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L’ultima provocazione architettonica di David Černý evoca gli effetti su Praga di una gigantesca onda marina
La trovata di Černý lancia un appello con la forza e il coraggio tipico delle sue opere, rimanendo a totemico monito del potenziale rischio che corre il pianeta

Il relitto di un mercantile incagliato – anzi, scagliato – e adagiato tra un grattacielo e l’edificio alla sua base. Carcassa di tonnellate di metallo rosso minio già possesso dei rampicanti, nuda rovina privata di gran parte del fasciame balzato chissà dove. La prora conficcata al suolo come se si trattasse di un fuscello, o di un ciclopico giavellotto. Una grande elica lassù, a sbalzo, sopra i tetti. L’altra a terra, staccata, abbandonata nella corte di un edificio nuovo. Imponenti resti nel bel mezzo del paesaggio urbano che raccontano di un impatto tanto catastrofico quanto scioccante, inimmaginabile.

Una scena apocalittica a poco più di dieci minuti di metro dal centro di Praga, resa ancor più inquietante dal fatto che la città dista in linea d’aria dal mare – a Trieste o a Świnoujście – più di quattrocento chilometri. Devastanti effetti di un’onda, uno tsunami di immani proporzioni.

Non si tratta di uno scherzo, né di una trovata pubblicitaria, almeno nella misura in cui si è abituati a pensare questo genere di espedienti talvolta geniali. Ma niente panico: il catastrofico scenario che potrebbe presentarsi entro il 2024 uscendo dalle stazioni Nové Butovice o Hůrka della linea B della metro praghese è solo – si fa per dire – l’ultima trovata di David Černý, discusso scultore ceco di fama mondiale.

Nuovamente in collaborazione con Tomáš Císař – architetto dello studio Black n’Arch – l’irriverente artista questa volta dedica la propria attenzione al tema dell’ambiente e del cambiamento climatico. E per diffondere il proprio messaggio, come sempre, non lesina sull’impattante pervasività dei soggetti e delle scene. Vista l’urgenza, la rilevanza e la vastità della questione, tuttavia, questa volta Černý sceglie la scala urbana per lanciare il proprio appello attraverso un inedito ibrido tra scultura e architettura.

Raramente l’architettura si serve della figurazione esplicita come in questo caso, lasciando emergere nella composizione dell’insieme il decisivo contributo dello scultore. Tuttavia, l’universo navale – dal transatlantico lecorbuseriano in poi – ha sempre affascinato gli architetti, ispirando molte soluzioni formali lungo il Novecento. Tra le più fedeli non si può dimenticare la proposta Le Porte-Avion di Jean Nouvel per il campus de la Faculté de Jussieu a Parigi, letteralmente un edificio sagomato come un troncone di portaerei, con tanto di torrette e antenne. Anche altri bastimenti più o meno definiti nelle loro forme hanno fatto capolino tra la produzione architettonica degli ultimi vent’anni. Basti pensare – per citarne alcuni tra i più celebri – all’edificio ponte che campeggia con sembianze che ricordano una petroliera sulle torri di Moshe Safdie del Marina Bay Sands a Singapore, alla fluttuante e astratta estensione della Antwerp Port House di Zaha Hadid nel porto di Anversa o al Nemo Science Museum di Renzo Piano ad Amsterdam, massiccio edificio-prua emergente dal molo. A differenza della Top Tower in progetto per Praga 13, nessuna di queste fa un uso tanto ‘scultoreo’ della suggestione navale. Černý e Císař addossano ciò che idealmente resta del gigantesco natante a un’architettura definita come tale, senza cercare alcuna commistione formale tra la nave e l’edificio che questa interseca.

Ancor più raramente, poi, l’oggetto architettonico o l’oggetto scultoreo che lo integra è reificazione di un elemento parte di una narrazione funzionale pensata ad hoc per accompagnare il progetto, illustrandolo e facendolo parte di una storia per via della sua figuratività. Sebbene la postmodernità abbia regalato qualche esempio in tal senso, il mercantile di Černý è già protagonista di un cortometraggio (agevolmente reperibile in rete) ancor prima di esserlo del paesaggio urbano. Qui, tra percussioni epiche e sonorità cinematografiche, si consuma ‘l’apocalisse’ e il relitto è riscoperto come landmark al ritirarsi delle acque.

Costruire una torre di acciaio e cemento di centotrentacinque metri di altezza è un modo ritenuto da molti discutibile di riflettere sulla sostenibilità e sul riscaldamento globale, sebbene la nuova costruzione sia progettata ad alta efficienza energetica ed aspiri ad ottenere il certificato di sostenibilità Leed Gold. Certo in un panorama internazionale in cui abbondano esempi di architetture sostenibili più nelle parole che nei fatti, capaci di fare della sostenibilità solo una maschera retorica, l’acuta e dissacrante trovata di Černý lancia invece un appello con la forza e il coraggio tipico delle sue opere, rimanendo a totemico monito del potenziale rischio che corre il pianeta.

Pronto a riportare a Praga il primato di torre più altra della Repubblica Ceca – strappandolo alla AZ Tower di Brno l’edificio ospiterà oltre duecentocinquanta alloggi, spazi commerciali e per uffici, oltre ad un centro culturale – rivitalizzando la zona pedonale tra le stazioni della metropolitana Nové Butovice e Hůrka, già popolata da creazioni di Černý: la scultura urbana Trifot e il winebar robotizzato Cyberdog Technology. Come una sorta di giardino pensile attraversato da ascensori, il relitto contribuirà attivamente a questo rinnovamento, offrendo in sommità una terrazza panoramica dalla quale rimirare la città.

Come prevedibile, sin dalla sua presentazione il progetto ha fatto molto parlare di sé, ottenendo immediatamente una risonanza internazionale, certamente nel mondo di riviste e blog di architettura e arte. Pronti ad applaudire all’innovazione e a criticare nel merito forme e scelte progettuali, questi non hanno risparmiato lodi al genio di Černý, capace con un colpo da maestro di dare una scossa a un dibattito – come quello sulla sostenibilità – ormai diventato routinario, proponendo una delle sue irriverenti trovate dal messaggio diretto e sincero.

Invece, ad intimorire e far discutere i praghesi è la difesa dello skyline cittadino dal possibile impatto del nuovo complesso dalle sembianze post-apocalittiche. Immancabilmente il dibattito tra la fazione dei favorevoli e quella dei contrari si arricchisce delle più svariate argomentazioni, acquisendo molti pareri rilevanti. C’è chi plaude alla ventata di novità e chi trova la torre del tutto fuori luogo, utilizzando le medesime argomentazioni che negli anni hanno bloccato altri innovativi progetti in città, tra i quali spicca la firma di Jan Kaplický. C’è anche chi cautamente auspicherebbe ad una diversa collocazione per la torre per favorire un insieme armonico di edifici alti, come Josef Pleskot – che presiede il consiglio corporativo dell’Istituto di pianificazione e sviluppo di Praga Capitale – e Michal Postránecký – fondatore del Centrum města budoucnosti (Centro della città del futuro).

Dopo otto versioni e oltre due anni di progettazione, lo sviluppatore rassicura che la torre non sarà visibile dalla maggior parte del centro storico della città e non recherà alcun disturbo visivo. Il fiabesco skyline praghese è salvo, ora non resta che dedicarsi al pianeta.

di Alessandro Canevari