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Fra gli eventi organizzati nella Capitale europea della cultura del 2015 spicca l’esposizione dedicata al “Walt Disney dell’est”, Jiří Trnka

Plzeň è conosciuta a livello mondiale per la famosissima Pilsner Urquell, ma sono numerosi i nomi illustri legati a questa città. I primi che vengono alla mente potrebbero essere Emil Škoda, Karel Gott o Petr Čech. Da un punto di vista artistico però, c’è una figura che grandeggia su tutti, ed è quella di Jiří Trnka, illustratore, animatore e regista. Non c’è quindi da sorprendersi se Plzeň – Capitale europea della cultura del 2015 – dedica in questi mesi una grande mostra a questo artista.

Personaggio eccentrico dalla personalità forte, baffi lunghi e presenza imponente, il grande regista, animatore e scenografo boemo nasce il 24 febbraio 1912 a Plzeň, dove trascorrerà tutta l’infanzia e dove scoprirà la sua ragione di vita – l’arte del burattinaio. Trnka impara osservando la nonna che confeziona e vende bambole, ma inizia a formarsi professionalmente quando frequenta la scuola del marionettista Josef Skupa, uno dei più grandi burattinai cechi. Skupa nota da subito il talento del boemo e gli dà incarichi da assistente, insegnandogli a scolpire, ad abbigliare e a manipolare i burattini. In tempi difficili per l’economia della famiglia Trnka, è lo stesso Skupa a insistere con i genitori del ragazzo affinché possa seguire le sue inclinazioni e sviluppare le sue doti frequentando la scuola d’arti applicate di Praga. Dal 1936 Jiří lavora come scenografo e illustratore di libri, ma il suo cuore rimane con i burattini, i quali negli anni successivi prenderanno vita, sentimenti e pensieri, nelle sue mani.

Con l’arrivo dell’effervescente clima del dopo guerra, il regista si avvicina al cinema. Dopo aver fondato lo studio Bratři v triku (Fratelli in maglietta) con Eduard Hofman e Jiří Brdečka, nel quale si sarebbero in seguito formati molti disegnatori e registi, l’animatore riesce, nel giro di un anno, a realizzare ben cinque cortometraggi a disegni animati. Fra quelli importanti ricordiamo Zasadil dědek řepu (Il nonno piantò una barbabietola), Zvířátka a Petrovští (Animali e briganti) e Pérák a SS (L’uomo a molla e le SS). Evidentemente la fase del lungo apprendistato era finita, ed era nato il vero Jiří Trnka, ormai pronto a creare i propri capolavori.

Ma torniamo al presente, ed alla sua città natale dove settant’anni dopo il suo esordio cinematografico, viene inaugurata la magnifica esposizione “L’atelier di Jiří Trnka” organizzata con l’aiuto del figlio, Jan, e aperta fino al 10 maggio presso la Galleria della Città di Plzeň. Con dozzine di arredi scenici, disegni ed oggetti, tra gli scopi dell’iniziativa quello di dimostrare che l’output dell’artista non si limitava esclusivamente al mondo del cinema. Il boemo era attivo anche nel teatro, illustrava libri, dipingeva e scolpiva. L’esposizione, un insieme di 300 piccole creazioni, parte dai primi anni a Plzeň, fino agli ultimi a Praga, dove strinse amicizie con figure importanti della vita culturale dell’epoca, come l’attore/drammaturgo Jan Werich e il già citato Jiří Brdečka. Fra i tanti oggetti di interesse, vanno evidenziati i primissimi pupazzi del giovane Trnka, il “kinoautomat” con una selezione delle più belle scene dei suoi film e una parte interattiva in cui il pubblico ha la possibilità di mettersi nei panni del regista e creare animazioni in passo uno, una tecnica per il quale Trnka è diventato famoso.

Facciamo un altro salto indietro, all’anno 1946 quando l’animatore vince un premio al festival di Cannes per il cortometraggio Zvířátka a Petrovští, grazie allo stile lirico della sua favola e alle belle musiche che l’accompagnano. Molti considerano questo film come l’opera che pose fine al monopolio di Disney nel mondo dell’animazione, oltre a creare le vere radici del genere in Europa. In seguito, il regista si occupa di soggetti più complessi, realizzando film con tratti più aspri – come in Dárek (Il Regalo, 1946), una personalissima satira sui valori borghesi con uno stile che richiama il surrealismo. Nonostante la grande accoglienza, il regista non è soddisfatto dall’animazione tradizionale, che a suo avviso richiede la partecipazione di troppi mediatori; così, con l’aiuto del burattinaio Břetislav Pojar, comincia a sperimentare con i burattini.

Se l’altro grande animatore cecoslovacco dell’epoca, il suo connazionale Karel Zeman, detto “il George Méliès ceco”, prese la sua ispirazione dall’illusionista francese e dai romanzi d’avventura di Jules Verne, Trnka ha sempre tratto origine dal folklore e dalla storia nazionale per gran parte della sua opera. Nel 1947 comincia il nuovo percorso artistico con il lungometraggio Špalíček, noto all’estero come The Czech Year, con cui porta nel cinema la sua esperienza di marionettista e inizia a sfruttare le potenzialità del montaggio. Il film consta di 6 racconti sulle leggende e usanze della sua patria come il tipico Carnevale (Masopust) o la leggenda di San Procopio (Legenda o svatém Prokopu). Successivamente alterna adattamenti di libri cecoslovacchi, come Bajaja (1950), basato sui racconti di Božena Němcová, a racconti stranieri, come in Císařův slavík (1948, L’usignolo dell’imperatore). L’ultima, ispirata da un’opera di Hans Christian Andersen, raggiunge le vette della poesia mescolando realismo a surrealismo.

Dopo l’adattamento del “Buon soldato Švejk” di Jaroslav Hašek (1955), Trnka realizza uno dei suoi film più ambiziosi, la trasposizione cinematografica di William Shakespeare con Sen noci svatojánské (1959; Il sogno di una notte di mezz’estate). Nonostante rimanga un film che divide gli spettatori, ha molto successo all’estero e induce un critico inglese a soprannominare il regista “Walt Disney dell’Est”. Un soprannome ancora in uso, ma va sottolineato che, col senno di poi, il paragone all’icona culturale americana sembra sempre più ingannevole e fuori luogo. Disney fu anche un imprenditore e un magnate, e i suoi film puntavano principalmente a un pubblico di bambini. Trnka è stato puramente un artista, che faceva film per tutte le età ma forse soprattutto per adulti, e teneva a conservare un’identità nazionale e personale anche quando traeva temi da altre letterature.

Anche per il figlio Jan i film di suo padre sono più sofisticati ed emotivi. “Mio padre non si è mai identificato con Disney, con il suo approccio all’animazione e lo stile kitsch delle sue caratterizzazioni. Ma ha sempre avuto grande stima nei suoi confronti”, sottolinea il regista che ora si occupa della tutela dell’eredità del padre, e della restaurazione delle sue opere. Il miglior esempio di questa raffinatezza, che distingue Jiří Trnka dagli altri animatori, viene dal suo ultimo lavoro – il cortometraggio Ruka (La Mano, 1965). Manifesto per la libertà artistica, Ruka mostra il destino di un vasaio-scultore che riceve da una enorme mano l’ordine di modellare un monumento enorme a lei dedicato. L’artista rifiuta ripetutamente ed essa, dopo esser ricorsa a doni e soldi per corromperlo, passa alla violenza. Il vasaio viene costretto ad obbedire e, rinchiuso in una gabbia, modella una mano di marmo. Il cortometraggio profetico, realizzato quattro anni prima della morte del cineasta, ma anche tre anni prima dell’occupazione russa del suo paese e la fine delle riforme proposte da Alexander Dubček durante la Primavera di Praga, potrebbe essere considerato l’allegoria definitiva sull’artista che fatica duramente in un regime autoritario. L’opera è forse il coronamento del maestro di animazione che oggi, con questa mostra, viene giustamente celebrato dalla sua città natale.

di Lawrence Formisano