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Pasquale D’Avino, nuovo Ambasciatore d’Italia in Repubblica Ceca, rifiuta il binomio “cechi = euroscettici”: questo è un Paese che sta dando un contributo importante all’Europa. Sull’allargamento ai Balcani e sulla crisi del nord Africa la leadership ceca dimostra intelligenza e lungimiranza politica

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Una carriera diplomatica iniziata nel 1982 e costellata da una serie di incarichi di rilievo, l’ultimo dei quali a Ginevra in qualità di Ministro consigliere alla Rappresentanza permanente presso le Organizzazioni Internazionali. Cosa l’ha spinta a intraprendere questa strada?

Gli studi classici, l’amore per la letteratura e in particolare la lettura di un’opera, l’Odissea, che mi ha donato la passione di viaggiare e di conoscere il mondo. Un’altra motivazione fondamentale è stato l’orgoglio di rappresentare l’Italia, un grande Paese che ha dato all’umanità protagonisti come Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Guglielmo Marconi e capace ancora oggi di esprimere uomini di altissimo livello, come dimostra la recente nomina di Mario Draghi alla carica di capo della Banca centrale europea. Penso che questa consapevolezza, di essere i rappresentanti di un grande Paese, dovrebbe coinvolgere tutti noi italiani che viviamo all’estero.
Se non avesse fatto il diplomatico, cosa pensa che avrebbe fatto nella vita?
Molto probabilmente l’avvocato, professione che avevo già iniziato ad esercitare, nello studio legale di mio padre. Prima di accedere alla carriera diplomatica, vinsi alcuni altri concorsi, fra cui quello di funzionario al Senato. Se ripenso però al periodo in cui ero ragazzo, il mio vero sogno era quello di fare l’architetto. Poi le cose, come capita talvolta nella vita, sono andate diversamente.
Le succede di avere dei rimpianti?
No, questo è davvero un lavoro ricco di fascino, che consente di vivere esperienze memorabili. Io quando sono stato a capo del cerimoniale di Palazzo Chigi, ho avuto la possibilità di seguire in giro per il mondo due capi di governo italiani, Silvio Berlusconi e Romano Prodi, di partecipare a colloqui ristretti con leader mondiali come Tony Blair, George Bush, Lula, l’attuale premier cinese Wen Jiabaoe e altri. Momenti questi nei quali si vede non solo quanto siano fondamentali i rapporti personali fra i potenti della terra, ma anche quanto sia ancora importante il ruolo di “consigliere del principe” di noi diplomatici. Tocca infatti a noi creare le condizioni – offrendo un quadro e delle indicazioni – perché i leader possano prendere le decisioni di loro competenza.
Ci sarà stata però qualche occasione in cui si è chiesto: “ma chi me lo ha fatto fare”? E comunque quali sono gli aspetti meno accattivanti di questo lavoro?
Al di là dal fatto che il nostro è un lavoro caratterizzato spesso da grandi formalismi, l’aspetto più pesante di questa professione non riguarda direttamente noi diplomatici, ma i nostri cari, i nostri affetti. Il fatto di dover ogni quattro/cinque anni sradicare le nostre famiglie e subito dopo stabilirle in altre città, in altri ambienti, in altre culture. Figli che fanno amicizie, che frequentano una scuola e che poi all’improvviso si trovano costretti a spostarsi. In realtà tutto il fascino di questo lavoro lo viviamo noi diplomatici. I nostri familiari molto meno.
Tanti anni della sua vita all’estero. Qual è la sede di servizio che ricorda più volentieri?
Chicago e quindi gli Stati Uniti. Di questo Paese mi ha sempre affascinato il fatto di essere nato e di aver raggiunto un tale sviluppo grazie all’apporto di tante nazionalità, di tanti popoli, anche di noi italiani. Una nazione che nel mondo è un simbolo di libertà e dove ciascun cittadino trova le condizioni per essere valorizzato pienamente.
Chicago, con quella sua architettura moderna sul lago Michigan, per certi aspetti è paragonabile all’Atene di Pericle o a una città ideale del Rinascimento per il rapporto eccellente tra esponenti politici, economici e culturali, a profitto della bellezza e dinamicità della città. E’ una città molto avanzata dal punto di vista economico e industriale, che riesce ad essere all’avanguardia anche dal punto di vista culturale.
Lei è di Napoli. Che rapporto ha con la sua città?
La mia è davvero una città speciale, nel bene e talvolta anche nel male. Devo dire che mi manca molto, ma ho però la fortuna di tornarvi ogni estate per le vacanze, che di consueto trascorro a Capri. E’ lì che ritrovo quell’atmosfera, quella cordialità, quel calore che in giro per il mondo spesso non è facile trovare. Da noi – è vero – ti stringono, ti abbracciano, vogliono sapere i fatti tuoi, ma sono modi di fare capaci anche di trasmettere, sul piano umano, una carica in più. Per noi italiani, che siamo imbevuti di arte, cultura, civiltà e creatività, queste sono cose fondamentali. Lo sono anche per noi diplomatici, perché è questo nostro saper vivere che ci consente di porci in un certo modo nella famiglia delle nazioni.
A proposito del modo di essere di noi italiani, qualcuno sostiene che nel mondo godiamo di una sorta di “assoluzione plenaria”.
E’ vero. Devo dire che mi impressiona sempre il patrimonio di simpatia che ha l’Italia nel mondo. Ne ho avuto una conferma anche nella mia ultima esperienza a Ginevra, alle Organizzazioni internazionali, vedendo quante volte l’Italia nelle varie competizioni negoziali sia riuscita ad avere la meglio rispetto ad altri grandi stati europei. Nonostante quest’ultima congiuntura favorevole, che non ci consente di proiettarci nel mondo con le stesse risorse pubbliche di una volta, siamo sempre fra i membri del G8. E’ il soft power dell’Italia, fatto di cultura, valori e quella grande amabilità che ci contraddistingue.
Quali sono le sue impressioni a pochi giorni dal suo arrivo a Praga? Conosceva già questa città?
C’ero già stato nel 1993, quando portava ancora addosso i segni pesanti del comunismo sovietico. L’ho trovata molto più restaurata d’allora, anche più affollata di turisti. Certamente rimane una delle capitali più affascinanti del mondo. Più in generale, la Repubblica ceca è un Paese che dimostra di avere una sua solidità economica, con prospettive di crescita importanti, nonostante l’attuale fragilità dell’economia in Europa.
Pochi giorni fa la cerimonia di presentazione delle Lettere credenziali davanti al presidente Vaclav Klaus. Com’è andata, cosa vi siete detti?
Il presidente Klaus ha una personalità forte, carismatica ed è un amico dell’Italia su cui poter contare. Ad aprile ha ricevuto a Praga la visita del presidente Giorgio Napolitano e subito dopo, il 2 Giugno, si è recato a Roma per le celebrazioni del 150° anniversario. Per un Ambasciatore avere a che fare con un presidente ceco che parla l’Italiano, conosce l’Italia e ha addirittura studiato a Napoli, è un privilegio, una fortuna. Durante l’incontro al Castello, proprio per l’interesse che ha verso l’Italia, ha voluto capire meglio gli ultimi sviluppi del nostro Paese.
A proposito di Klaus, la Repubblica ceca è un Paese noto per i suoi frequenti atteggiamenti di euroscetticismo. Che idea si è fatto di questa situazione?
Questo è un paese che ha una storia e una posizione geografica che fanno comprendere certi atteggiamenti di insofferenza verso decisioni prese all’esterno, ieri a Mosca e oggi magari a Bruxelles. D’altra parte mi sembra che questo discorso dell’euroscetticismo ceco vada anche ridimensionato, altrimenti rischiamo di farne un cliché. Credo che il tutto vada inserito nel contesto di un Paese che – come succede nel caso della Repubblica ceca – dà un contributo importante all’Europa. Pensiamo al tema dell’allargamento: il governo di Praga, come il nostro, è impegnato nel favorire l’ingresso dei paesi dei Balcani in Europa. E’ una scelta strategica giusta. La leadership ceca capisce che nel mondo globale la regione Europa deve essere quanto più possibile stabile. Non si possono lasciare fuori dei pezzi, tanto più sapendo che nel mondo globale noi dobbiamo competere con aree come la Cina, gli Stati Uniti, i Bric (Brasile, Russia, India e Cina).
Altro elemento importante è la sensibilità che la Repubblica ceca – pur essendo un paese che guarda a Est – dimostra rispetto a quanto accade ora nel Mediterraneo. Ci fa quindi molto piacere vedere che – in una Europa molto divisa sul tema dell’impegno Ue nel Nord Africa – i leader cechi abbiano capito, con grande intelligenza politica, che questo è un problema che interessa tutto il continente. E non solo in termini di rischio, ma anche in termini di opportunità, perché quando l’area nord africana si sarà stabilizzata, potranno sorgere anche occasioni di crescita economia. E’ successo così anche coi paesi dell’Europa orientale dopo la caduta del comunismo e il loro progressivo ingresso in Ue.
Ci può raccontare un suggerimento, una impressione su questa sede che le ha lasciato il suo predecessore?
All’Ambasciatore Fabio Pigliapoco negli ambienti diplomatici tutti riconoscono il dono di essere un finissimo analista politico. E’ stato proprio lui a farmi notare – nel periodo del passaggio di consegne – come la Repubblica ceca sia, come d’altronde l’Italia, un paese di limes, un’area di osmosi con altri mondi particolarmente interessante da osservare. Guardando al passato di Praga, si può capire tanto anche del passato dell’Europa. E provando a immaginare il futuro di questo Paese, possiamo cercare di capire quale sarà il futuro di tutti noi europei. Lo sviluppo augurabile è che l’Europa, comprendendo cosa succede nel suo limes, capisca la necessità di aggregarsi di più, di essere una squadra unita, di avere delle politiche realmente comuni e di superare il momento di crescite esitanti che stiamo vedendo.
I rapporti bilaterali fra Repubblica Ceca e Italia vengono normalmente definiti “ottimali”. Ci sarà pure qualche problema, qualcosa di particolarmente impegnativo per un diplomatico, qualche “patata” non dico bollente, ma da prendere con cautela?
Su questo piano siamo veramente fortunati perché non a tutti capita di trovarsi davanti a un panorama veramente senza alcuna turbolenza. La vera sfida è piuttosto quella di accendere tutti i motori perché sono convinto che, nell’ambito dei reciproci rapporti, possiamo dare molto di più. Mi sembra infatti evidente, da queste prime impressioni, che fra Repubblica ceca e Italia ci sia da intensificare molto le relazioni bilaterali. Le visite ufficiale che ci scambiamo vanno benissimo, ma credo che si possa fare molto di più sul piano delle relazioni economiche e commerciali, dei rapporti culturali, della diffusione della lingua italiana in questo Paese. Vedo la necessità di agire con operazioni di immagine e creare sinergie. In particolare noi italiani dobbiamo superare qualche piccola divisione ed esprimere meglio in Repubblica ceca tutto il nostro potenziale, sfoderando quella energia espressa ora solo in parte. Come Ambasciatore rivolgo un appello caloroso a tutti gli Italiani qui operanti perché questo avvenga. E sono molto compiaciuto che tanto gli Italiani quanto i Cechi che amano l’Italia possano contare su una bella rivista come la vostra!

Di Giovanni Usai