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Le relazioni con il Dragone sono a rischio dopo l’allerta sul pericolo spionaggio attraverso i prodotti de colosso cinese

In ballo ci sono miliardi di investimenti cinesi in Repubblica Ceca e cechi in Cina. A rischio il rapporto tra i due Paesi, rinsaldato negli ultimi anni di fervente comunicazione tra Pechino e Praga. In forse la rete 5G ceca. In allarme gran parte dell’amministrazione pubblica, delle compagnie di telecomunicazioni e dell’energia che in fretta e furia si trovano a dover abbandonare software e hardware forniti da Huawei e Zte. Le due compagnie cinesi, infatti, sono da mesi nell’occhio del mirino delle potenze occidentali, Stati Uniti in testa, e lo scontro è arrivato dirompente anche a Praga.

La delegazione ceca ad un meeting in Cina, durante la visita ufficiale del presidente Zeman lo scorso novembre

La delegazione ceca ad un meeting in Cina, durante la visita ufficiale del presidente Zeman lo scorso novembre

Tutto nasce dall’allarme lanciato alla fine del 2018 dall’Ente nazionale ceco per la sicurezza cibernetica e informatica (Nukib), secondo il quale Huawei «costituisce un pericolo», perché i suoi strumenti e prodotti potrebbero diventare a tutti gli effetti metodi di spionaggio al servizio del governo cinese. Da qui è scattata la reazione a catena. L’allerta, infatti, riguarda obiettivi sensibili: in Repubblica Ceca utilizzano, o utilizzavano fino a poco fa, la tecnologia Huawei il Castello di Praga, i vertici della Polizia, il ministero dell’Interno, l’Ente statale per la sicurezza nucleare, il centro dati della compagnia energetica Čez e le reti degli operatori telefonici T-Mobile, Vodafone e O2. Una platea non indifferente, che è subito corsa ai ripari, nonostante la ridda di polemiche che si sono scatenate con botta e risposta tra il presidente Miloš Zeman e la Nukib, tra l’ambasciata cinese a Praga e il premier Andrej Babiš e tra la stessa Huawei e il governo ceco.

Il colosso cinese è la terza compagnia per vendita di telefoni cellulari in Repubblica Ceca (552mila smartphone, +19% su base annua nel 2018), dopo Samsung e Apple, e aveva annunciato investimenti pari a 350 milioni di euro dal 2017 al 2020 con la creazione di 4.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre, la Cina è il terzo partner commerciale della Repubblica Ceca, l’interscambio nel 2018 è stato di 24 miliardi di euro, con import in Cechia per 22 miliardi in crescita del 22% su base annua. Uno sbilanciamento enorme ma nello stesso tempo un partner di tutto rispetto per Praga. Per questo il presidente Zeman ha subito attaccato la decisione della Nukib di procedere in maniera così netta: «Abbiamo notizie che la Cina farà ritorsioni», ha annunciato senza mezzi termini il capo dello stato dopo che Huawei ha denunciato l’esclusione dalla gara pubblica del ministero delle Finanze per la creazione del portale Moje daně (Le mie tasse), del valore di mezzo miliardo di corone (circa 19,5 milioni di euro), in seguito all’inserimento in blacklist da parte della Nukib. «Riteniamo che sia un atto discriminatorio basato su un allarme senza fondamento e errato emesso dall’Ente per la sicurezza cibernetica», ha detto la portavoce di Huawei in Repubblica Ceca Magda Teresa Partyka aggiungendo che la compagnia chiederà che l’asta venga cancellata e ripubblicata altrimenti la società cinese «considererà tutte le opzioni», tra cui anche rivolgersi a un tribunale per un arbitrato internazionale con la richiesta di un risarcimento astronomico. La risposta della Nukib su questo punto, però, è rimasta invariata: Huawei rappresenta un pericolo.

La possibilità di ritorsioni cinesi è stata, però, il principale timore di Zeman dall’inizio della vicenda. Il Presidente ha parlato di ripercussioni negative per gli investimenti di Škoda Auto e del gruppo Ppf in Cina (con cui Huawei ha firmato un memorandum di intesa per il 5G). Per il capo di stato la decisione di tagliare fuori la compagnia cinese dal settore «ha danneggiato la posizione e gli interessi della Repubblica Ceca facendo delle affermazioni per cui non hanno alcuna prova». Zeman ha cercato di correre ai ripari incontrando i vertici di Huawei e l’ambasciatore cinese a Praga, Zhang Jian-Min.

Con quest’ultimo si era aperta una crisi diplomatica poco dopo l’annuncio sul rischio spionaggio: secondo il responsabile della missione cinese in un colloquio privato prima di Natale il premier Babiš gli aveva confessato che la decisione del Nukib era stata «un errore». Il capo del governo, però, aveva seccamente smentito: «Non ho mai detto che il governo ha preso l’impegno di correggere gli errori compiuti in relazione all’allerta. Ciò che ha fatto l’ambasciatore è qualcosa di mai visto prima d’ora». Per ricucire lo strappo sono serviti diversi incontri istituzionali, con il ministro degli Esteri ceco Tomáš Petříček, con il presidente del Senato Jaroslav Kubera e con Zeman stesso.

La Repubblica Ceca è in estrema difficoltà in questa situazione: da un lato per i grandi investimenti nella energia e nella industria, in piedi da anni e in crescita nel futuro tra Praga e Pechino, e dall’altro per la sua stretta dipendenza nel settore della sicurezza dei dati sensibili da soggetti esterni, compagnie private e straniere. Secondo gli esperti la macchina statale non dispone dei tecnici e delle figure professionali qualificate a livello interno per gestire la sicurezza cibernetica e ha dovuto negli anni rivolgersi all’esterno. Uno degli scandali più recenti, di compromissione di obiettivi sensibili, è stato quello di Palazzo Černín, la sede del ministero degli Esteri, i cui computer erano in balia degli hacker, forse russi, da diverso tempo.

La crisi in Repubblica Ceca, però, è soltanto una piccola parte dei problemi che Huawei sta affrontando a livello internazionale dall’arresto in Canada del direttore esecutivo, e figlia del fondatore della società, Sabrina Meng Wanzhou su richiesta degli Stati Uniti. Tra i critici, dopo gli Usa che parlano di cospirazione e minacciano il bando totale dei prodotti, la Gran Bretagna, l’Australia, Germania, Francia, Belgio che stanno cercando di prendere provvedimenti dopo gli allarmi lanciati dai servizi segreti. Sul versante opposto l’Italia, che nonostante gli avvertimenti del Copasir, ha affidato da tempo a Huawei la realizzazione della rete 5G in Italia. Da anni, infatti, la compagnia cinese collabora con Tim per la rete dati e la connettività.

Tegola non da poco per l’immagine del colosso di Shenzhen in Europa, anche l’arresto del direttore delle vendite della divisione polacca con l’accusa di spionaggio. Le preoccupazioni per la sua presenza diffusa in Europa sono arrivate fino a Bruxelles, dove il commissario per la Tecnologia Andrus Ansip ha avvertito gli stati membri sui rischi sicurezza e il premier Babiš ha chiesto un’ampia riflessione sul tema cyber security a livello europeo.

di Daniela Mogavero

La sede di Huawei a Shenzen

La sede di Huawei a Shenzen