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Il dibattito sul rischio che la capitale ceca possa perdere la tutela di patrimonio mondiale dell’umanità. Nel mirino soprattutto i grandi progetti di sviluppo all’interno della zona cuscinetto attorno all’area tutelata

Una spada di Damocle sembra pendere sul destino del centro storico di Praga, o forse sull’intera città. Una questione divisiva attanaglia la città dai tetti d’oro, la capitale con uno tra i più celebri skyline al mondo. La città delle cento torri, delle alte guglie di Santa Maria di Týn (si dice modello del castello disneyano della Bella Addormentata), delle cupole barocche e del grande castello che abbracciando la cattedrale si staglia verso il cielo e si specchia nelle acque della Vltava si trova a fare i conti, ironia della sorte, proprio con il suo inestimabile e insostituibile skyline. Troppo prezioso per essere messo a rischio e troppo esteso – nonostante l’orografia – per consentire una certa libertà d’azione innovatrice.

Una discussione profonda riguarda così il ricco e straordinariamente variegato patrimonio di quella che fu la capitale imperiale di Carlo IV e Rodolfo II. In gioco una disputa tra vita e conservazione, tra immobile eterna devozione al passato e lo spiraglio di una chance di futuro – come la tratteggiano in duri toni dicotomici i portavoce di una delle fazioni in campo.

Il dibattito mai sopito che da circa un decennio serpeggia tra gli ambienti politici, accademici, imprenditoriali ed intellettuali praghesi ha subito una brusca accelerazione ormai poco più di un anno fa. A riaccenderlo l’esito della visita dei commissari Unesco e Icomos nel marzo 2019, resa pubblica alla fine di agosto dello stesso anno.

Nelle conclusioni del dossier si legge a chiare lettere che dovrà essere tempestivamente contenuto l’eccessivo sviluppo nelle aree del centro storico e nelle sue vedute e che dovranno essere invece incoraggiati gli investimenti nelle aree di trasformazione.

Nel mirino della commissione soprattutto i grandi progetti di sviluppo all’interno della zona cuscinetto attorno all’area tutelata – che nel caso di Praga copre quasi un quinto dell’intera area urbana – e gli edifici high-rise, specialmente quelli nella zona di Pankrác, menzionati dai documenti Unesco sin dall’iscrizione del centro storico nel 1992. Gli esperti chiedono una revisione del Piano Metropolitano e mettono in discussione i potenziali rischi insiti nella nuova legge edilizia, rammaricandosi dell’inerzia delle istituzioni locali nel dar seguito alle raccomandazioni e alle preoccupazioni emerse dai precedenti rapporti.

Il centro storico di Praga – una delle aree di tutela più grandi al mondo con un’estensione di quasi nove chilometri quadrati – vede così profilarsi all’orizzonte la possibilità di essere rubricato nella lista dei patrimoni in pericolo qualora siano accertate le condizioni che paiono minacciarne la conservazione.

In Europa la lista degli osservati speciali conta solamente altri tre siti: il centro storico di Vienna, il vecchio porto mercantile di Liverpool e i Monumenti medioevali in Kosovo, quattro complessi monastici espressione culminante della cultura ecclesiastica bizantino-romanica sviluppatasi nei Balcani tra il XIII e il XVII secolo.

Secondo il rapporto, i giochi sono ora nelle mani alle istituzioni ceche. Nell’autunno 2019 il governo ha prontamente attivato una commissione di valutazione e avviato trattative tra i principali attori nel complesso scenario della gestione e dello sviluppo urbano, senza tuttavia placare alcune voci estremamente critiche sul tema. La quarantaquattresima sessione del World Heritage Committee che avrebbe dovuto tenersi tra giugno e luglio a Fuzhou in Cina – rinviata a data da destinarsi per via dell’emergenza sanitaria – valuterà come è stata e dovrà essere affrontata la questione in futuro.

Nelle stesse pagine, il dossier raccomanda la necessità di mettere in discussione quelle posizioni che ritengono in conflitto la conservazione del patrimonio e l’architettura contemporanea, escludendone una possibile complementarietà. Per quanto atteso e congruo al ruolo, il suggerimento dei commissari di mettere al bando gli estremismi è pur sempre una presa di posizione all’interno del dibattito che vede contrapporsi coloro che mirano alla conservazione ad oltranza a coloro che invece opterebbero per abbandonare la tutela Unesco in favore di un libero sviluppo urbano. Se la voce dei primi sembra, a dire il vero, non avere un’eco significativa, quella a favore dell’uscita risuona con proclami decisamente tranchant che rivendicano il diritto di non ridurre il centro cittadino ad un cristallizzato museo a cielo aperto per turisti.

Mentre le autorità si apprestavano a mettere a punto una risposta ufficiale al rapporto Unesco, lo scorso gennaio un redazionale a firma Sdružení pro Architekturu a Rozvoj (SAR, Associazione per l’Architettura e lo Sviluppo) ha alzato i toni della discussione. SAR – che vanta tra le sue fila nomi di rilievo – vede come un Diktat le raccomandazioni Unesco e come un’eccessiva ingerenza negli affari interni le valutazioni dei nuovi progetti di sviluppo urbano da parte di comitati internazionali. L’associazione guarda a Dresda – cancellata dall’Unesco per aver realizzato un ponte in violazione ai vincoli, ma sulla base delle necessità della cittadinanza – come a un possibile modello positivo. I suoi portavoce sostengono fermamente come le città debbano appartenere principalmente alle persone che le abitano e non ai burocrati né ai turisti transnazionali – che nel loro comunicato invitano addirittura ad «andare a farsi i selfie altrove».

Se alcuni sviluppatori immobiliari si sono gettati a capofitto nella polemica tentando di fornire una propria lettura del famigerato dossier, altri provano ad avvicinarsi al dibattito con posizioni più caute offrendosi di mitigare volumetrie e altezze massime dei loro progetti alla luce dei recenti suggerimenti – che poi così nuovi non sono – riguardanti la regolamentazione della zona cuscinetto, vero oggetto del contendere.

I millecento anni della gloriosa storia cittadina consegnano alla contemporaneità il centro storico quale prezioso palinsesto, eloquente testimone del processo di ininterrotta e organica crescita urbana dal Medioevo sino ai giorni nostri, avvenuto in gran parte sotto il vigile sguardo delle scure statue del Ponte Carlo. L’alto “grado di autenticità” dei manufatti documenta in modo mirabile l’espressione architettonica del susseguirsi degli ‘stili’, giustificando la presenza Unesco. Certo, il desiderio delle generazioni attuali di lasciare una traccia, un significativo segno della loro epoca, nel fiabesco panorama della loro amata città è genuinamente legittimo, come lo è quello di consentire un po’ di vita al suo interno. Sarebbe tuttavia altrettanto doveroso consegnare l’inestimabile patrimonio praghese alle generazioni future così come lo si è ricevuto, implementato con qualche opera d’architettura contemporanea capace di consegnare il nostro passaggio alla storia e soprattutto di dimostrare che conservazione e innovazione non sono per forza opposti inconciliabili.

di Alessandro Canevari