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ll racconto di Italia-Cecoslovacchia, Coppa Rimet 1934, fra battaglia sportiva e un forte sentimento di orgoglio nazionale

Da una parte, la Prima Repubblica di Tomáš Garrigue Masaryk. Dall’altra, il Fascismo di Benito Mussolini. Due mondi completamente diversi, messi a confronto in una partita che vale molto più di una “semplice” Coppa Rimet, l’attuale Coppa del Mondo. 10 Giugno 1934. Roma, Stadio Nazionale del Partito Nazionale Fascista. Italia e Cecoslovacchia si affrontano in quella che tanti definirebbero “una partita di calcio valevole per la conquista della Seconda Coppa del Mondo della storia” ma che in realtà va oltre la disputa sportiva, nascondendo affascinanti temi legati al momento politico dei due paesi.

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Il sentimento che accomuna le due formazioni è proprio la voglia di primeggiare in campo internazionale, per poter dimostrare a tutti la propria superiorità . Questo tema rappresenta una vera e propria ragione di vita per i cecoslovacchi. Dalla nascita della Prima Repubblica, nel 1918, la cultura ceca e quella slovacca sentono la necessità di fondersi in un’unica anima e mostrare al mondo intero il proprio vigore. Nel contempo, Mussolini, con il Secondo Plebiscito del 25 marzo, si assicura l’approvazione del popolo, con il 96,25% di voti favorevoli. Il leader del Partito Fascista inizia, nei primi mesi del 34, la propaganda imperialista, che ha come obiettivo quello di creare negli italiani un’identità nazionale e che poi sarebbe sbocciata nella conquista dell’Etiopia nell’anno seguente. Inoltre, fin dalle sue origini il Fascismo opera per perseguire il suo progetto totalitario attraverso organizzazioni giovanili, alla base delle quali c’è l’attività sportiva, e in particolare, il gioco del calcio. Dunque, per i cinquantamila spettatori presenti, la finale della Coppa Rimet rappresenta il compiersi di un grande progetto “Italia” proclamato a gran voce nei mesi precedenti dal Duce. E proprio sotto gli occhi di Benito Mussolini e di Jules Rimet, presidente della FIFA, l’Italia di Vittorio Pozzo, dopo aver superato in semifinale l’Austria affronta la temibile Cecoslovacchia dei grandi campioni: su tutti, il portiere Plánička, “il gatto di Praga”, considerato uno dei migliori portieri della prima metà del XX secolo al pari dello spagnolo Zamora e dell’italiano Combi, e Oldřich Nejedlý, interno sinistro con uno spiccato senso del gol che con i suoi 5 gol in 4 partite si laurea capocannoniere della competizione, ma anche il centravanti dello Slavia Praga Antonín Puč, il miglior marcatore della storia della nazionale cecoslovacca con 35 reti in 61 presenze. La formazione di Petrů si presenta alla finale contro tutti i pronostici dopo aver superato Romania, Svizzera e soprattutto Germania, considerata alla vigilia la favorita per la conquista del Mondiale.

Il tecnico degli Azzurri conferma la formazione della semifinale, puntando sulle ali Orsi e Guaita, mentre Karel Petrů si affida all’estro del suo quintetto offensivo: František Junek e Antonín Puč sulle fasce, con František Svoboda e Oldřich Nejedlý a supporto di Jiří Sobotka.

Dopo i consueti preliminari, composti da inno nazionale e portabandiera in testa alle due formazioni, l’arbitro svedese Ivan Eklind dà il via all’incontro. Sin dalle prime battute, il copione sembra essere molto chiaro: la Cecoslovacchia, grazie alle grandi qualità tecniche dei propri atleti, tiene in mano il pallino del gioco, mentre gli Azzurri attaccano con improvvise accelerazioni offensive.Nella prima frazione di gioco, l’undici di Pozzo va due volte vicino al gol con Giuseppe Meazza che all’11’ colpisce il palo, mentre due minuti più tardi si fa parare la conclusione da Plánička. La Cecoslovacchia si fa vedere al 17’ con Puč che, sull’assist di Svoboda, non riesce a concludere verso la porta a causa dell’intervento provvidenziale di Luigi Allemandi. L’occasione fallita dà fiducia agli ospiti che, prima dell’intervallo, colpiscono prima con Puc e poi con Sobotka i “legni” della porta difesa dal portiere Combi. L’Italia riesce a reggere la pressione dell’attacco cecoslovacco fino al 71’, quando Antonín Puč supera Monzeglio e Ferraris IV e realizza con un gran tiro il gol del vantaggio. Potrebbe sembrare l’inizio della fine per gli uomini di Pozzo, ma non è così. Dopo il terzo palo colpito dagli ospiti con Sobotka, al minuto 80 Raimundo Orsi supera il portiere e timbra il gol del pareggio. Il giocatore di origine argentina torna a far sperare i cinquantamila presenti. Negli ultimi 10 minuti domina la paura di sbagliare e si arriva ai tempi supplementari.

Alla ripresa del gioco, la formazione azzurra sembra prendere in mano le redini del gioco e dopo appena 5 minuti il coraggio degli uomini di Pozzo viene premiato. Ferraris IV serve sulla destra Enrique Guaita. L’ala italo – argentina taglia l’intera difesa avversaria con un passaggio filtrante per Schiavio, che supera Čtyřoký e calcia verso la porta. Il suo tiro non è irresistibile, ma molto preciso: la palla sbatte sulla faccia interna del palo e batte l’incolpevole Plánička. Italia – Cecoslovacchia 2 a 1. Gli uomini in casacca rossa non ci stanno, e reagiscono. Puč tenta una delle sue conclusioni molto potenti, ma Combi respinge in qualche modo. Poco dopo ci prova Oldřich Nejedlý con una staffilata da fuori area, ma il portiere azzurro è di nuovo decisivo e intercetta la conclusione. La squadra di Petrů deve arrendersi alla tenacia della formazione azzurra, che con caparbietà riesce a difendere il risultato fino al fischio finale di Eklind. Nel post-partita, proprio l’arbitro svedese sarà accusato dall’intera stampa internazione di aver favorito la formazione azzurra, di essere stato troppo permissivo davanti all’agonismo dei ragazzi di Vittorio Pozzo.

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L’Italia si laurea per la prima volta Campione del Mondo. Mussolini, visibilmente entusiasta per la vittoria, consegna personalmente la coppa nelle mani di Combi e successivamente la targa dei secondi classificati a Plánička.

La Cecoslovacchia esce a testa alta dal confronto, consapevole di essersi arresa solamente nei tempi supplementari, al cospetto della gran voglia di vincere dell’Italia, ma anche di un arbitraggio tutt’altro che imparziale. Plánička e compagni tornano in patria accolti come eroi e ancora oggi sono ricordati come gli Zlatí hoši, i Golden Boys del calcio nazionale. Grazie alle grandi prove offerte nel corso del torneo, nonostante la sconfitta in finale, la formazione di Petrů è riuscita a raggiungere il proprio obiettivo: rafforzare la propria identità nazionale e far conoscere in tutto il mondo quel paese del centro Europa, tra Germania, Polonia ed Ungheria, chiamato Cecoslovacchia.

di Alessandro De Felice