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La famiglia reale del Liechtenstein richiede allo stato ceco la restituzione di 70mila ettari di terreni e alcuni palazzi storici

Si chiude per vie legali uno scontro diplomatico che si protrae da oltre settant’anni nel cuore dell’Europa. I protagonisti sono il principato del Liechtenstein, una nazione di 160 chilometri quadrati racchiusa tra Austria e Svizzera e con una popolazione di circa 35 mila abitanti, e la Repubblica Ceca. Una vicenda riguardante proprietà e castelli, situati sul suolo dell’attuale stato ceco, che furono confiscati al piccolo Paese alpino negli anni ‘40 e da decenni oggetto di rivendicazioni.

I Liechtenstein sono un’antica nobile famiglia d’origine austriaca che si stabilì in Moravia verso la metà del Duecento e in un paio di secoli acquisì vasti possedimenti in Slesia, Bassa Austria e Stiria ma soprattutto in Moravia edificò sontuose ville e castelli, tra cui quelli molto famosi di Lednice e Valtice. “I loro domini erano tra i più estesi accanto a quelli degli Schwarzenberg e il nucleo era in Moravia” conferma lo storico Václav Horčička.

Non ci furono cambiamenti sostanziali fino al ventesimo secolo. Nel 1918 nacque la Prima Repubblica Cecoslovacca e in quello stesso anno, nell’ambito della Prima riforma terriera, i Liechtenstein persero una parte consistente delle loro proprietà che passarono da circa 160mila ettari di terre a 70mila. Ottennero sì un risarcimento, ma corrispondeva solo a un quarto del valore di mercato dell’epoca.
I Decreti Beneš e la confisca

Arriviamo agli albori della seconda guerra mondiale. Il Liechtenstein decise di rimanere neutrale, come la vicina Svizzera, e non riconobbe mai la decisione della Conferenza di Monaco né il Protettorato di Boemia e Moravia. S’interruppero così, nel 1938, le relazioni diplomatiche tra il principato e la Cecoslovacchia.

I cechi, che avevano subito l’annessione tedesca dei Sudeti, maturarono un forte risentimento antitedesco, che investì anche i Liechtenstein. Nel 1945 i Decreti Beneš sancirono l’espulsione delle popolazioni germanofone, considerate complici dell’occupazione nazista, dal suolo cecoslovacco e l’espropriazione dei loro beni immobili. I Liechtenstein si videro portare via la totalità dei loro possedimenti ereditari in Boemia, Moravia e Slesia.

Le espropriazioni, tutt’oggi discusse presso la Corte internazionale di giustizia, includevano, oltre a castelli e palazzi, oltre 1.600 chilometri quadrati di terreno agricolo e foreste, ovvero dieci volte la superficie del principato. Il decreto fu una catastrofe per il casato. Nonostante oggi il Liechtenstein detenga il più alto reddito pro capite al mondo e il sovrano sia uno degli uomini più ricchi, con un patrimonio stimato in circa 4 miliardi di dollari, allora i principi furono costretti a vendere alcune opere della loro collezione d’arte per risanare le casse di Stato. Nel 1967 misero ad esempio all’asta il Ritratto di Ginevra de’ Benci di Leonardo da Vinci acquistato dal National Gallery of Art di Washington per oltre cinque milioni di dollari, una somma record per l’epoca.

Le rimostranze non si fecero attendere ma non furono mai accolte, anzi, durante la guerra fredda fu vietato ai cittadini del Liechtenstein l’ingresso in Cecoslovacchia e il Principato fece altrettanto. Solo negli ultimi decenni le due parti si sono riavvicinate e il 13 luglio 2009 sono riprese ufficialmente le relazioni diplomatiche e commerciali.

Ciò non ha impedito al principe Giovanni Adamo II di portare avanti la lotta per rientrare in possesso delle antiche proprietà, tanto che una settimana prima dello scorso Natale sono state presentate ventisei cause in altrettanti tribunali regionali cechi. Non è stato indicato il valore preciso ma “gli stessi Liechtenstein, al termine della guerra, stimarono un valore della proprietà di 350 milioni di franchi svizzeri di allora” afferma lo storico Horčička.

Il Principe ereditario Alois, in un’intervista rilasciata al quotidiano ceco Hospodářské noviny, ha precisato che il casato è stato costretto ad agire per vie legali, sebbene avrebbe preferito una soluzione più moderata: “Sosteniamo da anni che una trattativa politica sarebbe la migliore soluzione” ha dichiarato, “ma occorre che la parte ceca inizi a trattare”. A inizio dicembre era stata presentata un’istanza a cui lo stato ceco non ha risposto e il 31 dicembre era il termine ultimo per rivendicare le proprietà, come stabilito dal codice civile.

La Fondazione del principe del Liechtenstein, coinvolta nella gestione delle proprietà della famiglia reale, non si stanca di ripetere che “non contestiamo i Decreti in quanto tali ma il fatto che alcune persone, e nel nostro caso i Liechtenstein, in quanto cittadini di uno stato neutrale, non avrebbero dovuto essere mai inclusi”. Il portavoce Michal Růžička ritiene che “considerare tedesco un cittadino di uno stato neutrale solo per confiscarne i beni è una prevaricazione dei fatti storici e delle leggi ceche e internazionali”. Nonostante la lingua materna del casato fosse effettivamente il tedesco, la famiglia reale ha sempre dichiarato d’avere la cittadinanza del Liechtenstein. Di tutt’altro parere il tribunale ceco, secondo il quale fu lo stesso principe Francesco Giuseppe II a richiedere la cittadinanza tedesca negli anni ‘30. L’ente governativo preposto, l’Úzsvm (Ufficio per la rappresentanza dello stato nelle questioni patrimoniali), considera le rivendicazioni immotivate. “Siamo dell’irremovibile opinione legale che si tratta di beni di proprietà della Repubblica Ceca” ha dichiarato il portavoce Radek Ležatka. “Non siamo a conoscenza di alcun rilevante motivo giuridico che metta in dubbio questa realtà”.

Le proprietà contese

I Liechtenstein richiedono la restituzione delle terre presso Bučovice, Kyjov, Bruntál, Šternberk, Lanškroun o Uherské Hradiště. Nell’area di Břeclav possedevano circa 10mila ettari di boschi e terreni agricoli, una superficie naturale nota per essere la maggiore foresta alluvionale in Repubblica Ceca, nella regione del fiume Dyje. Oltre ai domini in Moravia e Slesia ci sono poi alcuni terreni a est di Praga, a Rumburk, Zahrádky e Čížová.

Va precisato che “le cause riguardano solo i beni che nei registri catastali risultano essere di proprietà dello stato” ha riferito ancora Růžička. “Fu lo stato a trarre profitto dai Decreti Beneš e non i comuni, le università o i privati”. I beni cioè che oggi appartengono a terzi, scuole, regioni o alla chiesa – o sono da essi utilizzati – non saranno rivendicati, così come quelli in mano sì allo Stato ma su cui sono collocate infrastrutture stradali. Ne sono un esempio alcune terre a est di Praga, utilizzate dall’Università ceca di agraria e dall’Istituto di Scienze animali o la Centrale idroelettrica di Dlouhé Stráně tra i monti Jeseníky che sarebbe difficile da smantellare.

Stessa logica per castelli e palazzi, motivo per cui le cause riguardano solo cinque residenze, tra cui quella di Bučovice, un edificio unico nello stile del Rinascimento italiano, quella di Velké Losiny nella regione di Šumperk o quella di Šternberk, nella regione di Olomouc, di loro proprietà fin da fine Seicento.

Ultimi, ma non certo per importanza e valore, quelli che furono il centro dei loro domini, i castelli di Valtice e Lednice, nella Moravia meridionale, non lontano dal confine con l’Austria. I due palazzi sono gioielli d’interesse storico-culturale in cui elementi del neoclassicismo si combinano ad altri gotici e assieme al parco che li unisce sono stati dichiarati Patrimonio dell’Unesco nel 1996.

“Sono un luogo con cui sentiamo un profondo legame perché per secoli sono stati il fulcro della nostra storia di famiglia” ha dichiarato il principe Alois. D’altronde è grazie all’operato dei principi che tra XVII e XX secolo il paesaggio circostante i due castelli, con il suo mix di arte e natura, è diventato uno dei paesaggi artificiali più estesi al mondo con un’area di circa 200 km quadrati. Un luogo definito “il giardino d’Europa”, un giardino che forse un giorno tornerà in mano ai principi di quel piccolo stato incastonato tra le Alpi.

di Sabrina Salomoni