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Una rinnovata attenzione nazionale ed internazionale rivela le carenze – e i possibili rimedi – della tutela degli animali nel Paese

Sono bastati due episodi recenti, finiti con grande clamore sui giornali, per sollevare dubbi sul modo nel quale anche in Repubblica Ceca vengono trattati gli animali. A metà luglio c’è stato il ritrovamento di una tigre uccisa nel parco zoo di Bašť, in Boemia centrale, e a fine gennaio quello di alcune centinaia di cuccioli di cane tenuti in condizioni igieniche di totale degrado in un’abitazione di Kamenice nad Lipou, nella Vysočina.

In seguito alle ripetute segnalazioni e lamentele dei vicini per il cattivo odore e i guaiti, la polizia ha perquisito la casa di Kamenice e si è ritrovata davanti uno spettacolo raccapricciante. I cagnolini erano stipati in gabbie e scatole di plastica, denutriti e indebolititi da parassiti e infezioni. Sono però numerosi i casi analoghi in tutto il Paese. Nascono in allevamenti illegali, le cosiddette Puppy Millls, “fabbriche di cuccioli” spesso allestite in vecchie stalle abbandonate, dove le fattrici sono costrette a continue gravidanze. Il motivo è ovviamente economico. La Repubblica Ceca viene infatti spesso additata come uno degli stati della cosiddetta Nuova Europa – insieme a Ungheria, Slovacchia e Polonia – che più alimentano il mercato d’esportazione clandestina dei cuccioli verso l’Europa occidentale. In un furgone si riesce a pigiare fino a 250 piccoli, imbottiti di farmaci per sembrare sani. Secondo una ricerca condotta nel 2015 dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Abruzzo e Molise, l’81,5% dei cani provenienti dall’estero presentava malattie infettive o infestive. È alta anche la mortalità, date le condizioni al limite del tollerabile in cui vengono fatti viaggiare e passano i primi mesi di vita.

tierheim-gibt-rund-um-weihnachten-keine-hunde-rausDopo armi e droga, il commercio d’animali è tra i rami più redditizi del business illecito. In Italia si registra un traffico di circa ottomila cuccioli che ogni settimana sono introdotti illegalmente nel nostro Paese, per un valore di 5,6 milioni di euro, come ha riportato la stampa nei mesi scorsi. La Lav, Lega Anti Vivisezione, nel maggio 2017 ha reso noto lo studio “Benessere di cani e gatti coinvolti in attività commerciali” della Commissione Europea, che nel 2014 ha coinvolto dodici Paesi. “I cuccioli sono acquistati a circa 60 euro e poi rivenduti a prezzi fino a 20 volte superiori, falsificando i documenti, le vaccinazioni e il passaporto europeo” ha spiegato Ilaria Innocenti, responsabile Lav. La cifra media è di mille euro ma gli appassionati sono disposti a pagare tre volte tanto per alcuni cuccioli di razza. La domanda maggiore è per quelli di piccola taglia come yorkshire, chihuahua, beagle o pincher.

Alcuni viaggiano con documenti falsi, altri hanno le carte in regola ma negozianti e allevatori italiani sostituiscono la documentazione per mostrare agli acquirenti finali che il cane ha genitori “made in Italy”. D’altro canto le leggi nazionali su allevamento, trasporto e vendita sono diverse nei singoli Stati, elemento che favorisce l’illegalità.

Principali attori di questo business sono gruppi organizzati, talvolta vere organizzazioni criminali, che includono allevatori, trasportatori, negozianti e anche veterinari. Un altro ma rilevante canale di vendita è quello delle truffe online, con falsi venditori che si fanno pagare in anticipo per poi sparire nel nulla.

Come arginare il fenomeno? L’associazione animalista Lav auspica maggiori controlli e denuncia la diminuzione dei sequestri. Nel biennio 2015-2016 il Corpo Forestale di una regione di confine come il Friuli Venezia Giulia non ha effettuato alcun accertamento sul traffico di cuccioli. A livello ceco si cerca d’arginare il fenomeno con un inasprimento delle normative. Lo scorso anno il Senato ha introdotto nella legge veterinaria l’obbligo del microchip per tutti i cagnolini dai sei mesi in su che scatterà dal 2020. Una misura che potrebbe avere risultati minimi poiché il commercio riguarda cuccioli di soli due mesi.

Il Top 09 ha presentato di recente una proposta, appoggiata da altri sei partiti, per rendere più severe le pene per chi tiene gli animali in condizioni inadeguate solo per trarne profitto. La legge attuale non permette infatti di punire le fabbriche di cuccioli in assenza d’altri reati, se non con delle sanzioni. “Chi maltratta gli animali non può cavarsela con una pena irrisoria. E vale anche per i proprietari delle Puppy mills” ha commentato il presidente dei liberali di Top 09, Jiří Pospíšil. “Lo considero senza dubbio un passo nella giusta direzione” concorda Richard Brabec (Ano), ministro della tutela ambientale.

Visto l’incremento dei casi di maltrattamento si pensa anche d’istituire la figura dell’ombudsman degli animali, difensore civico con il compito di vigilare sugli organi competenti e intervenire quando le autorità agiscono in ritardo.

A far riflettere su un’altra modifica di legge, che vieti di detenere degli “zoo privati”, è stato un caso differente che ha tenuto banco nell’ultimo mese e riguarda principalmente le tigri. Parliamo dell’affare dello zoo di Bašť, giardino zoologico privato a nord della capitale. La polizia ha effettuato una perquisizione e ha trovato uno di questi felini appena ucciso (che sarebbe poi stato lavorato al mercato vietnamita Sapa di Praga), una serie di pelli, i resti congelati di una ventina di animali protetti e 1,8 milioni di corone in contanti. “Aumentano i casi in cui troviamo vari prodotti di tigre negli aeroporti e nel Paese” conferma Radka Nastoupilová, portavoce dell’Ispettorato ceco ambientale (ČIPŽ). Risale a due anni fa un sequestro all’aeroporto Václav Havel. Dal “macello” dei grandi felini si ricavano dadi da brodo e farmaci tradizionali della medicina cinese, fortemente richiesti in Asia perché considerati curativi e miracolosi. Si crede infatti che le ossa curino reumatismi, mal di testa e perfino il cancro. Sul mercato nero un grammo di unguenti o brodo di ossa di tigre si vende a 1.500 corone. Il prezzo delle ossa arriva a 40mila e la pelle a dieci volte tanto, quello degli artigli si aggira sulle 2.500. Poi c’è il capitolo riguardante il “vino di tigre”, realizzato con pezzi di ossa frantumati del maestoso animale, lasciati a macerare per anni in un liquore a base di riso. Si calcola che con un chilo di ossa della tigre si ottengano circa 15 litri di questa bevanda, che costa circa 2.000 corone ma può essere venduta all’asta anche per molto di più.

Oltre ai preparati, gli esemplari uccisi in Europa vengono rivenduti in Vietnam, Thailandia e Corea del Nord. L’organizzazione animalista Four Paws ha lanciato una petizione per chiedere alla Commissione Ue di bandire il commercio di tigri in cattività. In Repubblica Ceca si è dovuti arrivare allo scandalo perché il ministro dell’agricoltura Miroslav Toman (Čssd) promettesse la revisione di una normativa un po’ troppo libera, che permette a chiunque di avere una tigre in casa. Una delle idee è che i grandi felini siano tenuti solo negli zoo con regolare licenza. Sono 20mila i soggetti attualmente proprietari di specie a rischio. Negli ultimi anni sono state registrate oltre 400 tigri ma negli zoo ce ne sono solo 40; per il resto l’età degli esemplari in vita è bassa, sintomo che a singoli o istituti privati interessano più business e guadagno che la protezione delle specie e s’insinua che proprio per quest’ultimo motivo siano sfuggiti all’attenzione delle autorità, in Cechia come in Europa.

“Siamo in effetti una potenza nell’allevamento degli animali esotici” dice il direttore dello zoo di Praga Miroslav Bobek. “Oltre a tartarughe, coccodrilli e scimmie sono molto diffusi pappagalli e serpenti. Ci sono allevatori capaci ma ci sono stati anche scandali sul contrabbando di pappagalli e rettili, niente di paragonabile però al caso delle tigri”.

L’augurio è che sia proprio questo scandalo ad accelerare un adeguamento legislativo appropriato per chi alleva animali in Repubblica Ceca.

di Sabrina Salomoni