiava il solstizio d’inverno poiché le notti si accorciavano e le forze del male retrocedevano cacciate dalla luce. Al ritorno del sole si legava la speranza di un buon raccolto ed esistevano atti magici per garantire prosperità alla terra e alle famiglie. I contadini immergevano dodici semi di mela in una terrina piena d’acqua. Quanti salivano in superficie, tanti sarebbero stati i mesi secchi nel nuovo anno. Usanza analoga con le cipolle: dodici strati, disposti in fila con sopra un po’ di sale, rappresentavano i mesi. A quelli su cui la mattina il sale era sciolto corrispondevano i mesi piovosi, se s’inumidivano soltanto ci si aspettava mesi normali e se non succedeva niente siccità. Elemento fondamentale per garantire fecondità era la paglia: si stendeva sotto le galline, si avvolgevano gli alberi e si bruciava sui campi di grano. Oggetti in paglia o semplici spighe intrecciate con nastri e prodotti della terra si appendevano nelle case.

La Vigilia era il giorno più importante: regnava il silenzio, non si dovevano fare lavori né buttare i rifiuti per non far uscire con essi anche la felicità. Interrompere la pace con visite era mancanza di tatto. Alcuni giorni prima le donne rimettevano tutto in ordine. La mattina del 24 erano occupate a preparare la cena, poi intrattenevano i figli mentre i mariti addobbavano l’albero. I regali si impacchettavano all’apparire della prima stella per ricordare la stella di Betlemme che annunciò la nascita di Gesù. La prima stella indicava anche la fine del digiuno e, accesa una candela, ci si sedeva a tavola. Si digiunava dal mattino per vedere il “maialino d’oro” poiché scorgerne l’ombra che corre lungo la parete garantisce abbondanza e un buon raccolto per l’anno a venire.

La tavola aveva una sua simbologia. Sui quattro angoli si ponevano il pane perché la famiglia avesse sempre di che mangiare, vari prodotti di campo per un buon raccolto, soldi per il benessere e una ciotola con il cibo per bestiame e galline. Circondare le gambe del tavolo con una catena o una corda proteggeva il gregge dai lupi e la proprietà dai ladri e manteneva unita la famiglia stessa. Se i commensali erano dispari si apparecchiava per un ospite in più. Secondo superstizioni popolari la morte andava di casa in casa e dove notava un tavolo dispari sarebbe tornata a prendere qualcuno durante l’anno.

Lo stesso menù aveva un suo simbolismo. Dapprima si servivano i piselli che univano gli ospiti nel bene e nel male, poi le minestre che donavano forza, le lenticchie per i soldi, piatti di carne o pesce per gioia e tranquillità. Le squame si nascondono sotto il piatto per portare ricchezza alla casa, ognuno le conserva poi nel portafoglio perché il benessere duri tutto l’anno. La carpa fritta oggi è una pietanza tipica ma si tratta di una tradizione recente che un tempo potevano permettersi solo i ricchi borghesi e si estese alle campagne solo nel XX secolo. I resti della cena si dividevano fra il bestiame, gli alberi in giardino perché dessero tanti frutti e il pozzo perché fornisse acqua pura. Il numero e la varietà di cibi mutavano a seconda delle regioni ma non mancava mai la vánočka, pane dolce con uvetta e mandorle a forma di treccia. E non bisogna dimenticare che porta sfortuna alzarsi da tavola prima che tutti abbiano finito di mangiare!

Finita la cena arrivava il momento più atteso dai bambini. Il padrone di casa portava l’albero adorno di mele e prugne secche, dolciumi, zollette avvolte in cartine colorate, noci e catenelle. La famiglia si riuniva per scartare i regali portati da Gesù Bambino, figura dall’aspetto misterioso ben radicata nella tradizione ceca, sebbene debba combattere la concorrenza di Santa Claus. Si accendevano le candeline e si cantavano le melodie natalizie attorno all’albero, usanza che si ripeteva ogni sera fino all’Epifania. Un tempo i bambini, secondo una tradizione medievale e perlopiù paesana, intonavano i canti natalizi di casa in casa augurando buone feste in cambio di dolciumi.

Parte integrante della sera della Vigilia di Natale sono le magie natalizie da cui si attendono presagi di buona sorte.

Il rito più noto è tagliare la mela di traverso. Se i semi al centro formano una stella a cinque punte si può essere soddisfatti, significa fortuna e salute. Trovare una croce è di cattivo auspicio. Lo stesso si legge dalle noci: un interno scuro predice sfortuna e tristezza, uno sano gioia, salute e fortuna. Interessante pure l’usanza delle sette tazzine; sotto ognuna si inserisce un simbolo: soldi come segno di ricchezza, carbone per le malattie, un anello per le nozze, un pettine mette in guardia dai difetti, un vestito indica un viaggio, un ciuccio l’arrivo di un figlio e il pane fortuna. Si mescolano le tazze e ad occhi chiusi si sceglie una. O ancora si preparavano bigliettini con parole perlopiù positive quali felicità, salute, ricchezza e, messe in un recipiente, i commensali sorteggiavano per sapere cosa li aspettava.

La tradizione più tipica e che tuttora affascina grandi e piccini è quella delle noci, i cui gusci vuoti con una candelina al centro diventano barchette. Ognuno mette la sua noce in un recipiente pieno d’acqua e ne interpreta il tragitto, metafora del suo percorso di vita. Una fiamma accesa a lungo rappresenta una vita lunga e felice, una spenta tradimenti o malattie. Se la noce resta sul bordo la persona resterà a casa, se si accentra si allontanerà. Le noci davano informazioni sui rapporti di coppia o in un gruppo. Se navigano vicine il legame è forte e armonico. Una che ne affonda un’altra annuncia litigi o divorzi, se le spegne la candela causerà con il suo comportamento la perdita dell’amato o si vedrà rifiutare una preghiera. Se si aggrega ad altre sono in vista un amore o una collaborazione di lavoro. Si possono anche porre domande per prevedere come andrà un determinato scopo. Una noce che gira sempre attorno implica indecisione, se giunge sola all’altra sponda si raggiungerà l’obiettivo senza aiuti, se la raggiunge dopo esitazioni il proprietario, dopo un’iniziale confusione, troverà la giusta strada. Se vi arriva con la fiamma spenta si raggiungerà l’obiettivo a costo di grandi sacrifici ma se si ribalta è segno di sfortuna. Se una noce affonda altre si è disposti a passare su tutto e tutti per ottenere il proprio scopo. Le noci non si conservano ma vanno bruciate l’ultimo giorno di festa per intensificare i lati positivi del vaticinio e indebolire quelli negativi.

Molti riti erano poi rivolti alle giovani ragazze ansiose di sapere se avrebbero trovato marito. Fra questi si annovera il lancio della scarpa: una ragazza, spalle alla porta, lanciava alle sue spalle una pantofola e se questa cadeva con la punta rivolta alla porta sarebbe uscita di casa, altrimenti sarebbe rimasta con i genitori almeno un altro anno.

Per sapere il nome del prescelto si sbuccia una mela in modo da ottenere una lunga spirale che si fa girare tre volte sopra la testa e si lancia. Nella forma creatasi a terra si può leggere, con un po’ di fantasia, l’iniziale del futuro sposo. La mela sbucciata tornava utile per un altro rito: si tagliavano tante fette quanti erano i commensali e ognuno mangiava una. Se durante l’anno ci si fosse persi, davvero o metaforicamente, sarebbe bastato ricordare con chi si aveva mangiato la mela per ritrovare la via.

Le giovani che volevano sposarsi gettavano un bastone su un pero e con dei salti cercavano di riprenderlo. Tanti sarebbero stati i tentativi quanti gli anni da attendere per le nozze. O ancora si bussava al pollaio, se rispondeva prima il gallo la giovane si sarebbe sposata entro l’anno ma se a rispondere era la gallina toccava portare pazienza. Dopo cena le ragazze correvano in giardino e facevano tremare un sambuco, avrebbe risposto un cane e da dove proveniva l’abbaiare sarebbe giunto lo sposo. Un’ultima usanza era colare il piombo fuso in un recipiente pieno d’acqua. Le ragazze cercavano nella forma che ne esce l’iniziale del nome del futuro sposo, simboli che ne lascino intuire la professione o addirittura i tratti. Da un lato sono credenze che spaventano ma nessuno resiste alla tentazione di scostare il velo del futuro.

di Sabrina Salomoni