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Nonostante la diffusa contrarietà dell’opinione pubblica e le veementi proteste dell’opposizione di sinistra, viaggia verso l’approvazione il disegno di legge per la restituzione alle chiese e agli ordini religiosi dei beni confiscati durante il regime comunista nella ex Cecoslovacchia. A prevalere è la volontà dell’attuale governo di centrodestra, deciso a porre fine a una questione che si protrae ormai, fra alterne vicende, da più di venti anni. Il tutto, occorre dirlo, con la benedizione di Vaclav Klaus, il Presidente, che su questo tema sembra aver ormai cambiato opinione rispetto al passato, quando non era mai apparso fra i più ferventi sostenitori delle restituzioni. Semmai il contrario.
Il disegno di legge del governo – già approvato dalla Camera in prima lettura – prevede la restituzione del 56% del patrimonio, soprattutto edifici, terreni agricoli, aree boschive e laghi (complessivamente si parla di 260 mila ettari), il cui valore è pari a circa 75 miliardi di corone. In aggiunta è fissato il pagamento, a titolo di risarcimento, della somma complessiva di 59 miliardi di corone (di cui più di 50 miliardi alla Chiesa cattolica). I soldi dovranno essere consegnati progressivamente nei prossimi 30 anni, con relative rivalutazioni.
L’accordo all’interno del governo non è stato privo di difficoltà. Lo scorso dicembre il partito populista degli Affari pubblici, la più piccola delle forze politiche che compongono la maggioranza, aveva minacciato di mandare tutto all’aria con la proposta, respinta dai partner del governo (Ods e Top 09), di rinviare le restituzioni ad un periodo più propizio dal punto di vista economico. Decisivo ai primi di gennaio, poche ore prima del consiglio dei ministri, un incontro fra il cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga e capo della Chiesa ceca, con i leader recalcitranti di Affari pubblici.
Lo stesso cardinale Duka, di fronte alle ultime difficoltà e al rischio che l’accordo saltasse, aveva definito di “carattere storico” il piano di restituzioni individuato, senza mancare di aggiungere: “Noi vogliamo mantenere questo accordo e ci aspettiamo che il governo voglia fare altrettanto. Non sarebbe piacevole per nessuno se le chiese decidessero di rivolgersi al tribunale per far valere i propri diritti”. Da parte dell’alto prelato un richiamo esplicito agli impegni assunti dal governo di Praga dopo il 1989, così come alla pronuncia della Corte costituzionale del 2010, quando l’Alta corte definì “contraria alla Costituzione” l’inerzia del legislatore ceco nel risolvere la questione delle restituzioni.

L’opinione pubblica è largamente contraria
La volontà del governo di giungere a una soluzione della vertenza con le chiese si scontra da tempo con la diffusa contrarietà dell’opinione pubblica. Secondo i sondaggi, a quota degli sfavorevoli supera il 70% della popolazione. In fondo c’è poco da stupirsi in uno dei paesi al mondo dove più elevata è la percentuale di coloro che non si riconoscono in alcuna religione e si definiscono “non credenti”.
Nel giudicare questo atteggiamento, ecco le parole espresse dal cardinale Miroslav Vlk, l’ex arcivescovo di Praga, quando nel 2009 lo abbiamo intervistato, alla vigilia della visita papale in Repubblica ceca: “Questo orientamento della opinione pubblica è una triste eredità del regime comunista, perché a quel tempo il diritto non esisteva. Il comunismo è stato il periodo della ingiustizia. Purtroppo la gente non si chiede a chi appartengono certi beni, ma si chiede piuttosto che bisogno ha la Chiesa di certi beni. Il comunismo ha distrutto nella nostra gente il senso del diritto e della giustizia”.
A questo proposito non va però taciuto che fra coloro che si oppongono in maniera più accesa alle restituzioni ci sono anche persone che del regime comunista furono ugualmente vittime. E’ in caso della scrittrice Lenka Prochazkova – già firmataria di Charta 77, figlia di Jan Prochazka (l’intellettuale sostenitore della Primavera di Praga, epurato dopo il 1968) – la quale ha preso la clamorosa iniziativa di querelare il premier Petr Necas e i suoi ministri, accusandoli di abuso di potere e malagestione del patrimonio dello stato. Identico passo ha compiuto, pochi giorni dopo, nei confronti del cardinale Dominik Duka, accusandolo di un tentativo di furto di beni che appartengono allo Stato. L’eclatante presa di posizione della Prochazkova, si basa sulla teoria che i beni oggetto di futura restituzione non fossero già più nel 1948, anno del colpo di stato comunista, di proprietà privata delle chiese e delle comunità religiose. Secondo questa tesi, già in precedenza, la riforma terriera attuata dal presidente Tomas G. Masaryk nel 1919, aveva escluso il carattere privato dei beni delle chiese e il diritto di disporne liberamente. Si sarebbe quindi trattato di beni pubblici, concessi in gestione alle chiese.
Si tratta, a ben vedere, della medesima posizione espressa nel 1998 dal governo Zeman, l’esecutivo socialdemocratico in carica in quel periodo grazie a un patto di opposizione coi conservatori dell’Ods. E si tratta anche di quanto sostengono oggi i due partiti della opposizione di sinistra. I socialdemocratici della Cssd dicono che i patrimoni oggetto di restituzione, vengano invece utilizzati per creare una fondazione o un fondo, coi proventi del quale finanziare le spese delle chiese. Quello attuale è un piano che pecca, secondo la Csdd, di una generosità eccessiva.
I comunisti del Kscm hanno invece avanzato la proposta, subito respinta dalla Camera, di organizzare un referendum popolare sulla questione delle restituzioni ecclesiastiche. “Per una questione di tale portata, siano i cittadini ad esprimersi, non solo i 200 deputati e gli 81 senatori” hanno detto anche di recente, inascoltati, i dirigenti del Kscm.
D’altra parte non vanno sottovalutate le ragioni di coloro che spingono verso una rapida definizione della questione. In primo luogo c’è il rischio, come già detto, che le chiese decidano di rivolgersi ai tribunali, esponendo lo Stato al rischio di risarcimenti ancora più costosi. A questo proposito va ricordato che lo Stato già nel 1991, all’indomani della caduta del regime, prese l’impegno di realizzare le restituzioni ecclesiastiche.
Non va poi dimenticato che in Repubblica ceca ci sono centinaia di amministrazioni comunali che hanno nei loro ambito territoriale una vastità di questi terreni e immobili destinati a futura restituzione. Sono proprietà immobiliari di cui i comuni sono costretti a preoccuparsi, ma dei quali non possono disporre. Una situazione che più di una volta contribuisce anche a bloccare i piani di sviluppo di questi comuni (basti pensare alla difficoltà di accedere ai fondi Ue, stante l’incertezza di questa situazione).
E’ poi da considerare un altro aspetto, non di scarsa rilevanza: la Chiesa, con la sua organizzazione, mostra di avere la capacità di gestire in senso economicamente produttivo questi patrimoni, che attualmente sono improduttivi.

Klaus, l’ago della bilancia
Come già detto, molti osservatori ritengono fondamentale il ruolo che sta svolgendo Klaus e sottolineano il suo cambio di rotta rispetto al passato, soprattutto nei confronti della Chiesa cattolica. Mentre un tempo il Presidente era considerato il principale ostacolo per giungere a una soluzione soddisfacente per le chiese, ora invece sorprende l’atteggiamento amichevole che egli manifesta verso i cattolici. Alcuni osservatori sospettano persino che Klaus voglia attirarsi le simpatie dei credenti, in vista della fine del mandato presidenziale e della sua già programmata carriera politica.
Una delle prese di posizione più significative è giunta proprio dal mondo cattolico, dal monsignor Tomas Halik – docente di sociologia presso l’Università Carlo e presidente dell’Accademia cristiana della Repubblica Ceca – il quale ha dichiarato pubblicamente di non considerare genuini i segnali di avvicinamento alla Chiesa di Klaus. “Solo gli ingenui possono credere che sia sincero. La sua è piuttosto una strategia politica”.
Parole, tra l’altro, che hanno destato l’infuocata reazione di alcuni dei fedelissimi di Klaus, in primo luogo del vice cancelliere presidenziale Petr Hájek – il quale, sull’onda della polemica, è giunto persino a mettere in dubbio che Halik sia un vero sacerdote.
La svolta klausiana nei confronti della Chiesa si è comunque avuta al momento dell’avvicendamento, nella carica di arcivescovo di Praga e di capo della Chiesa ceca, fra il cardinale Miroslav Vlk e l’attuale cardinale Dominik Duka. I rapporti fra il primo e Klaus furono sempre caratterizzati da frizioni e polemiche. Il cardinale Vlk nel 2009, pochi mesi prima di ritirarsi in pensione, ci espresse una durissima opinione sul rapporto di Klaus con la Chiesa: “Ci ha sempre considerati alla stessa stregua di un club turistico, niente di più”.
Ben diversi i rapporti fra il capo dello Stato e il nuovo arcivescovo, sia sul piano personale, che su quello più squisitamente politico, visto che Duka ha sin dall’inizio mostrato particolare sintonia con le posizioni di Klaus.
L’idillio è culminato lo scorso 28 settembre, nel giorno di San Venceslao, patrono nazionale, quando Klaus, recatosi a Stara Boleslav, per la tradizionale messa solenne, ha fatto un richiamo ai valori tradizionali e nazionali, criticando quello che ha definito “il modernismo opportunistico”. In quella occasione il Presidente ha anche invitato la Chiesa “a far valere la sua autorità con voce più alta nel dibattito sociale” e ha chiesto ai cattolici di schierarsi contro quella che ha definito “l’inganno dello stato sociale, un sistema che distrugge la creatività individuale”.

Di Giovanni Usai