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Verità e leggenda sulle “Edizioni 68”, voce prestigiosa del dissenso ceco

Chissà se è vero quel che si racconta. Chissà se è vero che in un nevoso inverno di Toronto, una indomita casalinga ceca prese i soldi donatigli dal marito come “regalo natalizio” e decise di investirli fondando una casa editrice.

Questo almeno recita la leggenda: Zdena Salivarová, moglie del già celebre scrittore dissidente ed esule Josef Škvorecký, voleva reagire una volta per tutte alla povertà inesorabile che sembrava accompagnare la coppia anche nel dorato esilio canadese. Così, nel dicembre del ‘70, la determinata e geniale signora decise di tradurre in inglese un vecchio libro del marito “Battaglione Carri” (Tank Battalion), ormai introvabile e censurato dal regime di Praga. Sempre secondo il mito, spedendo le prime 300 copie ad esuli cechi sparsi un po’ in tutto il mondo occidentale, Zdena aveva fondato una casa editrice destinata a ventennali successi letterari.
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“Gli unici soldi, a casa mia si erano visti grazie alla libreria posseduta da mio padre – spiegherà poi Salivarová – in un certo senso, la mia era una scelta obbligata”.

Ed ecco spuntare le austere, inappuntabili, ma preziosissime “Sixty-Eight Publishers” che, morbidamente ma inesorabilmente, invadevano il mercato di nicchia occidentale. Lette, studiate, consultate nelle università, ambasciate e centri di ricerca di tutti i paesi democratici e non solo.

La grafica, salvo qualche miglioramento successivo, sarebbe sempre restata asciutta, quasi scarna. Il nome invece, a pensarci bene non poteva essere diverso: se gli Škvorecký avevano dovuto lasciare l’amata Praga, e ora campavano a Toronto, Canada, se molti dei loro amici e compagni erano emigrati in Austria, Stati Uniti, Australia, Inghilterra e Germania, in fondo era proprio colpa di quell’anno fatidico. Il 68, appunto.

L’anno dei sogni e delle delusioni, l’anno di Dubček e Husák, dei fiori nei cannoni e poi dei carri armati russi in piazza san Venceslao. L’anno della Primavera di Praga, insomma. E dunque “Sixty-Eight Publishers” fu il nome delle piccole ma raffinate edizioni.

“Non so bene come nacque la casa editrice, non so come ci venne l’idea in qualche modo folle e al limite dell’impossibile” ha scritto più volte Josef nei suoi libri di ricordi. “Certo, il ruolo di Zdena fu importante. Le edizioni videro la luce a casa nostra, fra un pranzo e una delle traduzioni che mi impegnavano in quel periodo. Mia moglie ricostruì la rete di relazioni che ancora ci legava agli intellettuali praghesi, ai dissidenti, ai circoli culturali semiclandestini che si occupavano di cultura ceca. Così, senza una vera pianificazione, venne fuori quello che sarebbe diventato il nostro lavoro per quasi 20 anni”.

Già, dal ‘71 all’ ‘89, anno dell’uscita dell’ultimo volume, furono oltre 200 i titoli pubblicati da questa accuratissima editrice canadese, per una settantina di autori tutti legati o riconducibili alla dissidenza. Una volta identificato il volume, e l’autore, lo si traduceva in inglese e poi si riproponeva in ceco. Inutile precisare che i libri in madre lingua erano destinati (anche) alla introduzione clandestina nell’allora Cecoslovacchia, dove erano tutti inequivocabilmente all’indice. E dove gli eventuali possessori del volume rischiavano anni di carcere solo per aver sfogliato quelle pagine eretiche. I nomi degli autori? Oltre naturalmente ai libri di Josef (dal celebre “I vigliacchi” alla ormai mitica “La fine dell’età del nylon”) furono scoperti, tradotti e ripubblicati Milan Kundera, Václav Havel, Ludvík Vaculík, Ivan Klíma e tanti altri. Non tutti i libri pubblicati erano stati scritti in Cecoslovacchia; tutti portavano però una riflessione su quello che era il fermento letterario underground che si muoveva sotto il permafrost culturale imposto dal regime comunista dopo la repressione. “Il paradosso dovuto al successo dei nostri volumi era che molti degli scrittori in catalogo erano già famosi negli Stati Uniti, in Inghilterra o magari anche in Germania, ma non potevano saperlo – ha precisato Škvorecký – a casa loro, nella piccola, sorvegliatissima Cecoslovacchia erano rimasti poveri intellettuali a mezzo servizio, spesso vivevano in difficoltà economiche e controllati dalla polizia”.

Paradossi della Cortina di Ferro. E della politica, bisognerebbe aggiungere.

Impossibilitate a impedire completamente la diffusione dei libri della “famigerata” Sixty-Eight, le autorità ceche reagirono bollando gli Škvorecký come traditori pagati (poteva essere altrimenti?) con i soldi del M16 e della Cia. “Libri infetti” erano i volumi della “68 edizioni”, a leggere gli articoli infiammati di Rudé Právo e dell’agenzia di Stato Československá tisková kancelář. Forse per questo, al crollo del regime comunista, il duo di editori-intellettuali fu accolto al Castello come una coppia di eroi. Forse per questo, l’allora presidente Václav Havel (già autore delle “edizioni infette”) decise di insignire Josef dell’Ordine del Leone Bianco, massima onorificenza della Repubblica Ceca.

di Ernesto Massimetti